GIOVANNA D'ARCO IN TRIONFO, Scala 7\12\2015 |
Martedì 08 Dicembre 2015 09:26 |
Una delle inaugurazioni più belle degli ultimi anni all'insegna del primo Verdi, garanzia di successo per chi conosce i segreti del Belcanto. Riccardo Chailly, in stato di grazia con l'Orchestra e il Coro del Teatro alla Scala, trascina verso un autentico e meritatissimo trionfo la "Giovanna d'Arco" di Verdi, con il determinante apporto di Anna Netrebko nel ruolo principale, del grande tenore Francesco Meli come re Carlo VII, del baritono Devid Cecconi giunto a rimpiazzare il defezionario Carlos Alvarez, bloccato - si dice- da una fastidiosa bronchite. Sarebbe lungo e forse tedioso enumerare i tanti meriti di questa esecuzione che non soltanto riscatta un'opera negletta e mai assurta ai fasti delle altre, ma la colloca piuttosto tra i tesori migliori del giovane Verdi, giovane e geniale da subito. Gli anatemi scagliati contro il libretto di Solera, reo di non si sa bene quale lesa maestà 'schilleriana' , sono abbastanza giustificati: il testo è abbastanza strampalato e la vicenda non così intellegibile. Tuttavia...andiamo forse all'Opera per imparare la Storia? Accontentiamoci che il libretto sia invece perfettamente funzionale alla musica , quella sì straordinaria: ora sottilmente raffinata, ora baldanzosa e guerresca , una conferma di bellezza , per quanto mi riguarda, e di certo una piacevole sorpresa per coloro che non conoscevano questa partitura. Merito anche, una tantum, di un'idea registica capace di rendere coerente sé stessa e la non lineare drammaturgìa del librettista: se di una regìa c'è bisogno essa è quanto mai richiesta per opere di questo tipo. La coppia dei metteurs-en-scène , Moshe Leiser e Patrice Caurier ha scrupolosamente evitato la cosa peggiore che potesse fare e cioé confezionare un affresco storicistico a suon di calzamaglie e stendardi colorati, con i protagonisti schierati a gambe larghe davanti all'uditorio a bombardare acuti. Questo tipo di teatro, sarà bene specificarlo senza troppi piagnistei, è morto e sepolto. "L'opera - ha dichiarato Moshe Leiser - è uno specchio sulla verità umana, con una donna in conflitto" tra i suoi ideali patriottici e l'amore che la manda in crisi." In effetti, assai coerentemente, la Pulzella di Anna Netrebko è stata proposta come una 'pazza', usiamo pure questo termine per semplificare, una donna scossa dalle sue visioni e dalle voci che la perseguitano, da amori contrastanti , da padri e amanti assai poco probabili, pronta a imbracciare uno spadone o a tritticare la statuetta di una Madonnina. Se dobbiamo essere sinceri fino in fondo è stato uno spettacolo non privo di lepidezze e di cadute di gusto: la statuetta in questione poteva tranquillamente restare riposta su una bancarella a San Pietro, i diavoloni balzati sul letto ad assillare Giovanna sono apparsi piuttosto ridicoli e il cavalluccio dorato di re Carlo VII era decisamente un pony. Tuttavia mi è parsa una regìa “omeopatica” e risolutiva: si è curato il male di un testo scombinato con lo scombinìo mentale della protagonista. Le cose si sono rimesse a posto da sole, consentendo ad Anna Netrebko e ai suoi partners una delle migliori prove delle loro rispettive carriere. La Netrebko regale, smagliante, con vocalità sicura e sostenuta in ogni sua nota, sprezzo assoluto del periglio virtuosistico: un timbro bellissimo messo al servizio di una tecnica che nel corso degli anni è andata affinandosi, fino a raggiungere gli attuali risultati. Ricordiamo a chi non avesse avuto mai modo di ascoltare questa voce dal vivo che non si tratta di una voce “discografica” bensì di una voce TEATRALE, quindi che riempie la sala in virtù di un perfetto uso del fiato e di un canto che, pur rotondo e vellutato, mantiene sempre l'altezza della sua posizione senza perderla mai. Attrice superba e partecipe, a tratti un po' bambolona (ma se si è bambole d'aspetto questo è caso mai un pregio, non un difetto: si veda l'apparizione paurosa della moglie del nostro prémier in sala o di una deputata famosa, di verde vestita). Commovente nel finale, spettacolare nei passaggi eroici, vincente nel registro alto. Una grandissima che non ha usurpato il suo ruolo di primadonna: lo è e a pieno titolo. Non da meno il tenore Francesco Meli, anche lui straordinario: un canto fatto di colori e di assoluto rispetto del segno scritto, cosa non facile con Verdi in special modo. La parte è scritta sulle note d'oro di Meli: i centri e i primi acuti, che posseggono lo squillo e la pastosità delle grandi voci italiane. Ogni frase è stata scolpita con il giusto calibrare delle parole sul fiato, senza enfasi e con grande partecipazione emotiva, memorabili le mezzevoci della seconda aria. Un po' condizionato nei movimenti dato l'inscatolamento in una armatura abbastanza severa, tuttavia è riuscito a mostrare la giovanile baldanza del re senza risparmio e con totale abbandono. Giunto a rimpiazzare di corsa il defezionario Alvarez, Devid Cecconi è apparso come il classico “salvatore della patria” e ha risolto come meglio non avrebbe potuto la tremenda parte baritonale di Giacomo, il padre di Giovanna d'Arco. La parte fu scritta per un grande baritono ottocentesco, Filippo Colini, ed è irta di difficoltà, soprattutto per quanto riguarda l'aspra tessitura e il fraseggio, costantemente svolto sulle note alte “di passaggio”. Cecconi ha dalla sua due vantaggi: la voce è morbida di natura ed è facile alle mezzevoci, inoltre canta sul fiato e sulla parola- alla vecchia maniera (che è quella GIUSTA) , per cui non solo esce indenne dai flutti verdiani ma si può concedere anche alcune rare preziosità, nonostante l'impaccio a tratti visibile (e comprensibile) dovuto all'emergenza.
Bravi davvero tutti, capeggiati da un maestro sul podio , Riccardo Chailly, che abbiamo lasciato per ultimo solo per festeggiarlo con i dovuti onori: la sua concertazione, vivida di colori e sempre vigile sul canto, con l'apporto smagliante di Coro e Orchestra , si staglia come la migliore esecuzione musicale da tanti Sant'Ambrogi a questa parte. Lo si intuiva fin dalla strepitosa Sinfonia, perfetta nello stacco dei tempi e nitidissima attraverso i vari interventi degli strumentini, gloriosa nel finale. Così è stato per tutta l'opera, senza mai perdere un colpo, una rara scorrevolezza che ha fatto volare il tempo , con la voglia di ascoltare ancora qualcosa di questa musica bellissima. Un trionfo assoluto per tutti, con varie chiamate alla ribalta e giustissime ovazioni. In omaggio al Maestro Chailly, che adora il Macbeth e ne ha regalato una magnifica versione discografica, erano presenti in sala alcune “streghe” adeguatamente abbigliate: le già nomate first Lady italiana e l'onorevole in abito salamandra, e Patti Smith, ormai sosia di Casaleggio. O era Casaleggio travestito da Patti Smith...non so. Anche loro hanno applaudito con convinzione.
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