TROPPO, SIGNORI, TROPPO. ALLA SCALA il MEGA-GALA' |
Lunedì 07 Dicembre 2020 21:37 |
I fiumi di melassa e di retorica che di solito accompagnano le Prime alla Scala sono soltanto parzialmente smussate, ma restano -purtroppo- nella retorica del piagnisteo e del “ce la faremo” . Troppa politica e troppo “politicamente corretto” nel lunghissimo spettacolo messo in piedi per un Sant’Ambrogio che, per usare la felice sintesi del Maestro Chailly detta oggi in Barcaccia: “deve restare unico e irripetibile”. Speriamo sia davvero così. Al mio amico Davide Livermore, che ho apprezzato in altre occasioni e parecchio, devo stavolta rimproverare alcune cose che in tutta sincerità mi sono parse eccessive. Intanto la connotazione “politica” data a ogni pie’ sospinto: la politica dovrebbe restar fuori da operazioni di questo tipo, rivolte a un pubblico smanioso solo di godere di buona musica e di un bello spettacolo.Invece no: il Credo di Jago commentato dal rogo della Casa Bianca , cosa significava? The day after? La presa in giro delle recenti elezioni? Un attacco jihadista? Forse non ho capito io il messaggio ma questo faceva tragico pendant con la donna di servizio inquadrata in apertura , scopa in mano, con il semi-comizio di alcuni attori, con le proiezioni durante il “Nemico della patria” di alcune immagini-icona tipo Gandhi, Mandela, Falcone & Borsellino,Papa Giovanni , con le parole dello stesso Livermore che a quasi fine serata è comparso in scena per spiegare che questo evento poteva ricoprire la stessa importanza della storica riapertura della Scala del 1946: decisamente troppo e il troppo, come dice il proverbio, stroppia. La Seconda Guerra mondiale è uno dei peggiori disastri mai subiti dall’Umanità e , con tutto il rispetto per Sua Maestà il Covid (che molti venerano…IO NO) , qui siamo a un capitolo e a un livello totalmente diverso. Mi è sembrato un paragone davvero troppo azzardato.
La successione interminabile di stacchi, che dovevano rappresentare una sorta di fil rouge tra un brano musicale e l’altro, è stata invece quanto di più eterogeneo e mescolato si potesse immaginare e così abbiamo visto Vittorio Grigolo in mezzo a un ghibli di piume al vento, Ildar Abdrazakov e la Garanca all’interno di un vagone cantare il Don Carlos, a metà tra il Dottor Zivago e Anna Karenina; Ludovic Tézier accanto a un improbabile Don Carlos, impersonato da un attore che poteva tranquillamente rievocare il recente pluripremiato Joker; l’omaggio al cinema neorealista e a Cinecittà (che poteva anche essere una buona idea) con Rosa Feola e Florez che dovevano strizzare l’occhio a Fellini ma anche una serie di stranezze condite da continue azioni dei mimi, decisamente invadenti, e da proiezioni piuttosto disordinate, tra cui alcuni inquietanti fiori scarlatti che si imponevano sul tenore Piotr Beczala come simulacri del Covid o semplicemente fiori del carciofo. Il punto per me più stridente è stato il Ballo in maschera, magnificamente cantato da Eleonora Buratto, ma con alcuni corvi appollaiati di sfondo e una mise talmente brutta, talmente penalizzante per la ragazza che cantava da scatenare orribili commenti sui social. Lo dico e lo ripeto: quando il costume è brutto, o perché mette in mostra rotoli indesiderati o perché strizza le braccia o per altre ragioni, come già accadde in occasione del recente Otello a Firenze, tali costumi vanno RIFIUTATI e si esce con il proprio abito da sera. Da un camerino devi uscire migliorato non peggiorato e questo vale per tutti. Altrimenti si mortifica l’artista. Lo stesso Francesco Meli pareva un sottosegretario o un impiegato del catasto, seduto sulla scrivania che doveva essere quella del governatore di Boston.
Man mano che lo spettacolo procedeva , con le citazioni degli attori a raffica (alcune indovinate , altre fatalmente no), ci si rendeva perfettamente conto che il Galà era troppo lungo e oneroso, soprattutto per chi doveva “sceneggiare” ogni singolo brano. Mi sono sembrati migliori “La mamma morta” ,con azioni mimiche non troppo disturbanti, e l’aria di Tosca, cantata molto bene da Roberto Alagna, con uno sfondo di Castel Sant’Angelo e luci adeguate alla situazione. A parte l’impostazione visiva devo dire che vi sono stati notevolissimi exploit vocali: metterei in testa alla lista l’eccezionale Jago di Carlos Alvarez, la morte di Posa con un Ludovic Tézier non inferiore a Piero Cappuccilli, la splendida Liù cantata con classe e tecnica sopraffina da Alexandra Kurzak, la già citata aria di Tosca con Alagna in grande forma,la Oropesa ottima Lucia di Lammermoor , il monologo di Filippo II con un dolente e morbidissimo Ildar Abdrazakov. Aggiungerei Rosa Feola come Norina e il perfetto Juan Diego Florez con la Furtiva lagrima, forse l’unico brano in cui la personalità dell’interprete è venuta fuori oscurando le azioni mimiche e il contorno. Il tenore Beczala e il baritono Salsi hanno confermato la saldezza dei loro mezzi vocali e un’ottima tenuta, della Buratto abbiamo detto (un’emula della Tebaldi, ma deve solo fare attenzione al do ) e sottolineo anche la prova eccezionale di Roberto Bolle, fuoriclasse della Danza , gratificato da luci psichedeliche di grande effetto. Non so per quale misteriosa ragione il resto dei Balletti è stato penalizzato dall’assenza di un piano luci degno e da una scenografia scarna per non dire inesistente. Qualche perlina nera di prammatica : il brutto do bemolle preso male dalla Garanca (stanca dopo la magnifica Santuzza di Napoli) , la Donna è mobile incolore di Grigolo e la deludentissima Opolais come Butterfly al capolinea, omaggio involontario a Natalia De Andrade. Un plauso per il titanico sforzo all’Orchestra, al Coro e al maestro Chailly, che a mio giudizio sono stati i veri eroi della serata, essendo stati capaci di passare da uno stile all’altro , da una qualità di suono all’altra con grande disinvoltura e mantenendo una qualità altissima. |