Mancano i soldi per gli stipendi
Il sovrintendente: "Situazione drammatica"
Carlo Felice, l'ombra della cassa integrazione. Servono undici milioni subito per non chiudere. Aggiornato a sabato il consiglio di amministrazione
di MICHELA BOMPANI Al teatro Carlo Felice manca la liquidità. Undici milioni di euro per pagare stipendi, contributi, allestimenti, elettricità fino alla fine dell'anno. E intanto la Fondazione ha fatto slittare ad agosto il pagamento degli stipendi di luglio dei dipendenti.
Nella ricerca di una "exit strategy" dalla "drammatica situazione in cui versa la Fondazione", come la definisce lo stesso sovrintendente Giovanni Pacor, spunta l'ipotesi della cassa integrazione in deroga.
La riunione di ieri del consiglio d'amministrazione della Fondazione Carlo Felice si è conclusa con la decisione di riunirsi ancora, sabato mattina. Solo allora infatti arriveranno al nono piano i responsabili della Deloitte, la società che sta esaminando tutti i conti del teatro e producendo proposte di soluzione. Ieri è stata presentata la relazione dei Revisori dei Conti, che ha illustrato una situazione davvero drammatica. Il deficit finanziario e il deficit patrimoniale si stanno sovrapponendo, entrambi intorno ai 13,5 milioni di euro, insomma le alternative per chi in teatro è esperto di conti sono due: o si trovano finanziamenti privati in fretta oppure si portano i libri in Tribunale.
Anche se l'"ora delle decisioni irrevocabili" sarà segnata dalla relazione della Deloitte, già ieri all'orizzonte si è profilata una drastica soluzione per i conti del teatro: la Regione potrebbe concedere la cassa integrazione in deroga, così come fa con le aziende che non hanno diritto a quella ordinaria, proprio come nel caso della Fondazione Teatro Carlo Felice. Un'opzione percorribile ma pesante sotto il profilo delle conseguenze: darebbe ossigeno al teatro, ma dovrebbe avere applicazione immediata, per limitare le ripercussioni sulla "produttività" del teatro, nei mesi più densi dell'inizio stagione, in autunno.
Una stagione appesa a un filo, come conferma il sovrintendente Giovanni Pacor: "Aspetto di ascoltare la relazione Deloitte, poi capiremo quali decisioni potremo o non potremo prendere. Oltre alla relazione dei Revisori dei Conti, molto accurata, quella Deloitte include suggerimenti di soluzioni. Solo dopo sabato sapremo se si potrà svolgere oppure no la stagione lirica da ottobre a dicembre".
Gli esperti di bilancio indicano il pericolo che di certo deriverebbe dalla soppressione delle tre opere d'autunno ("Barbiere di Siviglia", "Traviata" e "Opera da tre soldi"): certo si risparmierebbero denari, ma si dovrebbero risarcire gli abbonati, si dovrebbero fare i conti con i mancati ricavi e soprattutto si perderebbero i contributi statali legati al numero di "recite": così, chi lavora con i numeri, calcola che il rapporto costi-benefici indicherebbe più saggio mantenere quest'ultima parte della stagione lirica in teatro. In più, e non quantificabile, ci sarebbe il colpo definitivo al ruolo del teatro in città, in termini di disaffezione del pubblico.
Sotto il torrione, il primo problema, quello più urgente, è composto da quegli undici milioni di euro di liquidità che mancano. Anche negli anni passati si erano verificate situazioni analoghe e quei soldi si chiedevano alle banche. Adesso però la Fondazione non ha sufficienti garanzie, e dovrebbe trovare qualcuno che garantisse per lui. Ma chi?
Anche la partita sulla nomina del direttore artistico è stata rimandata, anzi, ieri, neppure affrontata dal consiglio di amministrazione. Un elemento in più per capire che in gioco c'è la sopravvivenza del teatro a partire dai conti. "Non mi sono pentito di aver accettato questo incarico - dice Pacor - io mi sono messo al servizio: adesso ce la mettiamo tutta per riuscire a vincere la sfida. Innanzitutto serve una strada sicura che ci porti fuori da questa drammatica situazione".