Ankara, 16 marzo 2019.
Un esito trionfale a dir poco per la Turandot di Puccini presso il Teatro dell’Opera di Ankara,
con la sala gremita in ogni ordine di posto. E’ inutile nascondere l’orgoglio di essere stato
presente a questo evento, unico italiano in sala assieme ai due addetti d’ambasciata ,al
regista, al maestro del Coro e al direttore d’orchestra .Quando si rappresenta l’Opera ,e in
particolare modo l’ultimo capolavoro di Puccini interamente prodotto dalla Turchia
,l’emozione è più intensa e si tocca con mano la carica dirompente di questa musica che sa
valicare ogni confine culturale, ogni barriera linguistica. La Turchia offre da anni una realtà
esecutiva e una qualità che temono ben pochi confronti:giovane e travolgente l’orchestra,
precisa nel suo ensemble e negli assoli, poderose le voci del Coro, magnifici i solisti di
Canto, con alcune punte di emergenza che ora sottolineeremo come meritano.
Murat Karahan
L’evento non sarebbe stato possibile, è bene specificare subito, senza la costante e
appassionata gestione di un giovane già affermatissimo tenore, responsabile di tutta la
programmazione operistica del Suo paese, Murat Karahan, una vocalità straordinaria in
possesso oggi dei migliori acuti possibili per la corda del lirico spinto. Manager accorto e di
inesauribile energia ,Karahan sa essere un Calaf eroico e vincente fin dalla sua prima
entrata in scena, dimostrando oltre alla doviziosa resa vocale una capacità attoriale
completa, già molto apprezzata all’Arena di Verona in questi ultimi anni , al San Carlo di
Napoli ,al Regio di Torino, al Massimo di Palermo e in molti grandi teatri mondiali. Quello
che colpisce di Karahan non è soltanto l’acuto vittorioso e spavaldo, ma la varietà dei colori,
l’uso sapiente della mezza voce ,l’ottima pronuncia italiana, quindi il fraseggio, perfezionato
alla scuola di Renata Scotto dopo gli studi nella natìa Ankara. I suoi idoli sono Gigli,Di
Stefano, Pavarotti ,una linea che definirei “aurea” e conversare con Karahan significa sentir
nominare questi tre pilastri della vocalità con devozione e volontà di continua ricerca
tecnica. Prima dello spettacolo i vocalizzi si spingono fino al fa e al sol sopracuti, eseguiti
con una facilità e una libertà di suono da non credere. “E’ la antica tecnica della grande
scuola italiana” , ci dice Murat Karahan, “la gola aperta, appoggio e maschera, mai
spingere alcun suono, restare morbidi e non pensare ad alcun passaggio.Bisogna salire in
assoluta libertà, senza contrazioni.” E’ un vero piacere parlare con lui di tecnica, in un
mondo soprattutto tenorile, popolato da nasi, gole profonde, suoni morchiosi ,acuti
traballanti.” Io adotto il sistema dell’aperto\coperto ,l’unico che possa assicurarmi una salita
comoda verso l’acuto”, dice Karahan, “ non si deve coprire chiudendo la gola ma con il
sostegno del fiato.” Ambrosia per le nostre orecchie. Un giorno voglio dedicare al tema
dell’aperto\coperto un ampio articolo:Kraus diceva le stesse cose ,”Si deve coprire con la
testa ,non con la gola!”, precetti aurei ma non per tutti. Il guaio di oggi sono i molti pessimi
maestri in circolazione.
Inutile dire che i momenti apicali della Turandot di Ankara sono stati le arie di Calaf, la
chiusa impressionante dell’aria di Turandot con un do all’unisono di stupefacente
lucentezza, l’altro luminosissimo do acuto “Ti voglio ardente d’amor” nel secondo atto, il
finale di Alfano cantato con assoluto dominio di ogni frase.
Al fianco di questo caterpillar della vocalità, un cast molto omogeneo e selezionato con
cura: la Turandot limpida e svettante di Mehlika Karadeniz Bilgim, che si è imposta in una
prestazione in crescendo, regalando lame di suono impressionanti nell’atto finale; la Liù
attenta e concentrata di Tugba Mankal; il magnifico Timur del basso Safak Gük, davvero
impressionante per squillo e bellezza timbrica; un Trio ben assortito di Maschere con il
baritono Cetin Kiranbay e i tenori Arda Dogan e Veysel Bans Yanç. Di grande spicco il
Mandarino del baritono Umut Kosman e l’Imperatore del tenore Cem Akiüz.
A rappresentare l’Italia due caposaldi essenziali dello spettacolo: il maestro concertatore
Antonio Pirolli e il regista Vincenzo Grisostomi Travaglini, che in Turchia è di casa da quasi
vent’anni con reiterati e apprezzatissimi consensi. La direzione è stata di rara compattezza
e brillantezza, direi asciutta, senza cedimenti e questo ha garantito uno svolgimento molto
coerente e regolare, con Coro e Orchestra di rara precisione.Ottimo il lavoro svolto dal
Maestro del Coro,Gianpaolo Vessella, anche lui in scena assieme ai Suoi.
La messa in scena, assolutamente ligia alla tradizione, vedeva rispettato il clima fiabesco
voluto da Puccini, senza stravolgimenti di sorta. Molto curate quindi le scene di Ozgür Usta
e i costumi di Savas Camgöz, così come le perfette coreografie di Göksel Armagan Davran.
Vincenzo Grisostomi Travaglini ha “raccontato” al pubblico la Turandot così come Puccini
l’ha concepita, cosa oggi affatto scontata ; ricordiamo che fu sua la regìa ad Aspendos che
riportò l’anno scorso Turandot in Turchia dopo 18 anni. Un lavoro molto meticoloso e fatto
con amore e competenza, uniti all'esperienza accumulata in questi ultimi anni.
Grandissimi applausi per lo spettacolo al termine e continue chiamate alla ribalta .
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