E MUTI BRANDI' LA SCIABOLA |
Domenica 13 Marzo 2011 14:15 |
NABUCCO A ROMA : IL MAESTRO CON LA SCIABOLA
Ho sempre avuto la sensazione che Nabucco sia l'opera attorno alla quale ruota l'intero universo interpretativo di Riccardo Muti. Dirò di più: Nabucco è l'opera più “mutiana” che esista, per svariate ragioni non soltanto affettive. E' l'opera con cui Muti si fece conoscere nel lontano 1977 , quando era direttore stabile a Firenze: la diretta televisiva incollò al video milioni di telespettatori. E' l'opera scelta per l'esordio scaligero, nel 1986, pietra miliare di un percorso di quasi vent'anni. E' l'opera scelta da Muti per festeggiare all'Opera di Roma il 150mo dell'Unità d'Italia. Un lungo matrimonio, quindi. Ma Nabucco è anche l'opera in cui si ritrovano assieme tutte le caratteristiche che sono proprie del Muti direttore d' Opera: ritmi sfrenati e garibaldini, marce, Cori magniloquenti, stacchi decisi , strette vorticose, effetti. E' stato bello e anche commovente ritrovare Muti nel pieno delle sue forze , come ai vecchi tempi: Sinopoli lo chiamava “il maresciallo” , e in effetti la bacchetta di Muti è stata brandita come una sciabola , come il bastone del maresciallo. Un maresciallo d'Italia, vista la particolare occasione di questo Nabucco romano. Fin dalla Sinfonia, ma direi soprattutto nel finale del I atto, nelle cabalette del basso, di Abigaille, di Nabucco nel IV atto, per concertati e strette finali, abbiamo udito trillare gioiosamente l'ottavino , rombare i timpani, barrire i tromboni, esplodere festosi i piatti, fino a rasentare il parossismo, a un passo dalle esecuzioni bandistiche che giustamente il Maestro apprezza, perché appartengono all'humus profondo del primo Verdi. Per il Coro dei babilonesi che apre il III atto e all'inizio del celebre “Va pensiero” abbiamo deprecato il fastidioso tintinnìo dei telefonini , incautamente tenuti accesi da qualche orchestrale: ma ci sbagliavamo....era il triangolo, che con Muti diventa del tutto identico a un sonoro squillo telefonico. Di quei vecchi telefoni che hanno preceduto l'era del cellulare. Una festa, una baldoria in un clima che si annunciava tutt'altro che allegro. La serata si è aperta infatti con una calda perorazione del sindaco Alemanno, che a gran voce ha deprecato i tagli ministeriali . Un grande applauso ma anche il laconico commento di un signore da un palco:”Troppo tardi!”. Muti, subito dopo afferra un microfono e ricorda che l'Opera è un inalienabile patrimonio italiano, da difendere e salvare.Applauso.
Sul palcoscenico agiva un cast molto equilibrato, che ha visto punte di eccellenza nel giovane basso Dimitry Beloselsky , di solido fraseggio e bel colore vocale , che è uscito indenne dai mille pericoli proposti dalla parte di Zaccaria: il registro acuto è stata la sua arma vincente (ottimo il fa diesis che chiude il III atto), meno efficaci le note gravi. Stesso discorso per la spavalda Abigaille del soprano ungherese Csilla Boross, squillante e sicura negli acuti, autorevole e a posto tecnicamente, con un'ottima pronuncia italiana.In scena una magnifica figura , dallo sguardo tagliente:
C.Boross Il tenore Antonio Poli era Ismaele: una voce molto bella di colore, nitida, ma sicuramente non adatta- almeno per ora- a ruoli troppo drammatici; fin dal suo ingresso Ismaele si presenta con una tempra e un piglio eroici, non a caso è stato un ruolo tradizionalmente affidato a tenori di grana spessa. Poli, non appena l'orchestra aumentava di decibel, veniva invariabilmente sommerso, fino a scomparire nel finale della scena della maledizione (“ Il maledetto non ha fratelli”) e nei concertati. Lo vedrei bene, piuttosto, come Nemorino e Don Ottavio: sarebbe salutare per lui e per non forzare inutilmente la sua preziosa vocalità. L.Nucci (Nabucco,Verona) Protagonista Leo Nucci, un veterano. Molto bene vocalmente, appena appena opacizzato il timbro ma sempre solidissimo nel registro alto. Una tendenza a nasaleggiare non appena è richiesta una mezzavoce (“Tremin gli insani”, “S'appressan gli istanti”) ma soprattutto, e questo spiace, la caratterizzazione troppo marcata di Nabucco “demente” , dopo la folgorazione divina che avviene alla fine del II atto. Nucci si abbandona, quando vuole simulare la sorpresa o lo spavento, a facce e movenze che sarebbero più consone a un Don Bartolo o a un senescente Don Pasquale. Nabucco è prostrato, abbattuto, ma non è un babbeo né un clown: complice anche la non-regìa , Nucci ha caricato il personaggio rendendolo comico. L.Nucci (Rigoletto) Brava Anna Malavasi come Fenena, fino al la naturale dell'aria, “Oh dischiuso è il firmamento”, una nota davvero disagevole per come è scritta: purtroppo alla Malavasi è venuta un po' spinta, dura, si vede che ha avuto un po' di lecita paura. Molto bene invece il terzetto del I atto e gli altri interventi.
Tra i comprimari: molto bene la Anna di Erika Grimaldi, dagli acuti penetranti (ricordiamo che raddoppia Abigaille nei concertati), l'Abdallo di Saverio Fiore, inappuntabile, mentre troppo ingolato è risultato il basso Goràn Juric come Sacerdote di Belo.
La prova del Coro è stata ottima, anche se non si è ripetuto il miracolo di compattezza e omogeneità dell'Otello , prima tappa dell'Era Muti a Roma. Molto precisa l'orchestra, messa a dura prova dai tempi spesso forsennati del concertatore: solo la cadenza del flauto nel primo “Va pensiero” non era intonatissima, per il resto una bella compattezza e una qualità complessiva di alto livello.
La regìa di Jean Paul Scarpitta e le sue scene non meritano un gran commento, semplicemente perché non c'era nulla: una scatola grigia, un po' di detriti che cadevano dall'alto all'inizio e alla fine dell'opera, quattro luci di taglio, un tulle....il Coro immobile , schierato in faccia al pubblico, i solisti assolutamente lasciati soli a sé stessi o con movimenti scontatissimi. Spero solo che sia costata poco e, come sempre capita per allestimenti “minimalisti”, questa speranza è del tutto vana.
Muti ha bissato il “Va pensiero” invitando il pubblico a cantarlo. Deja vu: Daniel Oren inaugurò a suo tempo questa simpatica usanza, che non vogliamo definire “ruffianata” per rispetto alla celebrazione del 150mo. Certo è che alla commozione del tutto si anteponeva, purtroppo, la pessima esecuzione degli spettatori romani, moltissimi dei quali ignoravano le parole del testo. Cosa che ormai non deve stupire più nessuno, purtroppo.
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