GRIGOLO, THE ITALIAN TENOR |
Lunedì 20 Settembre 2010 07:36 |
Vittorio Grigolo è il recente Duca di Mantova nel "Rigoletto" realizzato "nei luoghi e nelle ore" da Andrea Andermann. La presenza è accattivante: un ragazzo che sprizza energìa da ogni poro e che manifesta un trascinante entusiasmo per l'Opera lirica. Grigolo è uno che ci crede: si vede e si sente. Esce ora , in concomitanza con il controverso evento mediatico, l'album della Sony "The italian tenor" , titolo assai poco fantasioso a dire il vero: da Caruso in poi abbiamo avuto una pletora di "italian tenors" e Grigolo sembra quasi aggiungersi oggi con prepotenza. La copertina lo ritrae pensoso, lo sguardo lievemente corrucciato, abito e cravatta neri alla "Blues Brothers" , mancano gli occhiali da sole e siamo a un passo da John Belushi. Ma com'è la voce di Vittorio Grigolo? Intanto è la classica vocalità del tenore lirico leggero: timbro chiaro, a tratti efebico, passaggio di registro alto (tra sol e la bemolle) , acuti brillanti, vibrato stretto, uso di falsettoni e a volte di falsetti, mezzevoci suadenti e sospirose. Repertorio d'elezione? Presto detto: dal tenorino di Cimarosa e Paisiello (Paolino nel "Matrimonio segreto"), a Nemorino, Conte d'Almaviva, forse il Mozart della Trilogìa dapontiana, arrivando a lambire Traviata, Rigoletto e , extrema ratio (in particolari condizioni acustiche)...Bohème. Il repertorio che fu di Tito Schipa, tanto nomine. A dire il vero Grigolo è anche un attivissimo cultore del crossover, come dimostrano i molti dischi e i concerti in cui getta un ponte tra la vocalità operistica e quella più eminentemente "leggera"...
Il disco si presenta assai audace nella scelta dei brani: c'è sì Rigoletto ed Elisir, ma campeggiano anche la drammaticissima Luisa Miller, il Ballo in maschera, il Corsaro, addirittura la Manon Lescaut, la Tosca e iol Trovatore per chiudere. Troppo, signori, troppo....direbbe Adriana Lecouvreur. Grigolo canta tutto, le note sono lì ma è costretto a bluffare oltre i limiti consentiti dal mezzo tecnico: in "Quando le sere al placido" appaiono suoni spoggiati ed esili, che in teatro farebbero fare ben magra figura al loro esecutore. Manca a questo Verdi l'arcata eroica che aveva caratterizzato le memorabili esecuzioni di Bergonzi e Pavarotti, lontani da Vittorio quanto Los Angeles da Roma. Lo stesso dicasi per Tosca e per Puccini, dove manca alla vocalità schietta e chiara di Grigolo lo slancio appassionato, il velluto, la brunitura naturale del timbro, lo spessore, quella che i vecchi chiamano "la canna". Nella stretta della "Pira" , confrontandosi con il Ruiz vigoroso di Luca Casalin, il Manrico scanzonato di Grigolo fa la figura di uno scolaretto in gita casuale presso i monti di Biscaglia. Intendiamoci: siamo molti passi avanti, tecnicamente parlando, rispetto a un Villazon o a un Kaufmann, ma è proprio la natura vocale a imporre dei precisi limiti a questo artista.
Emerge poi un singolare vezzo, quello di strisciare la "esse" . Carlo Bergonzi, emiliano d.o.c., venne rimproverato da sempre per il suo "Sche quel guerrier io fosschi" ma con Grigolo, romano, il vezzo non si spiega: " Ma ssche m'è forza perderti, per sschempre o vita mia", "...e muoio disschperato...", " Possschente amor mi chiama"....siamo a un passo da Mina.
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