STUFANDOT alla SCALA
Sabato 02 Maggio 2015 12:36
Turandot_Rai-5_Expo-2015

 

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala

Coro di Voci Bianche dell'Accademia del Teatro alla Scala

Produzione dell'Opera Nazionale Olandese, Amsterdam

 

Direttore

Riccardo Chailly

Regia

Nikolaus Lehnhoff

Scene

Raimund Bauer

Costumi

Andrea Schmidt-Futterer

Luci

Duane Schuler

Coreografia

Denni Sayers

Cast


Turandot

Nina Stemme

Altoum

Carlo Bosi

Timur

Alexander Tsymbalyuk

Calaf

Aleksandrs Antonenko (1, 5, 8, 12, 15, 20)
Stefano La Colla (17, 23)

Liù

Maria Agresta

Ping

Angelo Veccia

Pang

Roberto Covatta

Pong

Blagoj Nacoski

Mandarino

Gianluca Breda (1, 5, 8, 12)
Ernesto Panariello (15, 17, 20, 23)

Principe di Persia

Azer Rza-Zada

Prima Ancella

Barbara Rita Lavarian

Seconda Ancella

Kjersti Odegaard

                                 
                                                    turandot_agresta


Non ho ancora visto una sola Turandot in cui al termine dello spettacolo il trionfo non

vada alla Liù. Un incipit che suona profondamente ingiusto nei confronti della bravissima

Maria Agresta, la più bella voce italiana oggi in attività, dolce ed espressiva quanto basta

per meritarsi non solo il trionfo scaligero ma tutti quelli che sta accumulando nel mondo.

Ma Liù non può bastare per l'ultimo capolavoro di Giacomo Puccini, né la magnifica e

attenta concertazione di Riccardo Chailly che inizia alla grande la sua collaborazione con

il Teatro alla Scala.

Altrettanto assurdo è dover constatare che le tre migliori voci maschili in campo fossero

quelle di Carlo Bosi, fantastico Altoum ormai degno di vestire i panni di Calaf, del baritono

Angelo Veccia come Ping, squillante e dalla perfetta dizione, e del basso Tsymbalyuk

come più che corretto Timur, quando per la Turandot alla Scala si auspicherebbero

almeno due protagonisti d'eccezione. Tali non sono stati né Nina Stemme né Alexander

Antonenko, per diverse ragioni.

La prima, pur possedendo un magnifico strumento e risolvendo con quello ogni ostacolo

vocale, ha presentato una dizione e una articolazione delle frasi completamente

inaccettabili a questi livelli: legato quasi inesistente dai suoni medi a quelli acuti, vocali

camuffate o direttamente sostituite (“quel grOdo e quella morte”) , oltre a una

imbarazzante inerzia interpretativa, tale da far pensare che il significato del testo le fosse

sconosciuto.


              turandot1stemme         turandot_scala_stemme


Antonenko, lanciato da Muti nel celeberrimo Otello a Salisburgo (poi a Roma e a

Chicago) , segue le sorti di tanti suoi colleghi del passato (del presente e del futuro):

esordio promettente, semplicemente perchè fresca è la fibra e a posto gli acuti , ma

timbro sostanzialmente lirico e non drammatico (ai tempi dell'Otello si parlò di un buon

Cassio tutt'al più) , adatto caso mai a ruoli come Traviata, Elisir, Bohème se vogliamo, ma

impiegato anzitempo per ruoli troppo onerosi o inadatti. Risultato? Un Calaf morchioso,

petulante, perennemente in lotta con l'intonazione ora vistosamente crescente (per la

spinta) ora calante (per la paura), stecca infelice nel primo si bemolle acuto “Turandot” ,

un forzato “Non piangere Liù” . Meglio nel II e III atto, ma solo per la belluina spinta con

cui ha tirato via i do e i si naturali acuti, un “Nessun dorma” che impallidisce di fronte

all'esecuzione che ne diede un professore del Coro del Maggio, il tenore Nenci, e che

mille altri tenori meno famosi saprebbero cantare meglio. No, questo non è possibile alla

Scala, è bene chiarirlo. C'è persino chi ha rimpianto Bocelli.


                     

                        Il tenore Enrico Nenci,  Nessun dorma



Orchestra e Coro impegnati a 360 gradi e non solo vocalmente, data la complessità di

taluni movimenti ginnici imposti dalla regìa di Nikolaus Lehnoff. Ottima la prestazione dei

complessi scaligeri guidati da Riccardo Chailly in maniera perfetta: suoni smaglianti,

vividi, precisione nell'intonazione, una bella corrispondenza tra buca e palcoscenico.

Molto disomogenee  le  voci delle tre  maschere, con il baritono Veccia (Ping)  e  Blagoj

Nakosky  (Pong) di gran  lunga  superiori allo sbiancato  e  parlante  Roberto Covatta

come Pang.


Salisburghesi, minimali, un po' macabre le scene di Raimund Bauer, abbastanza scontate

se vogliamo, così come l'innocua regìa di Lehnoff, che aveva il gran pregio di limitare al

minimo le sciocchezze oggi tanto in voga. Che pur ci sono state anche in virtù dei

costumi pacchiani di Schmidt-Futterer :in scena abbiamo visto quindi il Mandarino

abbigliato come Beetlejuice, Timur con gli occhialetti di Steve Wonder (perchè non allora

il bastone bianco e il cane lupo?) , le maschere a guisa di omino di Michelin, Turandot

come Crudelia Demon con uno strano boomerang rosso in mano che la faceva sembrare

a tratti una rabdomante impazzita. Diciamo che un po' ovunque aleggiava le Cirque du

Soleil e la nostalgìa per la meravigliosa Turandot di Zeffirelli si faceva sentire, eccome.

Tuttavia  alcune scene sono state  molto efficaci, soprattutto nel  primo  atto, con la

bellissima  invocazione alla  Luna  e  taluni giochi  di  luce e  colore  ben  distribuiti

da Duane Schuler.  Sono allestimenti che  tendono a  somigliarsi  tutti, ma  una

volta  stabilito che  così  ormai deve  essere, si goda  almeno  del  lavoro

attento  e  meticoloso  effettuato sui cromatismi  e  sugli effetti  speciali.


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Il Finale incompiuto è stato quello di Berio, già eseguito in altre occasioni. Ho cercato,

riascoltandolo, di farmelo piacere ma non ci sono riuscito. Brutto mi parve e brutto  si

confermò: un brodo allungato . Per quanto mi riguarda continuo a sponsorizzare il Finale

di Alfano ma nella prima versione, molto più entusiasmante. Altrimenti si faccia finire

l'opera dopo la trenodìa funebre di Liù.