OPERA IN ITALIA, un declino annunciato , una possibile via di uscita... |
Venerdì 13 Agosto 2010 16:06 |
Quando è iniziato il declino dell'Opera? E' stato davvero l'avvento di cinema e Tv a relegare questa forma eccezionale di spettacolo a spazi sempre più ristretti, a un pubblico sempre più scarso e monomaniacale? Da quando e perché il Melodramma si è trasformato in ritrovo di adepti, in Messa cantata e suonata per pochi eletti , ammessi in virtù di non si sa quali meriti al sacro rito? Perché l'Opera nazional-popolare dei tempi di Verdi e Puccini si è progressivamente mutata in qualcosa di sacrale, costoso e fondamentalmente voluttuario? Come mai le Fondazioni sono oggi sommerse dai debiti e si parla di chiudere i teatri? Genova: perché?
Intanto sarà bene ricordare che l'Opera vide la luce ufficialmente il 6 ottobre del 1600 presso Palazzo Pitti, a Firenze, con la rappresentazione dell' Euridice di Peri e Caccini. Un nobile consesso di plauditores, un avito palazzo come scenario; non vi sono dubbi: uno spettacolo per pochi, un lusso per una cerchia ristretta di privilegiati, nulla a che vedere con i megaeventi di Pavarotti al Central Park, acclamato da giovinastri in brache di tela e canotta, pronti a mangiucchiare un hot-dog tra "La donna è mobile" e "O sole mio", magari comodamente assisi sul singolare albero qui riprodotto in fotografia:
L'Opera nasce quindi già con un preciso connotato elitario e con la caratteristica di avere in Caccini l’ autore delle musiche e l' esecutore delle medesime. Giulio Caccini fu infatti il primo Divo operistico della Storia, progenitore dei vari Caruso, Gigli, Pavarotti, non a caso tutti tenori. Illuminante la Prefazione che volle apporre alla raccolta musicale denominata Le Nuove Musiche (1602), in cui si prodiga a dare esempi di “buona maniera di cantare”, un esercizio, conveniamone, che se pur ha avuto un principio non avrà probabilmente mai fine:
PREFAZIONE A I LETTORI Se gli studi della musica fatti da me intorno alla nobile maniera di cantare dal famoso Scipione del Palla mio maestro appresa, et altre mie composizioni di più madrigali, et arie, composti da me in diversi tempi io non ho sino ad hora manifestati, ciò è addivenuto dal non istimare io : parendo à me che assai di onore ricevessero dette mie musiche, e molto più del merito loro veggendole continovamente esercitate, da i più famosi cantori, e cantatrici d'Italia, et altri nobili, amatori di questa professione. Ma ora veggendo andare attorno molto di esse lacere, e guaste, et in oltre malamente adoperarsi quei lunghi giri di voci semplici, e doppi, cioè raddoppiate, intrecciate l'una nell'altra ritrovate da me per isfuggire quella antica maniera di passaggi che già si costumarono, più propria per gli strumenti di fiato, e di corde, che per le voci, et altresì usarsi indifferentemente, il crescere, e scemare della voce, l'esclamazioni, trilli, e gruppi, et altri cotali ornamenti alla buona maniera di cantare. Sono stato necessitato, et anco mosso da amici di far istampare dette mie musiche ; et in questa prima impressione con questo discorso à i Lettori mostrare le cagioni, che m'indussero à simil modo di canto per una voce sola, affine che, non essendosi ne' moderni tempi passati costumate (ch'io sappia) musiche di quella intera grazia ch'io sento nel mio animo risonare, io ne possa in questi scritti lasciare alcun vestigio, e che altri possa giungere alla perfezione, che Poca favilla gran fiamma seconda. Io veramente ne i tempi che fioriva in Firenze la virtuosissima Camerata dell'Illustrissimo Signor Giovanni Bardi de' Conti di Vernio, ove concorreva non solo gran parte della nobiltà, ma ancora i primi musici, et ingegnosi huomini, e Poeti, e Filosofi della Città, havendola frequentata anch'io, posso dire d'havere appreso più da i loro dotti ragionari, che in più di trent'anni non ho fatto nel contrappunto, imperò che questi intendentissimi gentilhuomini mi hanno sempre confortato, e con chiarissime ragioni convinto, à non pregiare quella sorte di musica, che non lasciando bene intendersi le parole, guasta il concetto, et il verso, ora allungando, et ora scorciando le sillabe per accomodarsi al contrappunto, laceramento della Poesìa, ma ad attenermi à quella maniera cotanto lodata da Platone, et altri Filosofi, che affermarono la musica altro non essere, che la favella, e' l rithmo, et il suono per ultimo, e non per lo contrario, à volere, che ella possa penetrare nell'altrui intelletto, e fare quei mirabili effetti, che ammirano gli Scrittori, e che non potevano farsi per il contrappunto nelle moderne musiche, e particolarmente cantando un solo sopra qualunque strumento di corde, che non se ne intendeva parola per la moltitudine de i passaggi, tanto nelle sillabe brevi quanto lunghe, et in ogni qualità di musiche pur che per mezzo di essi fussero dalla plebe esaltati, e gridati per solenni cantori . Veduto adunque, si com' io dico che tali musiche, e musici non davano altro diletto fuori di quello, che poteva l'armonia dare all'udito solo, poi che non potevano esse muovere l'intelletto senza l'intelligenza delle parole, mi venne pensiero introdurre una sorte di musica, per cui altri potesse quasi che in armonia favellare, usando in essa (come altre volte ho detto) une certa nobile sprezzatura di canto, trapassando talora per alcune false, tenendo però la corda del basso ferma, eccetto che quando io me ne volea servire all'uso comune, con le parti di mezzo tocche dall'istrumento per esprimere qualche affetto, non essendo buone per altro. La onde dato principio in quei tempi à questi canti per una voce sola, parendo à me che havessero più forza per dilettare, e muovere, che le più voci insieme, composi in quei tempi, i Madrigali,, Perfidissimo volto,, Vedrò 'l mio sol,, Dovrò dunque morire; e simili; e particolarmente l'aria sopra l'Egloga del Sanazzaro ,,Itene à l'ombra de gli ameni faggi in quello stile proprio, che poi mi servì per le favole, che in Firenze si sono rappresentate cantando. I quali Madrigali, et Aria uditi in essa camerata con amorevole applauso, et esortazioni ad eseguire il mio presupposto fine per tal camino mi mossero a trasferirmi à Roma per darne saggio anche quivi, ove fatti udire detti Madrigali et Aria, in casa del Signor Nero Neri à molti gentilhuomini, che quivi s'adunavano, e particolarmente al Signor Lione Strozzi, tutti possono rendere buona testimonianza quanto mi esortassero à continovare l'incominciata impresa dicendomi per sino à quei tempi, non havere udito mai armonia d'una voce sola, sopra un semplice strumento di corde, che havesse havuto tanta forza di muovere l'affetto dell'animo quanto quei madrigali ; sì per lo nuovo stile di essi come perche costumandosi anco in quei tempi per una voce sola i madrigali stampati a più voci, non pareva loro, che per l'artifizio delle parti corrispondenti fra loro, la parte sola del soprano di per se sola cantata havesse in se affetto alcuno. Onde ritornato io à Firenze, e considerato, che altresì in quei tempi si usavano per i musici alcune Canzonette per lo più di parole vili, le quali pareva à me, che non si convenissero, e che tra gli huomini intendenti non si stimassero ; mi venne anco pensiero per sollevamento tal volta de gli animi oppressi, comporre qualche canzonetta à uso di aria per poter usare in conserto di più strumenti di corde; e comunicato questo mio pensiero à molti gentilhuomini della Città fui compiaciuto cortesemente da essi di molte canzonette di misure varie di versi, si come anche appresso dal Signor Gabbriello Chiabrera, che in molta copia, et assai diversificata da tutte l'altre ne fui favorito prestandomi egli grande occasione d'andar variando, le quali tutte composte da me in diverse arie di tempo in tempo, state non sono poi disgrate eziandio à tutta Italia, servendosi ora di esso stile ciascuno, che ha volsuto comporre per una voce sola, e particolarmente qui in Firenze, ove stando io già sono trentasette anni à gli stipendi di questi Serenissimi Principi mercè della loro bontà qualunque ha volsuto ha potuto vedere, et udire à suo piacere tutto quello, che di continovo ho operato intorno à si fatti studi ...
Dopo i primi esperimenti di successo presso i palazzi e le dimore signorili l'Opera non tardò ad approdare in Teatro. Pur essendo di proprietà dei nobili, i Teatri potevano finalmente ospitare anche le classi più umili, collocate in platea (all'epoca priva dellle comode poltrone in velluto ma provvista di sole panche di legno o posti in piedi) oppure nell'ultima galleria in alto, il famigerato Loggione o Piccionaia. I titolati e i ricconi alloggiavano nei palchi e da lassù, beatamente assisi, tra un gorgheggio e l'altro, potevano divertirsi in vario modo: le opere, soprattutto le prime, erano interminabili, anche sei ore e passa di durata. Uno dei giochi più in voga presso i Teatri della Serenissima (e non solo) consisteva nel far oggetto di sputi i poveracci che se ne stavano sotto, in platea, ad assistere allo spettacolo. Ce lo ricordano vari cronisti di quel periodo: il Saint-Didier in La ville et la République de Venise nel 1680, Gaspare Gozzi nella Gazzetta Veneta n.86, Giuseppe Baretti ne Gli italiani o sia relazione degli usi e costumi d'Italia, 1768-69, che testualmente scrive:
"I nobili hanno l'usanza di sputare dai palchetti nella platea.Quest'usanza odiosa e infame non può derivare se non dal disprezzo che ha l'alta nobiltà pel popolo, nondimeno esso tollera con molta pazienza tale insulto, e ciò che reca più sorpresa, si è ch'esso ama coloro che lo trattano in un modo sì villano; se qualcuno sente sulle mani o sul volto gli effetti di questi oltraggi, non monta sulle furie, ma se ne vendica facendo qualche breve ed arguta esclamazione."
Da ricordare anche che i ridotti dei teatri , cioè i foyers, ospitavano case da gioco. Chi si annoiava , chi non riusciva a digerire i lunghi recitativi di questo o quel personaggio, poteva tranquillamente abbandonare il proprio posto e recarsi a giocare, a bere qualcosa, a chiacchierare con gli amici. Da notare che i servizi igienici , fino a che non venne inventata la moderna toilette, erano rimediati con tragici secchioni posti addirittura all'interno del palco, in angoletti più discreti. Potete immaginare il soave effluvio di rose e gelsomini che invadeva il Teatro, dopo una o due ore di spettacolo:un vero e proprio sconcio, anch'esso censurato dai cronisti di allora.
Il Teatro d'Opera nasce come luogo di ritrovo dell'intera cittadinanza, crocicchio di tutta la comunità che vede in quella enorme bomboniera , affrescata e stuccata d'oro, un ideale centro di socializzazione. I palchetti sono circondati da specchi, che consentano agli astanti di guardare il palcoscenico anche se voltati o sbirciare impunemente le scollature delle damazze più eleganti e vistose. In Teatro si può bere, mangiare, giocare d'azzardo, assistere tra un atto e l'altro dell' operona di turno a piacevoli Intermezzi comici, generalmente eseguiti da pochi interpreti, oppure a balletti, spettacoli di genere circense (funamboli, mangiatori di fuoco, prestigiatori, animali addestrati). Insomma, si entra e non si esce più , fino a tarda o tardissima ora. Il Teatro (Opernhaus in Germania e Austria, Opera House in Inghilterra) è per l'appunto un' altra "casa" , dove trascorrere il tempo, dove vivere e sognare, con l'accompagnamento, a volte solo sottofondo, di musica lirica. Un normale frequentatore d' Opera di oggi resterebbe scioccato dalle particolari condizioni in cui veniva eseguita una partitura nel Settecento o nell'Ottocento. Il rito iniziatico imposto dalla prassi attuale, fatta di silenzi , di concentrazione, di minimi brusii, si contrappone al clamore, agli schiamazzi, all'incredibile frastuono che accompagnava l'esecuzione di un normale spettacolo operistico. Berlioz , nelle sue Memorie redatte tra il 1803 e il 1865, ricorda così una recita di Elisir d'amore di Donizetti al Teatro della Canobbiana di Milano:
"Trovai la sala zeppa di gente che parlava ad alta voce e girava le spalle alla scena; ciononostante, i cantanti gesticolavano e si spolmonavano a più non posso, o almeno così mi lasciava credere il fatto che li vedevo spalancare una bocca immensa, poiché a causa del rumore che facevano gli spettatori, sarebbe stato comunque impossibile udire altro suono che quello della grancassa. Nei palchi si giocava, si cenava, ec. ec.".
L'Opera nasce quindi come spettacolo per un élite di nobili e di intellettuali, cresce e si esalta nei Teatri fino a conoscere grandi successi nazional-popolari verso la metà dell'Ottocento, matura e si stabilizza nel Novecento come spettacolo per tutti e di tutti, ormai ammirata come reperto archeologico di grande valore, riposta amorevolmente (se va bene) nella teca di un museo. Fino almeno all'ultimo trentennio del Novecento i cartelloni operistici dei pricipali Enti lirici italiani contavano un considerevole numero di titoli nell'arco della stagione, si andava all'Opera non dico tutti i giorni ma quasi. Così fu nel passato, così è ancora in talune città particolarmente "melomani" da garantire al pubblico una presenza quotidiana in Teatro, Così è a Vienna, a New York, a Monaco di Baviera, a Londra , Zurigo e Parigi. Ovvio che siano queste le mete preferite da chi ama l'Opera e ne vuole fruire in dosi notevoli. In Italia i principali Enti Lirici (oggi Fondazioni) , pozzo senza fondo buono per arricchire qualche sovrintendente e qualche agente a esso collegato, sono andati progressivamente diminuendo i titoli in programma, posticipando l'inizio delle stagioni (l'Opera di Roma è giunta ad inaugurare la stagione a fine gennaio!!!), abbreviandole e centellinando le produzioni al ritmo di una ogni mese o quaranta giorni, per un totale di circa sei,sette titoli annuali! Restano invariati i costi: anche quattro milioni di Euro per una sola produzione, che non vengono nemmeno lambiti dagli incassi e dalle sovvenzioni statali. Di questa cifra si consideri che il solo 19% va per i cachet artistici, il grosso viene divorato dai costi dell'allestimento (regìa, scene, costumi) e ovviamente , ogni fine mese, per i dipendenti del teatro (che in molti casi sono tantissimi, troppi: si pensi al San Carlo di Napoli, all'Opera di Roma, alla stessa Scala...). Cachet stratosferici per registi "alla moda" , magari quelli che ti piazzano un cubo sul palcoscenico e impiegano 40 giorni di prova per far sollevare un braccio al soprano; taluni sono arrivati a percepire anche 500.000 Euro a produzione. Registi conclamati che tra pizzi e vecchi merletti ripropongono allestimenti-fotocopia, cloni di loro stessi (cloni costosi, troppo). Le fondazioni liriche presentano , annualmente, un costante deficit di svariati milioni di euro; molti lo celano goffamente (clamoroso il caso dell'Ente lirico di Cagliari che nel 2004 presenta alla stampa 4,5 milioni di euro di deficit ufficiale , mentre invece risultava essere di oltre 20 milioni ; caso analogo a Genova nel 2010, quando le cifre in rosso presentate dal commissario Ferrazza erano ben lungi da essere quelle reali, con conseguente clamorosa chiusura del teatro e cassa integrazione per i dipendenti). Ma sarebbe ingiusto citare solo questi due teatri poiché la prassi è comune a TUTTI, nessuno escluso. Né le cose sono andate meglio per quanto concerne la gestione interna dei dipendenti: dal clientelismo più smaccato a fenomeni di nepotismo clamorosi (posti tramandati di padre in figlio, assunzioni forzate, assenteismo cronico, prebende e permessi rilasciati con disinvoltura a questo o a quell'orchestrale o corista), Malvezzi estesi a ogni settore: in costumerìa fatture gonfiate a dismisura, lavanderìe del teatro pagate per occuparsi della biancherìa del Direttore d'orchestra e della sua corte. Lo stesso dicasi per gli allestimenti scenici: palate di soldi versati a ditte esterne, appalti truffaldini, così come per le tangenti versate ad agenzie per l'ingaggio di taluni artisti, un vero e proprio giro di ricatti di evidente matrice mafiosa. In molti casi gli stessi direttori artistici hanno intascato parte del cachet sia dai cantanti scritturati sia dagli agenti: vi son stati casi di Sovrintendenti (Claudio Desderi a Palermo, per esempio, quando ha diretto l'orchestra nel "Barbiere di Siviglia") che hanno scritturato...sé stessi attraverso il loro stesso agente! Altri (Mauro Meli a Cagliari) che autorizzavano un'agenzia collocata all'interno del teatro stesso, con tanto di ufficio (casa e bottega) e che facevano passare i contratti attraverso giri di agenzie fittizie (legate soprattutto al domineddio Procinsky), così da far lievitare mostruosamente i costi. Direttori d'orchestra collusi, i più grandi...scambismi degni d'un film di Tinto Brass, per non parlare dei 'balletti rosa' , unisex bisex trisex e multisex, organizzati nei palchi, negli uffici, nei gabinetti e in costumerìa, dove il povero Cresci venne sorpreso travestito da Cleopatra (il costume di Montserrat Caballé in "Giulio Cesare" di Handel, l'unico per la sua taglia) in compagnìa di alcuni allegri ragazzotti. Un giro di filmini a scopo ricattatorio ha contribuito a rendere ancor più allegra e scanzonata la sarabanda e più tragicomica la situazione. E intanto i deficit crescevano. Ovvio che una simile situazione, perdurando nel tempo, abbia condotto a un vero disastro ; agli occhi dei nostri politici, che poi sono corresponsabili, l'Opera diventa un pozzo di San Patrizio, un lusso per pochi eletti o monomaniaci, un bene voluttuario, di cui si può tranquillamente fare a meno. Ci sono tagli da fare alla Finanziaria? Si tagliano i fondi del FUS, Fondo Unico per lo Spettacolo: costringendo il maestro Muti , il direttore d'orchestra più spettacolare, a salire sul podio e ad arringare la folla come Masaniello o Savonarola. "Siamo stufi di mendicare!" ha gridato Muti dal palcoscenico degli Arcimboldi nel luglio 2004, protestando contro il totale disinteresse della politica per la cultura. Soltanto lo 0,39% del bilancio statale viene destinato dall'Italia ai beni culturali, contro l'1,35% della Germania, l'1% della Francia e lo 0,9% del Portogallo. Parole al vento. Già oggi, al Tg3, Muti scende dal pulpito e si limita a un laconico "Ho già dato, non sono un parafulmini" , pur richiedendo una cifra colossale all'Opera di Roma per il suo prossimo ingaggio. Altra corresponsabile è l'azienda televisiva di servizio pubblico, la Rai, un tempo attenta a riservare spazi importanti alla diffusione della cultura operistica, oggi totalmente dimentica di questo preciso obbligo e impegnata solo a contrastare (per finta) lo strapotere delle reti private. A titolo di pura, nostalgica informazione ricorderò alcuni dei titoli operistici proposti non da un Teatro d'Opera ma dalla stagione organizzata, in forma concertante s'intende (cioé senza scene e costumi), dall'EIAR , l'attuale RAI, nel 1937; si tratta di ben 46 titoli (!) tra cui: Adriana Lecouvreur, Arianna a Nasso (Strauss), Bohème (Puccini), Don Carlos, Elisir d'amore, Faust, Fedora, Manon Lescaut, Trovatore, Wally, ma anche opere nuove o di raro ascolto come Alcassino e Nicoletta (Barbieri), La Bella dormente nel bosco (Respighi), Le preziose ridicole (Lattuada), Siberia (Giordano), Thais (Massenet), insomma , una vera e propria abbuffata. Immaginate che razza di veicolo promozionale ed educativo poteva essere rappresentato dall'Eiar di allora, contro la Rai dell'Isola dei Famosi e de La prova del cuoco di oggi!? Per soffrire un pò di più varrà la pena di ricordare i cantanti di quella stagione: Gigli, Tagliabue, la Albanese, la Cigna, la Stignani, la Adami Corradetti, la Elmo, Merli, Pasero, nomi ormai mitici, leggendari, tra i massimi interpreti di ogni tempo.I direttori d'orchestra, lungi dall'essere routiniers o chaperons di simili cantanti, si chiamavano Gui, Serafin, Mascagni, lo stesso Giordano, Zandonai. Altri tempi, si dirà. Non ne abbiamo il minimo dubbio: altri tempi, se pensiamo che un articolo del 1992 a firma Luigi Pasquinelli ("Rai, il silenzio della musica"), pubblicato sul Messaggero di Roma, denunciava le scandalose 172 ore in un anno dedicate a concerti e opere, contrapposte alle 24.455 totali! Lo stesso anno, il direttore generale della Rai, Pasquarelli, decretò la morte delle orchestre e dei cori della Rai di Roma, Napoli e Milano, lasciando in vita la sola orchestra di Torino, un ennesimo schiaffo alla cultura e alla divulgazione della musica seria. Dal 1992 a oggi le centosettandue ore sono persino diminuite, riducendosi la Lirica alle apparizioni sporadiche di Katia Ricciarelli (dapprima in quanto consorte del potente Baudo, poi in qualità di ex-consorte!) , il Pavarotti International da Modena (durato una decina d'anni, interrotto nel 2004, ma che con l'Opera ebbe assai poco a che vedere), qualche comparsata di Muti (le prime scaligere, per carità di patria non vennero più trasmesse , dopo il clamoroso "flop" del Macbeth su Raiuno nel 1997) e naturalmente Bocelli, a prezzemolo, equamente distribuito tra Papa, Bush, Ground Zero, Limiti, Carrà, Venier, piazze di tutto il mondo e persino Teatri (Bohème da Cagliari, in diretta su Raidue). RaiUno trasforma Marzullo in “maestro di cerimonie” musicale (Musica per sognare o….sognare la Musica?), mentre la sola RaiTre conserva alcuni tradizionali spazi dedicati all'Opera ("Prima della Prima") , ma la messa in onda è stata spostata, colpevolmente, dalla seconda serata alle ore piccole, quando vegliano i gufi e gli insonni cronici. Fanalino di coda la consorte di Costanzo, Maria De Filippi, che nel suo popolare show "Amici" decide nel 2009 di inserire giovani talenti del genere operistico, salvo poi sbertucciare loro e l'Opera stessa, ridotti come si suol dire a "carne di porco": "Ma sei un tenore leggero?" fa la De Filippi a Matteo Macchioni, "E chi è il tenore pesante?" aggiunge. Si potrebbe riscrivere tutto, aggiornando i vecchi manualetti ma forse sarebbe meglio RIFORMARE tutto, tornando a far sentire alta la voce delle nostre coscienze e mandando a casa parecchia gente che invece di SERVIRE l'Arte...se n'è servita.
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