QUEL BUON DIAVOLO D'UN MEFISTOFELE
Domenica 28 Febbraio 2016 12:25

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Ogni appassionato d’Opera ha  vissuto almeno una  volta  l’inebriante sensazione di restare senza fiato, attaccato alla poltrona , con gli occhi  gonfi di lacrime al termine di un melodramma magnificamente  interpretato  o dopo una  strabiliante esecuzione  musicale, vocale  o strumentale. A me  è  successo e  per fortuna  succede  varie  volte  a  tutti ma  infallibilmente, sempre, quando  si  giunge al grandioso, epico, sconvolgente  finale del Mefistofele  di Boito.  E’  strano :  non  ho conosciuto ancora una  sola  persona  che  non faccia il  tifo  per  quel  “buon Diavolaccio”, allorquando  circondato dai mille  angioletti e  dalle  falangi celesti slealmente   convocate da  Faust, sprofonda  e arde, corroso dai petali e  dagli strali luminosi che lo colpiscono da  tutte le  parti.

Il  patto, in verità,  prometteva  gioie e  godimenti  d’ogni tipo al ringiovanito  Faust  ,il quale  in cambio dava la  sua anima .Giunto sul passo estremo, Faust  non ha  ancora  pronunciato la  parola  magica : “Arrestati, sei bello!”  …l’istante   che dovrebbe  magnificare  la raggiunta  felicità  o meglio  l’utopìa  d’una impossibile  felicità. Giungono in suo soccorso  le  schiere compatte degli  angeli, il Vangelo viene  eretto a  baluardo  invalicabile, Faust è  salvo e  pronuncia  finalmente quella frase  che  segna  la  fine  di Mefistofele. Il  Coro  esplode :

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Mefistofele ,   come  Capanéo  nella  Divina  Commedia, si erge  orgoglioso  e  grida:  “Trionfa  il Signor  ma il reprobo…fischia!”  , i suoi fischi si uniscono ai laceranti sopracuti dell’ottavino  e  così   sbeffeggia  la  sua  sconfitta,  strappando almeno gli applausi  del  pubblico.

Il Mefistofele  venne  presentato al  pubblico  della  Scala , nel 1868,  come  manifesto della  cosiddetta  “musica  dell’Avvenire” , preconizzata  nel 1850  da Wagner in un suo celebre saggio (“Das  Kunstwerk  der Zukunft”)  .Boito aveva  iniziato i suoi studi al  Conservatorio di Milano nel 1855 proprio  con un docente che era assoluto sostenitore   di questa  corrente, Alberto Mazzuccato, e fu inevitabile la nascita di fazioni  piuttosto esasperate e  oltranziste, tra  loro  contrapposte. Da  una  parte  Verdi  e i seguaci dell’opera  italiana di tradizione, dall’altra i wagneristi , svincolati  dagli schemi consolidati . Il Mefistofele, con tutto  il peso della responsabilità  “avveniristica” , affrontò  quindi un pubblico  abbastanza  prevenuto, sospettoso e pronto a non perdonare  nulla , tantomeno  un’opera   così monumentale e definitiva.  Fu un fiasco  colossale . La  prima  stesura del libretto  (Boito  rifece  tutto  e  snellì la  densa  partitura  nel 1875)  presenta una galleria  di  personaggi  inediti:  oltre ai canonici  Mefistofele, Faust, Margherita, Elena, Wagner, Pantalis, Nereo,Marta   abbiamo  poi l’Astrologo, l’Araldo, il Mendicante, l’Imperatore, l’orca Lilith, Paride, il Folletto, quest’ultimo  gratificato addirittura  da  un’arietta  nella  Notte del  Sabba:  “Zig-Zag, Zig-Zag  l’incerto  volar, Zig-Zag  Zig-Zag   non so raddrizzar” .   Altre  “perle”   letterarie di  questo  tipo, che ci riportano al  Boito  del poemetto  “Re  Orso” , le troviamo in bocca  all’orca Lilith  : “Largo  largo alla moglie dell’orco, che  galoppa a cavallo d’un porco”.  Mentre  molto  più  ampia  era  la  stesura  del Sabba  Classico, in cui  compare  un’altra  aria  di Mefistofele  “Chi è  quell’uom a  ogni uom diletto? Chi  è  quell’uom da  ogni  uom reietto?”  e la  figura dell’Imperatore, che diventa  centrale assieme al  Coro   per  creare  un  “teatro nel teatro” , ossia  la scena  del Rapimento di Elena  in omaggio  a  Faust  e a Mefistofele, qui nelle  vesti  di  ilare giullare. In sostanza  il Sabba  Classico era , nella  sua  prima  versione, diviso in due grandi  scene e  non  nell’unica, che  oggi conosciamo.  Non basta: l’atto  quinto, l’ultimo, era  preceduto da un Intermezzo sinfonico, a  sipario calato, in cui veniva descritta una  scena di Battaglia, con tanto di  cannonate  in partitura e  con Mefistofele  e Faust in veste di  generali  contro le truppe celesti al grido  di  “Viva la  Chiesa!”.  Da  notare  che  nel  rimaneggiare anche   l’ultimo atto  e quindi trasformarlo nell’attuale  Epilogo, Boito  abbia  abbreviato la  parte di  Faust  (lasciando intatta  l’aria  “Giunto sul passo estremo”) ma  allargando  il  finale, con l’ingresso  dei cherubini e il sillabato  di Mefistofele  “M’assale  la  schiera di mille angioletti”  più aggiungendo la  sardonica frase  quasi gridata “Trionfa il Signor  ma  il reprobo fischia”  che, detto  a  titolo di pura  curiosità, in talune  esecuzioni il grande  basso  Ramey  gridava  più   volte, quasi  non rassegnato alla sconfitta.

Nel Prologo in cielo vedi il Sublime, nella  Notte del Sabba romantico vedi  l’Orrido, nella Domenica di Pasqua vedi il Reale, nella Notte del Sabba classico vedi il Bello. Cielo, Inferno, Terra, Eliso: eccoti il Nord, il Sud, l’Est e l’Ovest  del poema  Goethiano; esauriscimi ciò se ne  sei capace.”  (A.Boito)

 

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Effetti  da  baraccone, pleonasmi,  ridondanze, inesauribili sequenze di endecasillabi e settenari alternati: “teatro dei pupi”  scrive  più  volte Mario Lavagetto  sintetizzando  così, in modo drastico e ingiusto, non solo la  prima stesura  milanese  ma  anche il rifacimento  bolognese del Mefistofele . Sulla scìa  di  queste  posizioni  una schiera  di  critici, tutti con la bocca storta, tutti con la puzza di zolfo sotto al naso, tutti  pronti a  bollare senza appello  questo  singolare monumentum. Due distinte  fazioni, come ai  tempi  di  Boito, ancora  oggi: da una  parte  la critica, dall’altra  il  favore immancabile del  pubblico. Chi ha  ragione?

Basterebbe  valutare attentamente  la  musica in rapporto al  testo, come dovremmo fare sempre , analizzando  ogni  Opera, sia essa  barocca, o   romantica  o  contemporanea,  e  così  facendo Boito non solo vince  ma  stravince . Il suo linguaggio  è  obsoleto, antico, ridondante ma  è  esattamente funzionale alla trama musicale, direi all’ordito musicale, tra i  più  vari, essenziali ed efficaci  che  il  Melodramma  possa annoverare. Boito non è Verdi, non è Meyerbeer ,non è Berlioz  e  non è  Wagner, ma  possiede  il  fuoco creativo di  questi  inarrivabili modelli: la  potenza  evocativa del  Coro  “Ave Signor”, fenomenale e commovente nella sua semplicità  di scrittura, concepito  come una litanìa in crescendo, con progressioni  che riportano direttamente al  finale di Norma  o di Tristano, il senso della melodìa  infinita  che si espande e che  nessuno  vorrebbe finisse mai….ecco, questo  è  il Mefistofele  di  Boito. In fondo  le avventure  di Faust  sono  come  un grande  film fantasy, non troviamo lungaggini  o sbrodolamenti, sacche di noia: lo spartito  è  tra  i  più  rapidi  e sintetici  di  tutto il catalogo operistico, nonostante  i  6 atti di cui  è  composto. Una  menzione a  parte merita  Boito melodista: la  sua  intuizione melodica e la  magnifica  qualità  dei  temi  che  propone  fanno immediatamente breccia  e  non è affatto un caso  che siano divenuti  hits  indimenticabili.  Pensiamo   alle due  dichiarazioni  d’amore di  Faust, rispettivamente a  Margherita  ed  Elena:  “Colma  il tuo  cor d’un palpito, ineffabile e  vero”  (atto II,scena del giardino)  e  “Forma ideal purissima” nel Sabba  classico , si tratta  di musica celestiale  e romantica  nella più alta accezione  del  termine, dove  l’essenziale  si coniuga  alla  felicissima invenzione. Cosa  dire  di  quel momento magico  che  è  il  duetto del carcere, nel III atto:  “Lontano, lontano” , in cui si sublima il concetto di una impossibile, irraggiungibile felicità  nella  visione  di una  “azzurra  isoletta”  sperduta  nell’oceano?  Boito riesce con poche, azzeccatissime  pennellate  a  rappresentare  un delicato  quadretto: pittura  naìve, si  dirà, ma  comunque vera, sentita, tenue e commossa. Ai  cantanti si  richiede  la  perfetta mezzavoce, che  non è  falsetto: una ulteriore  prova di bravura.  Il  Mefistofele  è  ancora di  più: la sferzata  virtuosistica del Sabba infernale, con il Coro  impegnato in un vorticoso  quasi impossibile  sillabato  veloce (antesignano dei  rap  attuali, ma  molto  più  difficile!) , la  memorabile  morte di Margherita (“ Spunta  l’aurora pallida”) , che  non si  può dimenticare  nella  prima  incisione discografica di Montserrat  Caballé  diretta  da  Julius  Rudel , la  complessità  contrappuntistica  del  Quartetto   nella scena del giardino, a  un passo  dal  ridicolo  se direttori e cantanti  non sono  più  che ferrati in materia. Ecco….il Mefistofele  di  Boito…bisogna crederci  e  bisogna saperlo  eseguire!

 

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Quanti  tenori   hanno calato il si bemolle della prima  aria, scritto  per  essere eseguito da  chi sa  legare i suoni e cantare sul fiato MORBIDO!  Quanti tenori hanno steccato il si naturale  nel  finale, quando sulla  parola  “VangEEElo!”  si  sono udite  le grida di Tarzan  (anche alla  Scala  con  “divini”  Maestri sul podio…)!

Quanti bassi   sono stati realmente in grado  di spaziare  su  tutta  la  loro gamma  senza  strangolarsi  sui  fa  acuti  e senza  afonizzarsi  sulle note  più gravi?   Quanti  soprani  hanno  saputo e potuto  superare  gli scogli vocali proposti dal  ruolo di Margherita, vero soprano drammatico di agilità, o  della stessa  Elena, senza  essere costrette a  urlare?

Il Mefistofele  è  per  grandi  artisti, cantanti attori  completi. Lo stesso  discorso va esteso ai  direttori  d’orchestra e ai registi, che  hanno il loro bel da fare. Che peccato  che  molti  importanti maestri  non si  siano  avvicinati a  questa  partitura  così  negletta  e così amata:  pensate cosa sarebbe stato un Karajan! Uno Schippers!  Un Furtwaengler…magari! Quali lezioni, quali rivelazioni, quali sottigliezze sarebbero state messe in rilievo.

Bisogna crederci, come  Faust  crede  e alla fine si salva grazie alla Fede. Come lo stesso   Mefistofele  crede alla  sua tragica  mission  impossible…fino all’ultimo. E fino alla fine grida “….il reprobo fischia”. In fondo, ammettiamolo, gli squilli dell’ottavino sulla nota  lunga del Coro  hanno il carattere quasi festoso della vittoria  (pensiamo all’Egmont di Beethoven)  e per  un attimo  sorge  in ognuno il terribile  dubbio:…e se  il vero vincitore  fosse  proprio lui?