I MAESTRI CANTORI SI AFFLOSCIANO ALLA SCALA |
Domenica 26 Marzo 2017 22:33 |
Con Wagner non si scherza. Nonostante la Scala abbia schierato un cast indubbiamente solido in partenza, con punte di diamante costituite da Daniele Gatti sul podio, il grande Albert Dohmen come Pogner, un “esperto” come Michael Volle nei panni di Hans Sachs e lo straordinario Beckmesser di Markus Werba, di gran lunga il migliore della serata, il terzo atto è caduto come un maglio sul collo del tenorino Erin Caves, sbiadito e tremebondo Walther von Stolzing, una delle parti più impegnative composte da Wagner . A dire il vero, dopo aver cantato con impegno e con una robusta vocalità i primi due atti, anche Volle è naufragato miseramente nel finale, giungendo afono alla grande perorazione che chiude l’opera. Insomma:con Wagner è inutile sottilizzare, ci vogliono le voci che reggano l’impegno. Daniele Gatti, da par suo, ha saputo tenere bene le redini dello spettacolo, scegliendo la strada del grande lirismo e della morbidezza, quindi sottolineando tante preziosità dell’immensa partitura. Peccato però che abbia sacrificato la parte “monumentale” che volenti o nolenti sussiste prepotentemente fin dal primo accordo.Direi anzi che ha volutamente bloccato ogni iniziativa pletorica degli ottoni, con gesti espliciti che indicavano un mezzoforte più che un luminoso fortissimo:ma Wagner è anche quello, come ha ben indicato Thielemann riprendendo il meglio della tradizione dei Knappertsbusch, Furtwaengler e Karajan. Insomma: lirismo certo, finezze quante se ne vogliono, ma tutto deve finire in gloria e gli squilli degli ottoni non possono essere solo di velluto ma vogliono e pretendono la luce.
Lo spettacolo di Kupfer presentava una Norimberga semidistrutta dalle bombe della Seconda Guerra (solita fissazione tedesca) , con una pedana girevole che mostrava i ruderi sotto varie prospettive. Effetti interessanti ma che dopo 5 e passa ore di spettacolo potevano risultare stucchevoli, con un grigiore permanente e costante e non pochi riferimenti del libretto che cozzavano vistosamente con la messa in scena. Ma già:chissene importa del libretto,se vengono citati “imperi germanici” ,”castelli” ,”damigelle” e modalità di canto arcaiche.L’importante è che si resti alla moda, come quei pantaloni stracciati che tanto piacciono ai teen-ager (e non solo) dell’ultimissima generazione.Saranno alla moda ma…sempre stracciati sono. Attori cantanti bravissimi, in primis loderei il Coro, in forma strepitosa e così l’orchestra, che non ha fallito una sola entrata. Eccezionale. Debole la Eva di Jaquelyn Wagner (tanto nomine) , alta bionda e di modesta vocalità, mentre risultava molto più incisiva e tagliente l’ottima Magdalene di Anna Lapkovskaja.Tra i maestri cantori emergeva il solo Dohmen come autorevole Pogner, gli altri sottotono. Bravissimo il David del tenore Peter Sonn,che nonostante un paio di falsettini un pò troppo “-ini” si è fatto udire bene da tutta la sala del Piermarini, assai più dell’evanescente Walther. Alla fine applausi per tutti, soprattutto indirizzati allo sventurato Volle, che li accoglieva con una smorfia come a dire: “scusate se non ho cantato alla fine”. Vabbé…dai…due atti su tre bastano per una risicata sufficienza. Scusate la durezza ma siamo alla Scala con i Maestri cantori di Wagner, a Roma si direbbe “non sso’ mica pizza e ffichi!”.
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