Il NUOVO OTELLO della SONY |
Venerdì 03 Aprile 2020 15:52 |
Esce per la Sony l’atteso Otello di Verdi con Jonas Kaufmann protagonista, Federica Lombardi nel ruolo di Desdemona, Carlos Alvarez come Jago nelle parti principali. Sul podio Antonio Pappano con i complessi dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Comincerei proprio dalla concertazione attenta e meticolosa di Sir Anthony Pappano che conferma tutte le sue doti precipue: precisione, esattezza nella scelta dei tempi senza stramberie di sorta (dote non da poco soprattutto oggi in cui la sregolatezza domina sovrana tra i direttori d’orchestra),cui dobbiamo aggiungere la nitidezza dell’orchestra in tutte le sue varie sezioni, tanto da “raccontare” la complessa partitura verdiana come soltanto pochi maestri hanno saputo fare nella storia di questo capolavoro. Pappano, inoltre, è maestro eccelso nel saper SEGUIRE il Canto. Uso le lettere maiuscole perché anche questa dote, che dovrebbe essere scontata, oggi non lo è affatto:in troppe occasioni abbiamo dovuto subire concertazioni di carattere eminentemente sinfonico, a tutto discapito della compagnia di Canto. L’esecuzione nel suo complesso è quindi eccellente, il meglio oggi possibile. Quello che a tratti manca, soprattutto nei momenti eclatanti del primo e del secondo atto è la grandiosità maestosa che sapeva imprimere un Karajan: per esempio la Tempesta non è così esaltante (sembra addirittura mancare , o non è messo in rilievo, il cluster do-do diesis- re voluto da Verdi a sottolineare la cupa tragicità di questo momento) oltre all’effetto dato dalla macchina del vento (richiesta) e dai tuoni. Il suono che Pappano sa imprimere ai magnifici complessi di Santa Cecilia è molto levigato, intendiamoci, elegante , ma a tratti manca il senso del dramma , il terrore, che altri maestri sapevano porre in rilievo, tra questi citerei oltre al sunnominato, inarrivabile Karajan, anche Furtwaengler, Beecham, Sir John Barbirolli, lo stesso Kleiber (quello a cui Pappano più si avvicina, a mio parere). L’Otello di Pappano è ascrivibile al novero degli Otelli in cui prevale il lirismo, nel senso più elevato del termine e in questo contesto stanno benissimo le voci selezionate per il cast, con dei necessari distinguo. Kaufmann , come suo solito, vince alla lunga distanza dopo un “Esultate” che non può competere con i cannoni di Del Monaco o le sciabolate del mitico Francesco Merli. Dove Kaufmann si mangia tutti è nella innata sottomissione al segno scritto (caratteristica che fu già del suo conterraneo Fischer Dieskau) inteso come una guida assoluta e imprescindibile: se Verdi scrive pianissimo ,Kaufmann esegue a regola il pianissimo; se Verdi indica una forcella che segna un crescendo o un diminuendo, Kaufmann esegue senza meno e senza mai indulgere alla cosiddetta “tradizione” . Lega a meraviglia intere frasi “Se dopo l’ira immensa vien quest’immenso amor” come nessuno ha saputo fare prima, seguendo la strada che Vickers seguì prima di lui sia con Serafin che con Karajan. Certo, la natura “lirica” di Kaufmann esce fuori in tutta la sua evidenza nei momenti in cui si potrebbe auspicare una maggior drammaticità nella voce , per esempio nel grande duetto con Jago che chiude il secondo atto.Ma chi ha stabilito che Otello, nero di pelle, sia anche nero di voce? E’ un luogo comune. Lauri Volpi fu Otello alla Scala con voce alta e saettante, non certo di colore baritonale; Pertile idem; Merli lo stesso e così Martinelli, i primi Otelli storici che mi vengono in mente. Poi arrivò Toscanini con Vinay, tenore scuro (destinato a chiudere la carriera come baritono e persino basso!) , arrivò il grande Del Monaco (l’Otello per antonomasia) il quale intelligentemente poté cantare 500 volte Otello proprio mantenendo ALTA la posizione della sua voce, come si evince dall’ascolto delle sue innumerevoli registrazioni. Kaufmann ha un altro pregio oltre la musicalità e il senso stilistico: sa “girare” benissimo i suoni di passaggio verso gli acuti.I suoi si bemolli e si naturali sono facili e molto ben proiettati, così anche il do della “vil cortigiana” : natura certo ma anche molto studio. Il duetto finale del primo atto, “Già nella notte densa” , è un piccolo capolavoro in sé per la quantità di colori e le giuste intenzioni interpretative, con l’apporto di una delicatissima Desdemona e la magnificenza dell’orchestra di Santa Cecilia (assolo di violoncello grandioso!).Lo stesso dicasi per “Ora e per sempre addio” , per il secondo duetto, quello del III atto, per il monologo “Dio mi potevi” , davvero perfetto, e per la commoventissima scena della Morte. Federica Lombardi è Desdemona battuta dopo battuta.Inizia un pò timida, qualche acuto è leggermente “impaurito” ,ma via via prende quota e giunge a una ottima esecuzione del grande duetto del III atto. La sua voce è di bellissimo colore, un lirico pieno del genere della prima Tebaldi , dizione perfetta (salvo qualche piccolo vezzo tipo “il mio sorrUso” invece del “sorriso” prescritto), accenti sempre giusti , una bella partecipazione emotiva (vedi Concertato finale del III atto). Manca ovviamente ancora la Santa Esperienza, cioè il possedere quelle scaltrezze che solo la pratica teatrale sa suggerire , anche a livello tecnico: perché la base, cioè l’appoggio ferreo di tutta la gamma vocale, è studio ma è soprattutto esperienza sul campo. Ogni tanto gioca un pò sulle vocali , che per eccesso di “impostazione” diventano improvvisamente e inutilmente oscure.Con il tempo la voce sarà certamente più libera, le doti ci sono tutte per una grande carriera. Veniamo all’elemento per me più deludente e cioè il baritono Carlos Alvarez, che pur avrebbe di natura una voce molto timbrata e di bella grana. Credo che l’errore di fondo sia nell’approccio al personaggio , forse per scelta dell’interprete, forse per scelta del direttore e suppongo, comunque, di entrambi. Alvarez opta per lo Jago morchioso , cupo e sinistro di molti baritoni del passato, quindi uno Jago sostanzialmente monocorde, avaro di pianissimi, tonitruante , cioè l’esatto contrario di ciò che Verdi richiese a mani giunte. Famosa la lettera in cui l’Autore chiese uno Jago interamente cantato a mezzavoce, come un prete , falso, insinuante, sottile, cinico, perfido e diciamo pure “bastardo dentro”.Ma non fuori. Se la cattiveria viene esposta platealmente non ha più effetto, la vera cattiveria è subdola .Lo sapevano bene Lawrence Tibbett, Mariano Stabile,Tito Gobbi, Fischer Dieskau, il grande Taddei ( lui poi aveva tutto, perché al meraviglioso colore univa la sottigliezza e la facilità nelle nuances) , Cappuccilli guidato da Kleiber e…qui mi fermo poiché dopo questi mostri sacri il personaggio di Jago ha subìto una notevole battuta di arresto. Alvarez fraseggia in modo classico e supera ogni scoglio vocale con il Canto puro, diciamo con la “Scuola”. Ma dove sono i colori del Sogno (“Era la notte”) ? Tutto cantato forte o al massimo mezzoforte. Dove sono i pianissimi cinici di “Vigilate” , la vera frase del prete? Nulla, li canta forte. E’ uno Jago a senso unico e a questi livelli non può bastare. Citerò molto velocemente le seconde parti , che sono tutte molto corrette e ad alto livello: in primis Riccardo Fassi come Ludovico, Fabrizio Beggi Montano e Carlo Bosi perfetto Roderigo. Voci importanti che rendono prezioso ogni loro intervento. Meno convincente il Cassio di Liparit Avetysian, troppo leggero a mio parere, e ottima l’Emilia di Virginie Verrez anche se pure lei negli acuti cambia la dizione “un gran delOtto” invece che “delitto”, quelli che definisco “eccessi di impostazione”. |