100 anni di Zeffirelli, PAGLIACCI all'OPERA
Lunedì 13 Marzo 2023 11:05

 

 

 

 

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Per celebrare i 100 anni dalla nascita di Franco Zeffirelli , uno dei più illustri uomini di Teatro mai esistiti, il Teatro dell’Opera di Roma decide di mettere nuovamente in scena “Pagliacci” di Leoncavallo , unica opera in cui il grande regista “attualizzò” la vicenda , trasponendo l’azione dalla Calabria fine Ottocento a una non meglio definita città del Sud Italia di oggi.

La scena si presenta come la facciata di una grande palazzina di periferia (non proprio un “basso napoletano” ma quasi) , con tante finestre e balconi in piena vista , rievocando un pò il celebre film di Hitchcock “La finestra sul cortile”. In quel cortile si vede e accade di tutto: una folla di figuranti che di volta in volta sono giocolieri, poliziotti, ragazzi del muretto, prostitute e prostituti, “femminielli”, popolani, insomma una folla felliniana adunatasi in questa pubblica piazza, in attesa che arrivi la roulotte di Canio.

Nella “commedia” che segue (dopo un ampio, assurdo intervallo che spezza lo spettacolo in due) su questa facciata calano dei pannelli raffiguranti tante sagome e faccioni di pagliaccio, a coprire il caseggiato e a circondare la scena vera e propria in cui si svolge la pantomima.

Non è , a mio avviso, la migliore versione zeffirelliana dei Pagliacci , assai meglio la produzione precedente con la sopraelevata o comunque gli spettacoli visti a Verona (per non dire del film, che resta insuperabile).

 

La celebrazione romana è stata affidata a uno staff capitanato da Stefano Trespidi, con i costumi di Raimonda Gaetani e le luci di Vinicio Cheli, che in qualche modo riprendevano lo spettacolo primigenio, rispettandone alcuni clichés ma non evitandone la confusione: troppo affollata e isterica l’apertura di sipario, con troppe “educande” (le voci bianche e la Scuola di Danza dell’Opera) in libera uscita e non ben coordinate tra loro, mescolate a un assembramento troppo eterogeneo, con la netta sensazione che fossero tutti lì adunati per far numero. L’abilità di Zeffirelli, pur nella quantità spropositata dei partecipanti , era quella di definire ognuno dei personaggi con delle precise azioni drammatiche, come avviene in un film: qui c’era solo un gran casino a cielo aperto.

A prescindere da ciò svariati errori: Silvio e Nedda che pomiciano in pubblica piazza, su un materasso posto all’uopo (?!) ,Canio che entra condotto da Tonio e all’inizio guarda all’indietro attendendo il punto musicale in cui li scopre…una ingenuità assoluta. Poi li vede (“AH!”) e invece di saltare addosso a Silvio, compie un ridicolo giro tra muretto e discesa, per consentire all’amante di scapparsene dietro le quinte (?!) , altra ingenuità. Nedda che lava il bambino con tutti i pantaloni addosso, nemmeno in India!? Senza spogliarlo del tutto, ma almeno fatelo accovacciare nella tinozza senza che si vedano quelle brache. L’uccisione di Silvio pessima, come spessissimo accade: con il baritono che attende, sereno, di essere accoltellato da Canio…e molte altre lepidezze che tolgono esattamente il verismo al Verismo.

 

Sul piano musicale Daniel Oren ha assicurato una direzione sapiente e molto solida, come Suo consueto, aiutando sia il magnifico Coro del Teatro dell’Opera (guidato da Ciro Visco) sia i solisti di Canto. Una prestazione di assoluta eccellenza.

Canio era il tenore americano Brian Jadge, voce sicura soprattutto nel registro alto, un pò avara di colori , penalizzata da una posizione acustica (soprattutto all’inizio) molto difficile.

Nedda il soprano Nino Machaidze, che abbiamo ritrovato un pò stanca vocalmente ma molto impegnata sotto il profilo scenico.

Trionfatore della serata il baritono mongolo Amartushvin Enkhbat, che merita qualche notazione a parte. I suoi pregi : una rara omogeneità dal basso all’acuto (poderosi il la bemolle e il sol del Prologo) e un giusto gioco di colori nell’arco di tutta la recita, ma se proprio si deve cercare il pelo nell’uovo un che di “bituminoso” nei centri , tale da rendere un pò difettosa la pronuncia. La voce è già scura di natura, perché scurirla di più?

Beppe , l’ottimo Matteo Falcier, gli interventi di Fabio Tinalli e Giuseppe Ruggiero.

Ho lasciato per ultimo Silvio che aveva , sì, la prestanza fisica tale da giustificare il tradimento di Nedda (anche se Canio, stavolta, non era da disprezzare) ma la cui vocalità presenta alcuni problemi da risolvere e non risultava all’altezza degli altri interpreti.

Grande successo per tutti, teatro gremito. Notizia last minute: termina l’Era Vlad, con le dimissioni due mesi prima della scadenza del mandato dello storico direttore artistico.