NORMA, chi la vuole cotta, chi la vuole cruda |
Lunedì 24 Aprile 2023 12:19 |
Non fatevi ingannare dal titolo: non parlo della pur popolarissima “pasta alla Norma” ma del capolavoro composto da Vincenzo Bellini, che negli ultimi tempi sta conoscendo una sorta di grande revival , probabilmente sulla scia del centenario della nascita di Maria Callas. La Callas, a detta di chiunque (salvo qualche inevitabile detrattore) è stata senz'altro l’interprete iconica di questo ruolo ed è davvero singolare che non esita alcuna ripresa video dell’opera completa, atta a testimoniare questo importante lascito artistico. Qualche raro filmato amatoriale mostra immagini sbiadite e poco significative: da quanto appresi in casa di un famoso collezionista callasiano, ex dipendente della Emi, questa documentazione in realtà esisterebbe ma rinserrata gelosamente nelle case di alcuni fanatici o fatta sparire ad hoc, per lasciare la “Divina” avvolta nella Sua leggenda. Così anche la Fedora della Scala, il Don Carlo e molte altre note performances. Torniamo a Norma e in particolare modo al tipo di vocalità che occorre per risolvere nel migliore dei modi possibili la complessità del personaggio. Per far ciò dobbiamo prima di tutto fare un salto all’indietro e cercare di capire chi fu la prima destinataria di questo ruolo e cioè Giuditta Pasta, probabilmente la più celebrata cantante del primo Ottocento assieme a Maria Malibran. La Pasta esordì giovanissima (come accadeva all’epoca per tutte le cantanti d’Opera) , esibendosi in operine poco conosciute e spesso in parti da “contralto” (la più grave delle voci femminili). Qui abbiamo un primo segnale: con ogni probabilità la diciassettenne Pasta, con appena due anni di studio, non aveva una estensione da autentico soprano e la voce risultava, a detta dei musicografi del tempo, “debole e poco intonata”. I titoli si susseguirono con crescente frequenza, opere di Paer, Pacini, Pavesi, Cimarosa , poi Rossini, Mercadante : compiuti i 24 anni la voce della Pasta si era notevolmente irrobustita, guadagnando terreno anche in campo internazionale. Londra, Parigi, Vienna, Napoli e infine Milano, la meta agognata di tutti. Nel 1829 , trentaduenne, trionfò nella Semiramide di Rossini e l’anno dopo fu la volta di Anna Bolena di Donizetti, composta espressamente per Lei, ed eseguita con strepitoso successo al Teatro Carcano di Milano e successivamente a Londra. Nel 1831 la svolta: prima Sonnambula e quindi Norma, il 26 dicembre , alla Scala. Appena 4 anni più tardi si registrò la fine di quella voce : le recite di Norma si rivelarono una catastrofe , con frequenti incrinature nella voce, affaticamento, opacità, insomma i tristi presagi di un ritiro precoce dalla scene. Impietose le critiche nei Suoi confronti e le proteste del pubblico. Com’era la voce della Pasta? Dischi ovviamente non ne abbiamo ma possiamo dedurre che la scarsa omogeneità primigenia e i limiti di uno studio troppo rapido vennero compensati da quello che gli Autori adoravano: temperamento, doti attoriali, capacità di incarnare la classica “tragédienne” protoromantica. Bellini definì il Suo stile interpretativo “sublime tragico” e questo la dice lunga su moltissime cose. I critici delle prime recite di Norma specificarono che la Pasta si lasciava andare a momenti di autentico pianto durante l’esecuzione musicale, tali da commuovere il pubblico. Immaginiamo cosa possa essere stata l’esecuzione di “teneri figli” , per esempio. Ma la Pasta sapeva anche esplodere in maniera che oggi diremmo “verista” nel finale del primo atto “vanne sì, mi lascia indegno” e non si fa fatica a ipotizzare anche urla, esagitazioni e isterìe che, se da un lato sgomentano gli attuali cultori del Belcanto puro, dall’altro esaltavano gli Autori, Bellini soprattutto, che procedevano verso una sperimentazione diversa e nuova, anche rivoluzionaria, rispetto ai loro predecessori. Ma un altro dato viene fuori in maniera inconfutabile: la Pasta non fu un soprano bensì fu un contralto d’agilità, non più di un mezzosoprano .Ma non , si badi bene, un mezzosoprano da Amneris, Eboli, Santuzza o Dalilah..bensì un mezzosoprano da opere di Cimarosa, Paer, Pacini e Rossini, la differenza è sostanziale. Le tessiture acute la mettevano sempre in difficoltà e basta verificare lo spartito originale di Norma per constatare che tutte le puntature acute ai do, ai re (finale atto primo) o addirittura ai mi bemolli (duetto con Pollione del secondo atto) furono aggiunte dalle altre interpreti , prima tra tutte la Sutherland e Beverly Sills. L’aria “Casta Diva” originariamente composta in sol maggiore dovette essere trasposta dallo stesso Bellini al fa maggiore, un tono sotto, date le difficoltà della Pasta a sostenere la tessitura sopranile. La Pasta, inoltre, aveva la tendenza perniciosa a calare di intonazione, cosa oggi imperdonabile. Resta in piedi una domanda fondamentale: come poté la Pasta cantare Amina e Norma nella stessa stagione? Secondo i nostri criteri, viziati da quasi due secoli di storia della vocalità, Amina è un soprano leggero e Norma un soprano drammatico , due vocalità in antitesi! La risposta è molto semplice e deduttiva: adattando ai propri mezzi vocali le rispettive parti. Per esempio abbassando le tonalità originariamente previste e non avventurandosi su acuti e men che mai sopracuti. L’opera era un abito che poteva anzi, doveva, essere perfettamente adattato alle qualità dell’interprete di turno. Amina COME Norma quindi o Norma COME Amina, quel che era importante non si concentrava sulla tonalità e sulla nota più o meno estesa ma sul fraseggio, sulla verità dell’interprete, sull’agilità certo ma soprattutto sulla capacità di saper incarnare con grande espressività il personaggio. Una sorta di “verismo belcantistico” che fa pendant con la nota affermazione di Renata Scotto : “nell’Opera TUTTO è Belcanto”. Fatte queste premesse mi pare più che logico consentire a moltissime Norme di cimentarsi in questo ruolo: dal soprano solitamente impiegato per Aida, Tosca e Ballo in maschera, magari pure Turandot tipo Callas, al soprano lirico con agilità tipo Cerquetti, Caballé, al soprano da Traviata e Manon, tipo Rebeka, al soprano da Gilda e Lucia, tipo Dessay, Gruberova, Rancatore oppure al mezzosoprano belcantista tout court , tipo Cecilia Bartoli. Norma per tutte, insomma.
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