2010, OPEROPOLI: INIZIA IL CONTO ALLA ROVESCIA... |
Domenica 22 Agosto 2010 13:14 |
Siamo di fronte a una vera e propria ondata “nera” che travolge le Fondazioni liriche italiane. Per la prima volta , da Nord a Sud , appare lo spauracchio del “teatro chiuso”. Ciò che si paventava, già da anni, si realizza come il dilagare di un morbo, il propagarsi della peste. Ha aperto le danze (macabre) la notizia della chiusura per alcuni mesi del Teatro Carlo Felice di Genova, schiacciato da un deficit abbastanza mostruoso, in parte non rivelato dai bilanci presentati dall'ultimo 'commissario straordinario' preposto dal Governo,Ferrazza. Lavoratori in cassa integrazione, programmazione sospesa, danni incredibili all'immagine del Teatro, futuro avvolto dalle nebbie del mistero: in Italia se chiudi non sai mai quando riapri. A dire il vero sono a rischio molte delle 13 Fondazioni liriche, almeno 7 vengono puntate dal mirino inesorabile dei revisori contabili, navigando da tempo in stato di perenne deficit. Non dobbiamo però credere che la chiusura di un teatro, per triste e deprecabile che sia, costituisca un fatto desueto o storicamente raro. E' una prassi abbastanza comune, esattamente come accade mutatis mutandis a un esercizio commerciale, a un'azienda o persino a una semplice boutique, per lussuosa o prestigiosa che possa essere. Lo stesso Carlo Felice ha una storia abbastanza sofferta: inaugurato nel 1828 come Teatro Lirico poi dedicato a Carlo Felice di Savoia, nel 1943 divenne Teatro Comunale dell'Opera, appena due anni dopo si trasformò in Teatro Comunale “Giuseppe Verdi” . Durante la II Guerra Mondiale il teatro venne colpito e parzialmente distrutto per ben due volte, prima di essere ricostruito e inaugurato di nuovo si dovette attendere il 1991 , quando nella nuovissima sala si assistette al “Trovatore” di Giuseppe Verdi. Quell'edizione, cui il sottoscritto assistette, non fu certo memorabile se non per alcune tragiche perle nere: il baritono Carroli non ricevette altro che zittii e “buh!” al termine della sua grande scena nel II atto, la Kabaivanska diede il suo meglio in “D'amor sull'ali rosee” ma la salvò giusto il mestiere, il tenore Johansson declamò in modo stentoreo tutta la parte e la Verrett come Azucena siglò malauguratamente l'intero spettacolo con delle sonore quanto inopportune risatazze diaboliche. Nel 2005 si cercò di cancellare il nome Carlo Felice in favore di Mazzini, ma la cosa non andò in porto. Una delle cause principali della chiusura dei teatri è storicamente l'incendio, anche questo determinato da ragioni non sempre accidentali: roghi celeberrimi furono quelli che distrussero nel 1836 e successivamente nel 1996 la Fenice di Venezia, quest'ultimo appiccato da un elettricista, tale Carella, che tentò così di non pagare le penali contrattuali previste dal ritardo del suo operato! Nel 1991 stessa sorte toccò al Petruzzelli di Bari, detto “il Teatro degli Imbrogli” , per la sua intricatissima e tragicomica storia, passata attraverso cause, risarcimenti, confessioni in punto di morte, arresti, scarcerazioni, danni, scontri epocali tra la famiglia dei proprietari, i Messeni Nemagna, e il Comune. Il 6 dicembre del 2009 il Teatro, magnificamente restaurato, venne nuovamente inaugurato con “Turandot”. Ma gli incendi sono divampati un po' ovunque: nel 1816 al San Carlo di Napoli,nel 1936 al Regio di Torino,nel 1672 e nel 1791 stessa sorte toccò al più antico teatro londinese il Drury Lane, ricostruito e nuovamente distrutto dalle fiamme nel 1809 (!!!), a Siena (Teatro dei Rinnovati, bruciato nel 1742), a Dublino (il Teatro dell'Opera andò in cenere nel 1951), al Teatro Comunale di Treviso nel 1868, al Teatro di Cremona nel 1824,per non parlare dei due terribili roghi che devastarono il Liceu di Barcellona prima nel 1861 e poi nel 1994. Né il fenomeno degli incendi può dirsi limitato a precisi periodi storici: dal rogo di Nerone nell'antica Roma al recentissimo incendio che ha colpito il Teatro Vaccaj di Tolentino (gioiello di inestimabile bellezza) , sembra che esista una linea di fuoco praticamente ininterrotta. T.Vaccaj... ieri T. Vaccaj...oggi I teatri, talvolta, possono chiudere per un preciso progetto, com'è capitato al famoso “Teatro del Silenzio” creato da Andrea Bocelli nella natìa Lajatico (Pisa) nel 2006: cinque edizioni dovevano essere e cinque sono state, collocate in un meraviglioso anfiteatro naturale in mezzo alle colline pisane. Il “Libiamo” dalla Traviata di Verdi cantato da Bocelli, Carreras, Zucchero di fronte a 10.000 spettatori lo scorso luglio ha siglato questo curioso esperimento, in un clima di festa e di riconoscenza.
Lo spettro che invece volteggia in questi ultimi mesi , sinistro e famelico come un condor, è assai più pericoloso di un incendio: è il fantasma dei deficit, che riducono a zero le casse delle varie fondazioni e di fatto ne impediscono lo sviluppo futuro. Come si crea un deficit? E' abbastanza semplice: fatture pompate , appalti a ditte esterne, noleggi a costi altissimi, straordinari e assunzioni a cuor leggero , nepotismi, tangenti sottobanco ad agenzie o ad artisti , soldi in nero, cachets stratosferici e via con una lista di truffe grandi e piccole che sommate assieme determinano il bilancio in rosso. Dopodiché, tutti d'accordo (amministratori , sovrintendenti o commissari), si ritoccano i libri contabili, nascondendo il più possibile le peggiori magagne, e poi ci si lamenta in Coro, all'unisono...piangendo come nel Nabucco non la “patria perduta” ma i finanziamenti non erogati, il famoso Fus (fondo unico per lo spettacolo) che un tempo non lontano era arrivato alla bella cifra di quasi 1000 milioni di Euro e che dall'anno prossimo rischia di ridursi a soli 310 milioni. Abbiamo più volte sostenuto, in maniera ovvia e scontata, che i tagli alla Cultura sono sempre da deprecare , ma a fronte di gestioni così palesemente truffaldine, scorrette, ben oltre i limiti del Codice Penale come si può affermare che lo Stato, sia esso rappresentato da un governo di destra o di sinistra, debba far precipitare milioni di euro in un buco nero, praticamente senza fondo? C'è da riflettere su un dato abbastanza semplice: più contributi statali, più “truffe” messe in opera da un sistema perverso. Questo sistema va cambiato e come tutte le rivoluzioni, grandi e piccole, lascerà scìe di sangue: saranno indubbiamente colpiti i lavoratori delle Fondazioni, con l'odioso strumento della cassa integrazione , durante la quale non si può nemmeno lavorare “gratuitamente”, com'è noto. Di conseguenza le stagioni liriche, già ridotte a pochi titoli l'anno (un'opera ogni 40 giorni nel migliore dei casi) si ridurranno ulteriormente e a quel punto, ci si domanda: perché stipendiare centinaia di dipendenti, maschere, macchinisti, orchestre, Cori, corpi di ballo quando il teatro non produce? Un teatro che non produce è un teatro morto: il segnale che arriva al pubblico è “il Teatro semplicemente non c'è, non esiste”. Ma non era un fenomeno in atto da tempo, mi chiedo? Non era , il Teatro (d'Opera, di prosa) già scomparso dai palinsesti della Tv o dalla semplice educazione scolastica e persino familiare? Il trend negativo era segnalato da tempo e ,a scanso di ogni equivoco, non certo per indossare i panni di Cassandra, erano tutte cose che personalmente ho detto e scritto da oltre 10 anni. Ho persino deposto presso la Guardia di Finanza, facendo nomi e cognomi, consegnando dati e dossiers sulla questione, non più di tre anni fa. Ho parlato con magistrati e ho visto con i miei occhi dei fascicoli, pronti, che se finissero in mano ai settimanali costituirebbero uno scandalo da copertina, titolo: Operopoli.
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