ATTILA, Teatro Verdi di Trieste, note di regìa |
Mercoledì 05 Giugno 2013 20:47 |
Quando si parla di Attila, si finisce per considerare la bellezza indiscutibile di alcune pagine musicali, già dense e cariche di quel pathos che ha reso memorabili le grandi “frasi verdiane”, fin dal magnifico Preludio , continuando con la Tempesta e l'entrata del tenore, l'aria trasognata del soprano (“O del fuggente nuvolo”) , il Sogno di Attila con la veemente cabaletta, i magnifici concertati e soprattutto quel finale così essenziale e perfetto, in cui si realizza la predestinata fine del protagonista. Sono pagine stupende, senz'altro, ma nella sua interezza e soprattutto nella sua verità drammaturgica, Attila non ha goduto della stessa considerazione di altre opere verdiane. Spesso e volentieri l'esito è stato quello d'una passerella vocale, campo di battaglia per bassi e soprani tonanti, tenori scalpitanti e baritoni “sibemolleggianti” , se mi è consentito questo neologismo vociologico. A volte vere e proprie gare canore a discapito della regìa. Mi raccontò il baritono Carroli che a ogni recita il basso Christoff, non appena Ezio si allontanava da lui al termine del grande duetto “Vanitosi, che abietti e dormienti”), scagliava una lancia con infallibile precisione a quasi 20 cm dal tallone del generale romano. “Non ti preoccupare” , diceva Christoff al collega alquanto atterrito, “ Io lanciere scelto delle guardie di Re Boris” . Effetto notevole, ma ai tempi del grande basso bulgaro le regìe si facevano così, chacun pour soi et Dieu pour tous.
Il grande basso bulgaro Boris Christoff Attila presenta temi di grande attualità, nonostante ci riporti ai tempi dell'Impero Romano: la violenza, le trame politiche, i giochi di potere, la sopraffazione, il tradimento. Quando Ezio canta “Sovra l'ultimo romano, tutta Italia piangerà” sembra quasi di udire i lamenti per l'odierna crisi, oggi- in fondo- in Italia piangono un po' tutti ,a ragione o a torto. Io ho sottolineato fin dall'inizio il tema trainante della bruta violenza barbarica. “ Urli, rapine, gemiti, sangue,stupri, rovine, e stragi e fuoco d'Attila è gioco” canta il Coro degli Unni all'inizio dell'opera, sulle ancora fumanti rovine di Aquileia. Non è uno scherzo : vedremo scene di violenza piuttosto esplicita, nell'atmosfera buia e fangosa rievocata dalla fine del Preludio, l'arrivo pauroso delle truppe di Attila, il flagello di Dio assiso su un trono metallico, le vergini guerriere prostrate ai suoi piedi e offerte in premio , capitanate da Odabella. I caratteri sono molto forti e scolpiti con la consueta perizia dal grande uomo di teatro: il soprano è la sorella di Abigaille, l'altra grande virago, e forma con Lady Macbeth l'ideale trio dei soprani drammatici di agilità dalla tessitura perigliosa e dagli accenti aspri. Ho cercato di mantenere comunque l'aspetto femminile in maniera piuttosto marcata: spesso questi soprani appaiono come dei “veri uomini” cui manca giusto un bel paio di baffoni . La virago apparirà dunque come Ygritte nel “Trono di spade” o come l'amazzone Ippolita, sufficientemente sexy per non essere confusa con un Unno. Attila, dal canto suo, non è soltanto un personaggio temibile e violento: è piuttosto un re orgoglioso, fiero, consapevole della sua forza e del suo indiscutibile carisma. La gelosia del tenore, marito di Odabella, deve essere ben motivata: Attila, fin dai tempi gloriosi del film con Anthony Quinn e Sophia Loren, ha sufficiente fascino per instillare un lecito dubbio negli spettatori; e se Odabella ne fosse realmente sedotta? Certo, alla fine sarà lei a trafiggerlo, vendicando così la morte del padre ma ...chissà cosa avvenne nella tenda del fascinoso barbaro. Il carattere più debole resta quello del tenore, in bilico tra il suo lato irredentista e l'amore per una Odabella, presunta fedifraga, “preda del mostro”. Ma Verdi, benigno, gli affida frasi e arie memorabili, rendendolo persino protagonista della fondazione di Venezia, che avviene puntualmente al termine della grande scena d'entrata, “ Ma dall'alghe di questi marosi, qual risorta fenice novella, rivivrai più suberba più bella, della terra e dell'onde stupor”. E' quindi,a suo modo, un piccolo eroe e sarebbe grave errore privarlo di questa dignità. Cupo, meditabondo, afflitto dai suoi contrasti, un grande solitario è Ezio, il generale che trama: ho pensato alla grande solitudine di un uomo afflitto dalla smania di potere e che alla fine tradisce l'unica persona che, paradossalmente da nemico, lo apprezzava di più. Come accade in politica, purtroppo. Verdi riesce, come suo solito,a dipingere molto bene le atmosfere dei luoghi: nella sua musica si avverte la bruma, la nebbia, l'acqua che circonda l'intera vicenda e ne diventa quasi motivo conduttore. Con l'aiuto di un mago della scenotecnica come Pier Paolo Bisleri, che ben conosce gli elementi propri della sua terra: il legno, la roccia, il fango, e con le preziose proiezioni dinamiche di Gerald Ordway e Alex Magri, abbiamo cercato di rievocare il clima di Aquileia e dei suoi dintorni, le paludi di Rio Alto, i boschi, le radure, puntando sulla realizzazione di un film opera che sfuggisse agli schemi rigidi del primo Verdi, ma fosse un dramma estremamente continuo e scorrevole, con un solo intervallo al termine del I atto. L'opera è stata concepita inizialmente per essere rappresentata all'aperto, di fronte alla meravigliosa Basilica di Aquileia, progetto che verrà realizzato il prossimo anno e di cui le recite al Verdi costituiscono un ghiotto preambolo e una eccitante sfida. Sono particolarmente felice della magnifica disponibilità e professionalità dei complessi triestini, della qualità del suo laboratorio e di coloro che vi lavorano; la sicurezza di un maestro come Donato Renzetti, già protagonista di memorande recite di Attila, l'eccellenza di un cast che si impegna battuta dopo battuta. E' un grande sforzo per l'anno verdiano , in un anno non facile per l'Opera in Italia e per la Cultura in genere. Mentre i teatri licenziano parte del personale e tagliano titoli per mancanza di fondi (non elargiti da uno Stato tendenzialmente sordo), Trieste ne aggiunge e reagisce alla crisi per omeopatìa. Scelta coraggiosa e salutare per tutti coloro che amano il teatro d'Opera, uno dei nostri vanti storici.
Trieste, Teatro Verdi
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