PIRATA ALLA SCALA DOPO 60 ANNI
Sabato 30 Giugno 2018 09:07

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Mancava da sessant’anni alla Scala e l’ultima produzione è stata quella che allineava tre

divinità del Canto: Callas,Corelli, Bastianini diretti da Antonino Votto, un fantastico

concertatore troppo poco ricordato. Dopo così tanti anni tanta acqua e passata sotto i ponti

e molte cose sono cambiate:oggi è l’Era dei registi, i cantanti in molte locandine addirittura

non compaiono più ,il pubblico è disorientato. Eppure il Pirata ,come tutte le altre opere , si

canta ECCOME.  Una delle più colossali bufale messe in giro da sparuti plotoncini di

nostalgici è che oggi non vi sarebbero più le voci. Balle. Proprio per il Belcanto voci non ne

mancano, anzi abbondano.Quel che manca ,piuttosto, è un altro tipo di figura, quella del

concertatore attento ed esperto. Un bravo maestro concertatore deve risolvere almeno due

grandi problemi: aiutare i cantanti a dare il meglio ,possibilmente non travolgerli con la sua

compagine orchestrale, e trovare la giusta TINTA orchestrale, il colore adatto per ogni

opera. Ciò che non è avvenuto ,o solo in parte, con il maestro Frizza alla Scala: egli ha

diretto il Pirata di Bellini, opera drammatica quanto mai,  come fosse il Don Pasquale

.L’orchestra ha suonato benissimo (salvo qualche scrocco delle trombe) ,il Coro è stato

come sempre molto preciso, e i cantanti pure….ma non era il Pirata. Era un’opera comica,

staccata in maniera brillante e giocosa, in cui il divario tra il testo che veniva cantato e

l’accompagnamento sottostante a tratti (vedi terzetto, scene d’assieme,Cori) suonava

addirittura parodistico. Non può essere, una simile concertazione vanifica tutto: la riapertura

(a questo punto inutile) dei tagli, la regìa, l’impegno vocale di tutti. Molti buuh alla Sua

uscita.

 

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A me è piaciuto molto il baritono Nicola Alaimo (che più persone mi dicono essere stato il

peggiore in teatro, con voce che risultava opaca e travolta dall’orchestra). Mah. Giudico per

quello che ho ascoltato io: un baritono autorevole nell’accento, preciso nelle agilità

,svettante fino addirittura al la acuto (piazzato al termine del duetto con Imogene nel II atto).

La parte non è di quelle memorabili nel repertorio baritonale, però Alaimo ne è uscito da

grande artista e mi sono sembrati molto ingiusti i “buuu” violenti ricevuti alla sua uscita.

 

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Sonya Yoncheva, lanciatissima, è una cantante di bellissimo colore timbrico e sa dare peso

al testo, con accenti appropriati e un giusto piglio temperamentoso. Fa tutto quel che deve

fare ma ha ,per me, un grave difetto: è affetta da “callasite acuta” , una particolare forma

virale che colpisce i soprani in ancor giovane età, costringendo la gola a suoni torvi e

intubati, in alto sul pianissimo persino oscillanti, nel maldestro tentativo di rievocare antiche

e mai dimenticate divinità. Non è la strada giusta:della Callas bisognerebbe imitare il MODO

in cui penetrava ogni angolo del testo poetico, la serietà analitica dell’approccio allo spartito,

come legava, come usava la mezza voce senza spoggiare i suoni ma sempre a fini

ESPRESSIVI. I vezzi e i difetti, che anche la Callas aveva, andrebbero dimenticati. Ciò

detto, la Yoncheva ha raccolto i giusti plausi per la sua interpretazione.

 

Al tenore Piero Pretti concedo la prova d’appello poiché non mi ha entusiasmato. La parte,

scritta per una voce particolarissima (quella di Rubini, un tipo che sapeva fraseggiare sui fa

sopracuti e che in Sonnambula giunse a cantare un sol addirittura) è tra le più  ardue del

repertorio belliniano e mette a dura prova un tenore certamente sfogato in acuto, come

Pretti, ma non incline al sopracuto come altri colleghi , tipo Spyres,per esempio, o Osborn.

Piero Pretti si è presentato a questo appuntamento, credo, lecitamente impaurito e sul filone

prudenziale del “farò quel che potrò” ,una scelta giusta se non vuoi finire tritato come una

polpetta da pagine terrificanti come  l’aria d’entrata o l’altra del II atto, eseguite inoltre nella

loro integralità.

 

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Non mi sono piaciuti gli interventi delle seconde parti e ascoltando alcuni passaggi ho

pensato a quella sacrosanta verità  che Pippo Di Stefano citava sempre: “ Ho sempre

detestato le voci impostate”.  La voce va lasciata libera, staccata dalla gola, anche se devi

cantare una sola frase in tutta l’opera. Salverei il tenore Pittari, che mi è parso puntuale e

spigliato nei suoi interventi.

 

Speriamo che il Pirata non torni tra altri 60 anni, contiene pagine bellissime e -volendo- può

essere una vera festa del Belcanto.