VERONA, RAIUNO e la CLERICI: BRASATO D'OPERA. |
Domenica 05 Giugno 2011 09:03 |
Come già era accaduto l'anno scorso, in occasione della grande festa in onore di Zeffirelli, l'Arena di Verona lancia la sua stagione estiva attraverso la rete ammiraglia della Rai e propone un grande spot-spettacolo, concepito secondo la tecnica consolidata del cross-over, mescolando cioè le sacrali melodie operistiche (tratte dalle opere presenti nel cartellone 2011) con gli interventi pop di Zucchero, Morandi & C. L'effetto è esattamente quello che ormai conociamo da anni, da quando cioè le barriere che separavamo i generi sono state infrante dai medley dei 3 Tenori prima, dal Pavarotti & Friends poi e via via da Bocelli, Filippa Giordano, Alessandro Safina, Vittorio Grigolo e chi più ne ha più ne metta. Ovvio che una buona fetta dei normali fruitori del genere operistico classico continuino a storcere il naso, esattamente come farebbe in Parlamento una opposizione imbufalita contro la maggioranza , con il nostro sistema bipolare costruito su forti contrapposizioni e con nessun accordo bipartisan. Gli appassionati d'Opera tipici sono appunto una minoranza rumorosa e quasi costantemente incavolata, formata da nostalgici, cultori di nobili e consacrati cimeli, Vestali incallite e anche vagamente comiche nelle loro esagitate manifestazioni. Questo per dire, se non si fosse ancora capito, che a fronte dei 5 milioni di telespettatori benevoli e tutto sommato interessati a passare una serata davanti alla Tv fatta di musica , si erge la piccola schiera degli incontentabili, molti dei quali si ritrovano a brontolare o a lanciare anatemi sui social networks e nei blog. Il nodo della questione mi pare proprio questo. Ragionando da appassionato d'Opera, come io sono quanto e più di molti esagitati censori di questo spettacolo, dovrei scagliare la mia pietra con forza: lo spettacolo offerto da RaiUno non è stato uno spettacolo inappuntabile, né memorabile. Brutta la regìa, sia teatrale che televisiva di conseguenza, evidentemente non provata e non collaudata con la dovuta attenzione, brutti i costumi e il trucco degli artisti, scombinata la scaletta, non riusciti e talvolta persino sbracati i testi della conduttrice, Antonella Clerici, la cui rassicurante e un pò ciabattona simpatìa non ha stavolta sortito l'effetto desiderato. L'Opera non è la Prova del Cuoco, tanto per essere chiari, e presentare la Bohème o l'Aida non è come montare una maionese o sbattere due uova in padella.
Tanto cauta e preparata fu la Clerici l'anno precedente, tanto inopportuna e debordante è stata quest'anno : per nulla intimidita dalla situazione e quindi tendente a rompere gli argini, secondo uno schema abbastanza fastidioso di over-acting che alla lunga ha tediato, e non poco, il telespettatore. Inguardabile, poi, quel suo modo di litigare con l'abito da sera argentato, che la rendeva simile a un rollmop, quelle aringhe sotto aceto tanto in voga nei locali Nordsee. La parte canora ha in parte risollevato le sorti di uno spettacolo nato male, a causa soprattutto dei temporali che ne hanno inficiato le prove. Si è scelta la strada della telegenìa e della gioventù, una strada giusta e necessaria per la televisione e per l'Opera in generale. I rischi ci sono sempre: un giovane, inesperto e senza la dovuta scaltrezza, deve seguire ciò che gli autori suggeriscono . Se l'ordine è quello di saltare nel cerchio di fuoco...In effetti si notava una tragica condizione musicale nei disperati tentativi del maestro Kovatchev di fare andare tutti a tempo. Ma come poteva fare, se la scaletta suicida proponeva in apertura uno dei momenti più difficili del repertorio operistico, il finale del II atto di Bohème??!! Brano non provato o provato male, attaccato non dal Valzer di Musetta ma dallo scopertissimo “Gioventù mia” di Marcello...una follia.... come chiedere a Manrico di cantare subito il do dell' “All'armi!” senza nemmeno due battute di preparazione. L'effetto è stato quello d'un pauroso sbandamento generale, con le grida di Musetta (bella sì, ma con notevoli problemi tecnici), la banda fuori scena che non entra, un via vai impazzito di comparse e coristi, alcuni dei quali non sapevano letteralmente cosa fare. Un delirio. La linea è stata questa: confusione, indecisione, paura. Lo si leggeva negli occhi del soprano Ivanna Speranza, bloccata come una statua di cera davanti al suo Rodolfo, il tenore Monsalve, dotato di ottimi mezzi naturali ancora da perfezionare con studio e preparazione tecnica, ma comunque in grado di sopravvivere in tanto bailamme e di risolvere con spavalderìa anche una delle più tremende arie d'opera esistenti, la Gelida manina. Autentico terrore negli occhi del baritono Dalibor Jenis, conciato come Poldo di Popeye, e della Giulietta (Rocio Ignacio) appollaiata sul noto balconcino veronese: “Je veux vivre”...a guardarla pareva “Je veux mourir” ….e in effetti alla fine Giulietta morirà. Trucco orrendo: sembrava la mitica Suor Sorriso di Orietta Berti. Strampalata idea quella di affidare la parte di Romeo a un ballerino, che marmorizzato sotto al balcone sembrava un manichino privo di vita e di senso. Non riuscita ,a mio parere, anche l'apparizione del basso Erwin Shrott nei panni di un seducente tanguero, a metà strada tra Escamillo e Mefistofele. I tanghi cantati reggono se la voce è calda e sensuale, sì, ma tenorile. I suoni cavernosi , morchiosi e diabolici offerti da Shrott incutevano terrore, nonostante il tentativo di fare Zorro all'Arena. Quando poi Shrott ha intonato il suo Leporello....ahi ahi....una nuova catastrofe musicale, con l'orchestra totalmente scompaginata rispetto all'interprete. Lo stesso è accaduto in un “tentativo” di finale secondo di Aida, perla nera della serata. Non mi soffermo sulle esibizioni di Morandi, di Zucchero che ha cantato “Miserere” con il fantasma di Pavarotti (effetto macabro) , dei Modà e di David Garrett col suo incandescente violino strapazzato, forse erano più a loro agio dei colleghi cantanti d'Opera . Quindicimila spettatori in Arena plaudenti, cinque milioni davanti ai teleschermi....anche questa è andata, come disse Robinson Crusoé aggiungendo una tacca dopo un'altra giornata sull'isola deserta. |