Verona e l'Arena, la Bellezza salverà l'Opera |
Domenica 28 Agosto 2016 16:21 |
Nonostante i presagi funesti di questa primavera, l'Arena di Verona con uno scatto d'orgoglio manda in porto la sua stagione 2016 nel migliore dei modi, cioé dimostrando di essere il più importante e “spettacolare” teatro all'aperto del mondo. La nostra stampa specialistico- snobistica storce il naso di fronte a simili affermazioni: son quelli che si commuovono al solo pensiero di poter poggiare i loro nobili deretani sugli scranni di Bayreuth o Salisburgo. Buon per loro: forse non si accorgono che in quei teatri si celebra, con rito lento e inesorabile, il massacro sistematico dell'opera lirica, per grazia di Dio non sempre (ci sono certamente produzioni interessanti, ne cito una per tutte i Maestri cantori di Wagner con la regìa di Herman Hernheim a Salisburgo, o il Ring wagneriano diretto da Thielemann...) ma spesso e volentieri sulla scìa della provocazione fine a sé stessa, come se allestire in modo spettacolare e tradizionale un capolavoro lirico sia una specie di insulto. Capisco anche questo atteggiamento da parte della nostra moribonda critica musicale, ormai travolta e sopraffatta dalle decine di blog e di riviste virtuali comparse in ogni dove: i recensori si annoiano, hanno visto centinaia di rappresentazioni sballottati qua e là come birilli, non tollerano le reazioni del pubblico che vedono come “estranea cosa” rispetto ai loro sacri giudizi, non sanno nemmeno più perchè stanno lì e vanno, come direbbero gli psicoanalisti, in crisi di identità.
Tornando a Verona mi sono goduto in santa pace la magnificenza degli allestimenti di Franco Zeffirelli, creati appositamente per quella vasta frangia di pubblico che va a teatro per vedere uno SPETTACOLO. L'Opera intesa secondo il canone il Lord Burney, “lo spettacolo più lussuoso al mondo”...non lo è forse? O vogliamo davvero credere che questo genere, tanto amato e tanto negletto, possa sopravvivere se fatto con le pezze, magari con l'orchestra campionata...tanto per risparmiare? Zeffirelli è stato il bersaglio prediletto di chi per svariate ragioni vedeva in lui il rappresentante dello “spreco” , dei soldi buttati al vento per obbedire a capricci, dell'eccesso fine a sé stesso, compresi i suoi avversari politici che non gli hanno mai dato tregua. Non voglio qui elencare i costi e gli sprechi che hanno caratterizzato gli ultimi trenta quarant'anni di opera lirica in Italia: paragonando gli allestimenti di Zeffirelli a certe porcherìe viste qua e là, spesso sponsorizzate politicamente da questa o quella fazione, avremmo delle clamorose sorprese. Per carità di patria mi astengo a far conteggi in questa sede e preferisco riferire di ciò che ho visto e udito in questa settimana veronese che ha siglato la stagione 2016. Intanto Carmen di Bizet, Turandot di Puccini e Trovatore di Verdi, cioé i tre spettacoli migliori di Zeffirelli in Arena. Del Trovatore ho riferito nel mio precedente pezzo, una serata magica grazie anche al magnifico cast vocale (Karahan-Manrico strepitoso , la Urmana vittoriosa Azucena, il nobilissimo baritono Piazzola capace di riportarci ai tempi del miglior Bruson, Oren sul podio). Di Turandot dirò che non si dimentica la magìa della pagoda dorata invasa da nuvole rosa e la perfezione dei movimenti scenici secondo i dettami della partitura, con una festa finale a coronamento dell'ultimo capolavoro di Puccini: pura Bellezza. E qui voglio fare una veloce considerazione sulla Bellezza, in questi anni in cui ci sentiamo aggrediti dalla Bruttezza, in tutti i sensi. La Bellezza, in quanto tale, è OGGETTIVA, come diceva Wilde “La Bellezza non può essere interrogata...regna per diritto divino.” Il gusto per l'abbinamento dei colori, per il disegno delle scene, per come e dove devono muoversi le masse, per come la musica rientra nel disegno magico complessivo, i costumi, l'attrezzeria, le LUCI...questo è Zeffirelli, cantore della Bellezza in Opera. Chi vuole Bruttezza si accomodi pure altrove. Kitsch, esagerato, pleonastico, gusto “pompier” ….ne abbiamo sentite e lette da anni...basta! Avete annoiato, cambiate disco. Ve lo dice uno che ha applaudito entusiasticamente l'Aida rivoluzionaria della Fura dels Baus in Arena , perchè nasceva dallo stesso impegno intellettuale volto allo stesso scopo; e ve lo dice uno che ha proposto, come regista, nello scenario affascinante (ma inadatto all'Opera) di Taormina un'Aida ambientata nel Museo Egizio, con tanto di scolaresche e turisti in scena, perchè Aida è anche questo, perchè l'Opera è comunque s-p-e-t-t-a-c-o-l-o. Nella Turandot in Arena hanno trionfato il direttore d'orchestra, Andrea Battistoni, giovanissimo e permeato da quel 'duende' che trascina ed entusiasma Coro e Orchestra. Non tutto era perfetto, detto col massimo dell’onestà: il gesto tende ad ampliarsi oltre misura con il risultato di portare l'entusiasmo eccessivo a una perdita di controllo. Tuttavia bisogna saper rischiare se si vuole ottenere il massimo da tutti: quanto fuoco, quanta passione, quanta GIOIA in quel ragazzo che mentre dirige sembra comporre la Turandot! Un meritatissimo trionfo per lui. Ottima la coppia femminile con due fuoriclasse: la stupenda Oksana Dyka come Turandot, voce di soprano lirico e non propriamente drammatico ma....meglio così! Abbiamo sentito strillare tanti vocioni, la parte di Turandot è tutto un susseguirsi di note da cantare piano e pianissimo, non sono solo acuti a gola spiegata. La Turandot della Dyka era dunque cantata dalla prima nota all'ultima e , per fortuna, bella d'aspetto e di portamento. Cosa che non capita di frequente, ammettiamolo. Donata D'Annunzio Lombardi, in possesso dei più bei pianissimi oggi al mondo, e lo dico senza tema di smentita: meravigliosa interprete, sensibile, timbro ideale, tecnica strepitosa. So che si è salvata per puro miracolo dal disastro di Amatrice e che ha cantato senza aver dormito per due giorni, dopo il sisma . Calaf era Walter Fraccaro che ci riporta al classico “tenore utilité” , cioé quegli artisti che dove li metti li metti...fanno dormire tranquilli i direttori artistici: cantano tutte le note (anche i perigliosi do acuti), sono precisi musicalmente, intonati...cosa vuoi di più. Beh....per Calaf qualcosa in più ci vorrebbe: Fraccaro ha un timbro di natura chiaro e troppi suoni 'schiacciati' per tenere alta la posizione senza far fatica, con lo spiacevole risultato di camuffare alcune pronunce sugli acuti (“ che non sorride più, che nEEEEEn sorride più”.....ec.) . Probabilmente è nato come ideale Alfredo in Traviata o Nemorino in Elisir, e si ritrova per la facilità e la musicalità a cantare ovunque Radames, Calaf, Manrico, Don Alvaro e chi più ne ha più ne metta. Molto applaudito, ripeto, per la sicurezza spavalda e la tranquillità che esprime. Porrei in rilievo la prova delle ottime Maschere (Marcello Rosiello, Francesco Pittari e Giorgio Trucco) , il perfetto Paolo Battaglia come Mandarino , Cristiano Olivieri come baldanzoso Altoum e Carlo Cigni, solido Timur.
Veniamo a Carmen, altro capolavoro zeffirelliano, orbato però di tutta la città di Siviglia che era stata ricreata sulle gradinate del fondo scena. Dove siano finite, nessun lo sa: ho provato a chiedere....varie versioni...peccato...perchè completavano la più bella Carmen che si sia mai vista in un teatro d'Opera, al chiuso o all'aperto. Anche qui le masse , imponenti, si muovono seguendo un percorso di dettagli infinito, impossibile enumerarli tutti perchè ogni comparsa, ogni corista diventa un solista, impegnato in una parte precisa. Plauso ovviamente alle masse areniane, al Corpo di ballo diretto da Gaetano Petrosino, alle deliziose Voci bianche di Paolo Fancicani e al maestro Julian Kovatchev, come si suol dire: una sicurezza. Le coreografie di Lucia Real sono sempre un “must” apprezzatissimo dal pubblico che quello si aspetta e quello...ha. In Carmen mi è piaciuta moltissimo la Micaela di Valeria Sepe, la voce più sonora e proiettata della serata assieme a quella del tenore Stefano Secco, il quale non nasconde le sue orgini di tenore “leggero” e non cerca sonorità strane o diverse: canta con la sua voce e fa bene a farlo. La coppia Don José-Micaela era ampiamente vincente sul resto del cast, nonostante Aguna Kulaeva avesse tutti i numeri per essere in potenza una grande Carmen: purtroppo le è mancato un po' il temperamenti giusto, la carica emozionale, quel “quid” che rendeva indimenticabile, per esempio, Denyce Graves o la Bumbry, persino nelle sue ultime recite areniane. Tra gli altri ho apprezzato molto Paolo Battaglia come Zuniga, il Morales di Gianfranco Montresor , in parte l'Escamillo di Alexander Vinogradov, dalla pronuncia un po' troppo “russa”. Clarissa Leonardi era di gran lunga più veemente e poderosa come Mercedes rispetto alla timida Teona Dvali come Frasquita, mentre funzionava benissimo la coppia Ceriani-Pittari per Dancairo e Remendado.
Più debole l'Aida di Verdi,non per colpa dell'allestimento che è grandioso e solenne quanto basta per assicurarne la buona riuscita , bensì per la parte vocale che in quest'opera non perdona alcuna défaillance. Stranamente abbiamo visto un Daniel Oren stanco e quasi demotivato sul podio, tanto da causare alcuni notevoli pasticci nel concertato e nel finale del Trionfo, laddove tocca essere concentratissimi e precisi. Notevoli tuttavia i momenti più lirici, l'accompagnamento delle arie e dei duetti, soprattutto il meraviglioso finale. Il tenore, l'esordiente Mikhail Sheshaberidze, mi è sembrato molto rigido e con acuti non ben proiettati, in gergo diciamo “indietro” , il che non deve succedere in un giovane dai mezzi e dal timbro promettenti e dalla ottima musicalità. Il suo, a onor del vero, è stato un salvataggio last minute, quindi vi è qualche parziale discolpa. Tuttavia il consiglio di mettere a posto la parte acuta del registro e di non forzare i tempi su taluni titoli resta, anche in queste situazioni. Molto bene Maria José Siri nel ruolo di Aida: sicura, svettante, tantissimi i colori, ottimi pianissimi, un bel personaggio dinamico in scena , sempre cercando di aiutare il partner. Qualche bella frase di Andrea Ulbrich come Amneris ,ma troppe difficoltà sui punti chiave e un piccolo naufragio nella Scena del Giudizio, con un affanno che le ha impedito di sovrastare le difficoltà terribili della parte. A fronte di uno stupendo Messaggero, con voce superiore a quella di Radames, Paolo Antognetti (bella forza, mi direte, son due frasi: sì, ma bisogna saperle cantare...e Antognetti è un tenore pronto per le prime parti), un Amonasro invece di non eccelsa qualità, Sebastian Catana , che tuttavia ha svolto il proprio compito con diligenza. Nella gara dei due bassi, Gianluca Breda come Re si è pappato il Ramfis di Sergej Artamonov. Molto brava Elena Borin come Sacerdotessa e il Corpo di Ballo per le Danze del II atto.
Ogni sera parecchio pubblico, eccettuato qualche buco nei costosi posti di platea, ma uno scenario degno dell’Arena per tutte le opere, con pienone per Turandot e Trovatore.
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