QUANTO E' DIFFICILE LA SONNAMBULA
Martedì 20 Febbraio 2018 09:21

                                                                           opera_di__roma

 

Ci sono alcune opere particolarmente ostiche ,più di altre, per cantanti direttore e regista.

Una di queste è Sonnambula di Bellini, un’opera in cui di fatto non succede nulla dall’inizio

alla fine: un matrimonio programmato, una ragazza afflitta dal Sonnambulismo penetra nella

stanza del Conte e ciò determina un equivoco che, oggi muoverebbe al riso, mentre un

tempo poteva addirittura inficiare gli sponsali. La musica è un meraviglioso ricamo ordito

con raffinatezza e sapienza belcantistica, con parti micidiali per il tenore e per il soprano se

eseguita integralmente. Fino a pochissimo tempo fa la Sonnambula veniva falcidiata senza

pietà, tagli su tagli, tali da rendere irriconoscibile la stesura originale. Esistono registrazioni

dal vivo e in studio che ne fanno fede e che gridano vendetta, nonostante la presenza di

sublimi interpreti.

 

La Sonnambula è un coacervo di equivoci, vocali e interpretativi. Partiamo dal tenore, la cui

parte venne scritta per Rubini , un divo del primo Ottocento che possedeva un estesissimo

registro sopracuto  in virtù d’una particolare emissione, di petto fino al sol e poi di testa dal

sol all’ottava superiore. In una replica a Venezia fu proprio Rubini a eseguire in cadenza un

sol sopracuto,la nota più acuta mai emessa da un tenore. Immaginatevi dunque come

possono ritrovarsi i tenori moderni, che non usano questi registri allo stesso modo e

cantano letteralmente in maniera diversa.

 

Da qui nacque l’equivoco più grande: Elvino in Sonnambula come tenore leggero, in

sostanza dei tenorini chiari ,paradossalmente molto meno estesi dell’originale. Ci vollero 

Pavarotti (ma per una sola recita) e soprattutto Kraus,Gedda,Kunde,Luca Canonici  e Juan

Diego Florez a rimettere un pò a posto le cose, ma spesso con trasporti e tagli salvifici.

 

Il secondo equivoco riguarda Amina, scritta per Giuditta Pasta che appena sei mesi dopo

Sonnambula fu Norma. Per essere una grande Amina bisognerebbe cantarla pensando a

Norma e viceversa.Invece la Storia dell’Interpretazione ha visto spesso Norme come navi

da guerra e Amine diafane ed evanescenti, l’esatto contrario con l’effetto di veder crollare le

portaerei sulla cabaletta “Ah bello a me ritorna” e naufragare le Amine leggerissime già sulla

prima aria o nei duetti col tenore, in cui la tessitura è bassa.

 

Per il regista Sonnambula è un dramma, non sa proprio che pesci pigliare.Visconti concepì

genialmente Sonnambula come un grande ballo, ispirandosi alla Taglioni per il personaggio

che fu della Callas. La maggior parte delle classiche Sonnambule anni 40\70 sono state

delle rivisitazioni tirolesi stile Elisir d’amore: contadinotte, grembiulini, fiori, carretti, mulini

.Vi sono immagini della Scotto e della Sutherland che fanno davvero impressione. Pupi

Avati, nel suo unicum operistico, pensò a un racconto gotico, schiaffando tutti all’interno di

una Cattedrale ,il tutto estremamente macabro.Barberio Corsetti in questa recita romana ha

preferito invece creare una grande stanza dei giochi, dove Amina è una bambinona

cresciuta e il mobilio ora gigantesco ora minuto, a seconda delle scene, con tanto di

pupazzi e orsacchiotti che vengono strapazzati un pò da tutti i personaggi. Uno spettacolo

che non è piaciuto al pubblico e che è stato duramente contestato alla fine.

 

Jessica Pratt è una intensa e straordinaria Amina nei passi cantabili, bravissima nel legare i

suoni e nell’eseguire i passaggi melismatici a mezza voce , con un timbro che proprio nei

pianissimi è cristallino. Non è una voce grande, nel senso teatrale del termine e paga il

pegno di un registro grave non certo sonoro come molti passaggi imporrebbero, però è

sempre precisa e partecipe, fino a un magistrale “Ah non credea mirarti” ,sicuramente l’asso

nella manica.

 

Francisco Gatell è in perfetta sintonia con la Pratt: voce gradevole, non grande, sulla linea

Alva-Florez ma senza l’estensione di quest’ultimo, tant’è che nel primo atto vi sono stati due

incidenti di percorso proprio nel registro acuto. Poi si è ripreso ed è risultato convincente nei

duetti e nei concertati, superando anche la terribile scena del II atto presentata senza tagli.

In scena Gatell è un attore brillante e dinamico, anche se la regìa a tratti lo faceva sembrare

un pò troppo fessacchiotto.

 

Molto bravo il Conte Rodolfo di Riccardo Zanellato, sempre misurato e morbido  nel canto .

 

Da sottolineare la buona prova di Lisa, il soprano Valentina Varriale e di Teresa, che è stata

Reut Ventorero, entrambe sortite dalla Fabbrica dell’Opera di Roma.

 

Dulcis in fundo il maestro concertatore, Speranza Scappucci cui era demandato il compito,

arduo, di dirigere l’orchestra, il Coro e i solisti di questa produzione. La resa complessiva è

stata decisamente alterna: una brillantezza di fondo che ha positivamente dato una sferzata

a molti passaggi che in quest’opera rischiano di appesantirsi o ,peggio ancora, di

ammosciarsi ma a volte improvvise lentezze e un compiacersi dell’arcata melodica

belliniana che ha prodotto l’effetto opposto. Intendiamoci: noia vera e propria non v’è stata e

la partitura era integrale (fatto da sottolineare positivamente) ma ogni tanto la macchina

sembrava arrestarsi a discapito di una visione più coerente, certamente da acquisire man

mano che le recite andranno avanti. La Scappucci possiede un gesto sicuro ma ampio,

largo a volte , e questo rischia di tradursi in lentezza. Insomma: il rischio vero in Bellini è

quello di restare ipnotizzati dalla melodia infinita e di uscire da una dimensione ritmica più

controllata e meno dispersiva, laddove il sogno diventa languore…che è altra cosa.Una

dote da porre in rilevo è l’attenzione spasmodica per il Canto , in questo la Scappucci

mostra già un solidissimo mestiere e per questo merita il nostro personale plauso.