RUMORS ....ROMA CAPUT DEFICIT
Venerdì 29 Ottobre 2010 07:09

 

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  Opera di  Roma:  sul  filo  del  rasoio...

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Al Teatro dell’Opera è previsto per il 2010 un deficit di 11 milioni.

Di questo debito di 11 milioni, una quota pari a 7 milioni verrebbe ripianata dal Comune, altri 3 milioni li dovrebbe reperire il Sovrintendente (come?), e uno verrebbe recuperato con un piano industriale che prevede sostanzialmente una iniziativa di riduzione del personale.

A tal riguardo si potrebbero seguire ipotesi alternative facendo riferimento a quanto è stato proposto e realizzato nella stagione artistica corrente.

L’attuale stagione artistica 2010, infatti, definita con oculata politica programmatica nel periodo del commissariamento, facendo ricorso ad allestimenti meno costosi ed a scelte artistiche più equilibrate, valorizzando gli artisti italiani (e non dando corso a quel provincialismo esterofilo che trova interesse solo nei nomi stranieri  per  pura incapacità  nelle scelte e  per  cedimenti ai  ricatti  d'agenzia) aveva già nella previsione di spesa un costo inferiore a quella precedente di circa 1.500.000 euro.

Al contempo, tale stagione, concepita per risvegliare nel pubblico l’attenzione per il teatro d’opera, ne ha indubitabilmente incontrato il favore (stando agli incontrovertibili dati di biglietteria), con un incremento di spettatori, al 30 giugno 2010 (primo semestre), rispetto al primo semestre del 2009, di circa 20.000 unità (19.573), pari ad un +27,03%: un incremento straordinario che non si registrava da decenni!

Peraltro, già i dati relativi agli abbonamenti per la stagione 2010 avevano indicato un significativo aumento nel numero di questi, pari al 10%, che indirizzava verso un cauto ottimismo nella previsione dei dati di biglietteria (e testimoniava il netto favore del pubblico).

Naturalmente il maggior numero di spettatori ha determinato un conseguente aumento degli incassi (sempre rispetto al primo semestre dell’esercizio 2009) pari a circa € 850.000 (+32,5%).

Considerando un prevedibile analogo incremento degli incassi nel secondo semestre del 2010, pari a quello verificatosi nel primo semestre, si sarebbe potuto supporre il raggiungimento di almeno 1.500.000 € totali in più al 31 dicembre 2010.

Pertanto, sommando il risparmio totalizzato all’atto della programmazione (ca. 1.500.000€), più i maggiori incassi (1.500.000 €), si sarebbe raggiunta la cifra considerevole di 3 milioni di euro.

Ecco, quindi, che ben tre milioni sarebbero già entrati nelle casse della Fondazione con scelte artistiche opportune: non era necessario, perciò, prevedere “piani industriali” (più adatti ad aziende commerciali che a teatri d’opera) per risanare i bilanci, ma dar modo alla macchina “Teatro” di funzionare al meglio in quelle che sono le sue più peculiari prerogative, cioè la proposta artistica.

Ciò, però non si è potuto realizzare appieno in quanto l’ultimo titolo previsto nel cartellone 2010, l’Adriana Lecouvreur, è stato inopinatamente cancellato.

Tale cancellazione non trova spiegazione nelle addotte motivazioni di contenimento dei costi, in quanto l’Adriana era probabilmente una produzione a costo vicino allo zero: l’allestimento è di proprietà del teatro (con le splendide scene di Rondelli) e la compagnia di canto, direttore e regista sarebbero stati sicuramente compensati ogni sera dallo sbigliettamento.

          tenebrae Tenebrae...per  pochi!

Perché non si è cancellata la produzione di Tenebrae, la nuova opera di Guarnieri la cui regia era affidata a Cristina Mazzavillani Muti, moglie dell’omonimo maestro, alla quale hanno assistito, in tutto, solo poche decine di persone e che aveva dei costi certamente superiori a quelli dell’Adriana?

Tornando ai dati di biglietteria, i dati sopra forniti sono stati “curiosamente” tenuti nascosti. Forse perché chi avrebbe dovuto divulgarli li ha ritenuti irrilevanti visto che rientravano nel merito di scelte artistiche piuttosto che in quello di scelte gestionali o forse perché non ne è stata valutata l’esatta portata o, ancora, più probabilmente, perché non si vuole mostrare che l’utilizzo di allestimenti con scene dipinte:

  • 1) è più adatto ad un teatro ottocentesco come il Costanzi, concepito per quel tipo di scene (così come lo sono la gran parte dei teatri italiani);

  • 2) consente un aumento significativo della produzione (le scene si montano e si smontano in un giorno e non in settimane e possono coesistere più allestimenti);

  • 3) permette di fare più cambi scena essendo più agili (quindi alla fine le scene risultano più sontuose);

  • 4) è più gradito al pubblico del teatro d’opera (che non va a vedere le scene ma va a rivivere la vicenda drammatica e a sentire i cantanti e la musica: per gli effetti speciali c’è il cinematografo o il luna park!);

  • 5) costa infinitamente meno (mediamente un decimo delle scene costruite);

  • 6) consente di non occupare troppo spazio per l’immagazzinamento;

  • 7) permette di riutilizzare le scene con facilità e a costo zero (perché di proprietà del teatro)

  • 8) è filologico, etc. etc.


Le scene dipinte non consentono, però:

  • 1)di lucrare sulle commesse per la costruzione ;

  • 2) di lucrare sul riutilizzo di materiali strutturali come avviene per le scene costruite (che spesso vengono demolite quasi subito perché ingombranti e perciò utilizzate al massimo una o due volte riutilizzando poi i materiali strutturali a prezzo pieno);

  • 3)di legare un titolo d’opera agli stessi nomi di regista e scenografo (alimentando una chiusura quasi totale all’ingresso di nomi nuovi in queste discipline);

  • 4)di diseducare il pubblico proponendogli continuamente spettacoli incomprensibili, permettendo quindi di far lavorare anche amici e “compagni di merende” (chi riconosce più la professionalità in questo marasma?);

  • 5) di dare ai divi della bacchetta l’inebriante sensazione di dirigere soltanto “nuove produzioni” ed, infine,

  • 6) di tenere il mercato (di direttori, registi, cantanti, scenografi) calmierato a poche produzioni, facendo sì che a lavorare siano solo quei pochi inseriti nel meccanismo (inserimento che, ormai è chiaro, avviene per tutt’altri meriti da quelli artistici).

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Sulla stessa linea dell’Adriana ci si era trovati ad inizio stagione con il Mefistofele. Questo era previsto nell’allestimento realizzato dallo scenografo Parravicini negli anni ’60 e pur di non utilizzarlo si è giunti a dire che non esisteva (sic! Le scene provenienti dal teatro di Palermo per il quale erano state costruite si trovano a Roma e sono di proprietà della ditta Izzo) facendo quindi in modo di inventare una struttura scenica fissa (una grande scala sulla quale stazionava il coro: quanto è costata?), una specie di torretta-ascensore ove saliva Mefistofele (quanto è costata?) e la proiezione dei bozzetti delle scene di Parravicini. In luogo  del  meraviglioso, storico allestimento del Parravicini ....una  brutta  e  cosrtosissima  soluzione. Bel modo  di risparmiare!  Ecco  come si crea  un deficit!

Il tutto ha determinato un aumento dei costi di allestimento di tre o quattro volte.

Per non parlare, poi, della sostituzione di interpreti che partecipavano con compensi molto più bassi di quelli corrisposti a chi li ha sostituiti.

Si consideri, infatti, che chi percepisce1 5.000 o 20.000 € a sera rispetto a chi ne percepisce 3.000, su un numero di sei o sette recite, determina un esborso ulteriore di quasi 100.000 € per il Teatro. Moltiplicando tale cifra per più artisti e sommando l’aggravio di costi determinato da allestimenti più onerosi, è facile raggiungere la cifra di diverse centinaia di migliaia di euro per ogni titolo, che moltiplicata per diverse produzioni giunge con facilità a cifre di svariati milioni di euro!

In conclusione, la vera politica da seguire dovrebbe essere quella dell’aumento della produzione, che, associata ad una oculata e sana politica programmatica e di allestimenti, recupererebbe una fascia di pubblico che è potenzialmente assai più ampia di quella che attualmente frequenta il Teatro, e consentirebbe a questo di realizzare un vero ed efficiente “servizio culturale” capace di determinare anche utili rilevanti (si consideri che le masse artistiche sono comunque pagate e se lavorassero di più non determinerebbero costi aggiuntivi).

Un progetto di recupero del rapporto con la Città, con un significativo, progressivo aumento degli spettatori e della visibilità della Fondazione, sarebbe in grado, è di tutta evidenza, di attrarre anche quei finanziamenti privati che, al momento, trovano difficoltà a dare il loro apporto.

Salvare i teatri d’opera italiani è possibile.

Basta volerlo.