Dopo quasi sessant'anni il Mefistofele di Boito torna al Verdi di Pisa in una nuova produzione
firmata da Enrico Stinchelli. Incontriamo il regista durante le prove dell'opera e gli chiediamo subito
di raccontarci il suo particolare approccio con questo complesso melodramma.
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E' molto strano il destino del Mefistofele, opera adorata dal pubblico e snobbata dalla critica. La mia posizione, premetto subito, è totalmente dalla parte del pubblico: sono entusiasta della musica e della drammaturgìa, vi sono pagine che restano scolpite nella memoria e la costruzione , pur monumentale, è teatralissima. Ho amato Mefistofele da quando lo ascoltai la prima volta, in un vecchio disco Cetra con la voce incredibile di Giulio Neri, e poi lo vidi all'Arena di Verona con il basso Ghiuselev, Veriano Luchetti come Faust , restando a bocca aperta per le scene, il Coro immenso. Cose che ti restano nel cuore. Al Mefistofele bisogna crederci, amarlo, farsi trascinare con lui nel suo volo ... tutto diventa più semplice.
Qual è la Sua idea di partenza per l'ideazione delle scene?
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Sono partito dalla parte più difficile, il Prologo in Cielo. Rappresentare il Paradiso e fare addirittura udire la voce di Dio non è cosa semplice: siamo costretti a porci un po' troppe domande....chi è Dio, dov'è... Facendo leva sull'immaginazione e magari con l'aiuto di alcune buone letture, tra cui senz'altro Goethe ma ancor di più Dante, ho pensato a una fonte inesauribile di Luce e di energìa cromatica. Una scala che porta verso l'infinito, cristalli che coinvogliano come antenne le energìe universali, la nascita del mondo riassunta nelle arcane melodie create dall'Autore, uomo colto e profondo esoterista. Un'atmosfera rarefatta che cela gli angeli e le falangi celesti, dove il Nulla e il Tutto si ritrovano assieme pensando che il microcosmo, il piccolo, contiene in sé il macrocosmo, l'immenso. Mefistofele è alla base di questa scala, sa come si ascende ma non è in grado mai di arrivare in cima poiché la sua conoscenza si ferma, è limitata. Assillato dai cherubini, verrà abbattuto da loro non da Dio: i bambini, la purezza estrema , ma anche la conoscenza estrema. Quando nasciamo abbiamo tutto e sappiamo già tutto, possiamo solo disimparare crescendo: sono quindi i cherubini a vincere sul Male, a bruciare le sue carni con un semplice profluvio di rose. La semplicità, la profondità della superficialità....si pensi a Mozart, il Dio della Musica, un bambino che non crebbe mai per sua fortuna. Mefistofele dice : “Il Dio piccin della piccina terra...”, cerca così di insultarlo ma ha la sventura di venire dal mondo degli adulti. Dio, per me, è un bambino.
Apre questioni molto interessanti e discussioni che potrebbero portarci molto lontano. Boito parte
da Goethe secondo la Sua visione registica?
- Non solo da Goethe. Nella prefazione alla prima edizione del Mefistofele, quella che cadde malamente alla Scala nel 1868, l'Autore elenca una bibliografia abbastanza impressionante, quasi da tesi universitaria. Tipica esposizione di stampo intellettuale e Boito era un fine intellettuale, di corrente wagnerista. Non a caso il fiasco venne causato dallo scontro con i sostenitori dell'arte verdiana, vista come baluardo di una tradizione contrapposta all'incalzare della cosiddetta “Musica dell'Avvenire”. Le solite faccende, vecchie come il Teatro stesso. In realtà Mefistofele è creatura di Boito, c'è davvero tutta la sua poetica in quelle pagine: il concetto del dualismo, per cui in ognuno c'è il Male e il Bene, la parola usata come caleidoscopio di suggestioni e di emozioni, il gusto dell'orrido, la redenzione attraverso la Conoscenza (scrivo in maiuscolo perchè la Conoscenza non è solo quella accademica, istituzionale, ma è soprattutto quella che non si insegna ma si scopre man mano e si intuisce).
Ha parlato in termini positivi della drammaturgìa boitiana, della musica..quindi perchè la critica ha
spesso attaccato questo melodramma?
- Perchè è troppo bello e profondo per molti ignari. Se si resta in superficie tantissimi spunti possono sembrare ridicoli, pleonastici, retorici. Se ci fermiamo al diavolo con le corna finiamo a Geppo! Se pensiamo al Sabba come a una danza di streghe a cavallo di una scopa è finita, siamo al teatrino delle marionette. Tanto varrebbe allora tornare alle regìe stile Ken Russell con il bambino di Margherita in lavatrice e con i sette nani! Mefistofele si rappresenta per lo più in modo grottesco: bisogna crederci invece e seriamente. Quando siamo in Arcadia ho pensato a un clima sospeso, un pianeta lontano, “il regno delle favole” evocato appunto da Mefistofele ma bello, delicato, elegante, sensuale....come è bellissimo il duetto “Lontano, lontano”.
Opera in un Prologo, quattro atti e un Epilogo...c'è un punto focale?
Sì, per me è il terzo atto, la eccezionale Morte di Margherita. E' un capolavoro nota per nota. Ho pensato a
un vuoto assoluto, una cella ridotta a una rapazzola a terra, un vecchio materasso sdrucito, una sediola da
bambina, due candele, un cuscino. In quel Nulla c'è ancora una volta il Tutto: abbiamo a disposizione un
cast di giovani bellissime voci e grandi artiste, Margherita può dimostrare il suo valore con una delle più
straordinarie scene di pazzia offerte dal melodramma, concluse da una melodia struggente “Spunta l'aurora
pallida” , è un vero banco di prova e infatti tutte le più grandi cantanti hanno amato questo ruolo. Non posso
dimenticare la prima incisione della Caballé con Julius Rudel sul podio, incredibile quello che si sente in
quella scena. Non trascurerei però anche l'Epilogo, in quei pochi minuti c'è una sorta di Walhalla che crolla,
la fine di Mefistofele è commovente forse ancor più della fine di Margherita. E' il naufragio di un eroe,
negativo certo ma eroe comunque: Capaneo nell'Inferno di Dante. “Trionfa il Signor, ma il reprobo fischia!”
...e quando si arriva a quel grido sull'Ave possente del Coro è inevitabile la commozione .
Ha scelto una particolare ambientazione? Ha cambiato l'epoca, i luoghi?
- No, perchè? Si può fare tutto e si fa di tutto ma non ne vedo la necessità in questo caso. Io amo e credo
nel Mefistofele di Boito, adoro Goethe, non sento il bisogno di trasferire tutto su una metropolitana o tra le
dune popolate dai simpatici (si fa per dire) jihadisti! Trovo troppo facile riferire questo capolavoro ai “diavoli”
dei nostri tempi così poco geniali. Lasciamo i vari Mefistofeli in parlamento o ospiti di Porta a Porta...non li
trovo degni della musica meravigliosa di Boito. Siamo a Francoforte, vedremo la Domenica di Pasqua, lo
studio di Faust, vedremo nell'Epilogo le duecentocinquanta voci convocate per questo grande evento al
Verdi di Pisa, ho cercato di far vivere a me stesso e a tutti coloro che verranno in teatro un sogno .Quando
si ha “riconoscenza” per un'Opera...bisogna innanzitutto riconoscerla.
(Intervista a cura di Valeria Della Mea)
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