FiLOLUCIA di LAMMERMOOR ALLA SCALA
Sabato 15 Aprile 2023 07:27

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La Lucia di Lammermoor presentata in Scala dal Maestro Chailly , sulla base dell’edizione critica approntata da Gabriele Dotto e Roger Parker, segna un punto di svolta molto importante nella lunga storia interpretativa di questo capolavoro. Ascoltando l’opera in diretta si è avuta netta la sensazione che ,per la prima volta, tutto scorresse come un fiume in piena, senza cedimenti e senza soprattutto quelle continue pause che troppo di frequente hanno trasformato l’opera in una sequenza di “numeri” da applaudire per forza di inerzia, con tagli micidiali e a volte -oso dire- criminali.

Cos’era la Lucia di Lammermoor prima dello scorso 13 aprile? Dobbiamo essere molto franchi e mettere da parte ogni residuo di vociomania : le Lucie tradizionali NON erano la Lucia di Donizetti ma una para esibizione canora , nel migliore dei casi l’attesa spasmodica della “pazzia” con la gara tra voce e flauto, nel peggiore dei casi un patchwork rattoppato alla meglio , così…tanto per dire che la si era eseguita. Intendiamoci: la Lucia “in pillole” l’abbiamo ascoltata con un Karajan paradisiaco assieme a Callas e Di Stefano, con Serafin e la Sutherland in stato di grazia, con Schippers e la inarrivabile coppia Sills-Bergonzi, con Kraus, Pavarotti, Abbado con la Scotto e con una infinità di gloriosi interpreti, ognuno per il suo verso storico.  Il grande Gianni Raimondi , altro Edgardo di riferimento (splendido alla Scala con Abbado), ricordava in una intervista come il pubblico bolognese esplodeva in un irrefrenabile applauso quando Beniamino Gigli in Lucia attaccava all’unisono con il soprano “ Trucidatemi e pronubo al rito sia lo scempio d’un core tradito”. Altri tempi ,si dirà, tempi in cui il Divo assoluto era il cantante e poco importava se l’opera rappresentata era decurtata di intere pagine, tanto da stravolgere l’assetto generale dell’Autore e la sua visionarietà . Quasi sempre i grandi compositori sono profetici e tendono ad anticipare ciò che verrà dopo di loro:  in questo Lucia non fa eccezione, essendo il classico capolavoro protoromantico, il punto di passaggio dal Belcanto puro al dramma tragico di Verdi, che -se posso azzardare- inventò il “Belcanto verista” (si pensi a Traviata, a Rigoletto, a Macbeth per arrivare a Otello).

Il maestro Chailly segue una linea molto precisa e coerente: in ogni opera da Lui diretta la volontà precisa è quella di presentare un lavoro fluido e teso drammaticamente, con una scrupolosa ricerca del dettaglio, dei colori e delle dinamiche, con l’abolizione dei tagli tradizionali. Questo tipo di impostazione è stato applicato alla Lucia come a Tosca, Andrea Chénier , indifferentemente: il rispetto assoluto delle volontà chiaramente espresse dagli Autori. Anche  Riccardo Muti aveva avviato questo tipo di impostazione ma ,diversamente da Chailly , con l’abolizione degli acuti non scritti ,per una forma singolare di personale avversione alla puntatura. Qui entriamo in un campo minato , poiché il lavoro compiuto sulle edizioni critiche non contempla la cosiddetta “filologia della tradizione” , non essendovi documenti ufficiali e prove - dicono i revisori- di quanto gli Autori ammettessero e approvassero tali arbitri. Questo non è del tutto vero. Cadenze, acuti aggiunti , variazioni apposte dai cantanti non solo erano tollerate ma addirittura richieste . E’ nota e di pubblico dominio la lettera in cui Verdi chiese all’amico Donizetti di scrivere di proprio pugno le puntature per gli interpreti di Ernani a Vienna :

«Mi fu grata sorpresa leggere la di lei lettera scritta a Pedroni in cui gentilmente mi offre di assistere alle prove del mio Ernani. Non esito punto ad accettare la cortese offerta con la massima riconoscenza, certo che alle mie note non può derivarne che utile grande, dal momento che Donizetti degna di prendersene pensiero. Posso così sperare che sarà interpretato lo spirito musicale di quella composizione. Pregola volersi occupare sì della direzione generale, come delle puntature che potranno abbisognare, specialmente nella parte di Ferretti (il protagonista). A Lei, signor cavaliere, non farò complimenti. Ella è nel picciol numero degli uomini che hanno davvero ingegno e non abbisognano di una lode individuale. Il favore che Ella mi comparte è troppo distinto perché possa dubitare della mia gratitudine.”

Non solo: esistono svariate incisioni di cantanti tardo ottocenteschi, allievi e custodi delle tradizioni dei cantanti dei tempi di Donizetti. Sono esecuzioni stravaganti e risibili, siamo d’accordo, ma le cadenze di Marcella Sembrich, Emma Eames, Maria Galvany, Luisa Tetrazzini & C.  testimoniano di tradizioni ben precise, la “filologia della tradizione” quindi esiste e andrebbe studiata a fondo, non liquidata con due battute come si legge nei preamboli delle varie edizioni critiche.

In sostanza il successo dell’opera dipendeva dalla bravura degli interpreti e contribuivano a ciò le puntature , cioè gli acuti aggiunti, e le cadenze , le variazioni, tutto ciò che potevi aggiungersi come atto “di bravura” al dettato del compositore. Lui consenziente. I punti di corona sulle pause orchestrali che precedono la fine di un’aria o la ripresa di una cabaletta, collocati ad hoc, sono la prova degli arbitrii consentiti dagli Autori e che gli interpreti sarebbero tenuti a rispettare. Non esiste nel Belcanto un da capo che non DEBBA essere variato: meglio tagliarlo se l’interprete non ce la fa.

Fa benissimo quindi il maestro Chailly a consentire le variazioni nel da capo della cabaletta di Lucia (“Quando rapito in estasi”) , il mi bemolle sopracuto al termine della scena della pazzia, o i si naturali inseriti dal tenore nella scena della torre, o il sol al termine della cabaletta d’entrata del baritono. E’ pura filologia della tradizione, quella che i revisori -gioco forza- non possono applicare. Nell’edizione scaligera di Lucia sono state però omesse delle note scritte: il mi bemolle sopracuto del duetto “Verranno a te sull’aure” , scritto per Duprez, è stato omesso da Florez e così l’”oppure” (in effetti facoltativo) dell’aria finale “Tu che a Dio” , che prevede un re bemolle sopracuto opzionale.Se non vado errato solo Franco Bonisolli e di recente Xavier Camarena hanno eseguito questa nota dal vivo.

C’è poi la questione delle tonalità….e qui il discorso si fa ancor più spinoso. Per la prima interprete , Fanny Tacchinardi, Donizetti compose la prima aria “Regnava nel silenzio” e successiva cabaletta rispettivamente in Mib maggiore e Lab maggiore, che invece vengono tradizionalmente trasportate mezzo tono sotto .Parimenti il duetto con Enrico , nell'autografo in è La maggiore, mentre di solito (quasi sempre) viene abbassato di un tono.Infine la "scena della pazzia" (tra l’altro rimpiazzata da una serie di cadenze con flauto solista) nell’autografo è  in Fa maggiore mentre l’edizione Ricordi comunemente adottata abbassa al Mi bemolle maggiore. Cosa accade con i trasporti? Accade che la vocalità lunare, trascesa e angelicata di Lucia perde questi connotati e assume toni più lirici e scuri di colore, per consentire ai soprani di sfogarsi con do, re e mi bemolli sopracuti (quando riescono) invece dei perigliosi e quasi impossibili fa nella pazzia (la sola Mariella Devia osò alla Rai eseguire le tonalità originali e chiudere con il fa sopracuto (tra l’altro inserendo una nuova cadenza scritta da Franco Mannino). Diciamo , a onor del vero, che gli interpreti scaligeri di due giorni fa non sono riusciti a eseguire i sopracuti , eccezion fatta per il mi bemolle (comunque abbassato) con cui la Oropesa ha chiuso la scena della pazzia.