VOCI AMPLIFICATE: A MADRID GRIDANO "VERGOGNA!" |
Domenica 28 Febbraio 2010 09:57 |
"Vergogna!" , "Via i microfoni!" , le urla del pubblico di Madrid interrompono la recita di Andrea Chénier con Alvarez e la Cedolins, siamo appena al I atto. I loggionisti, "rintronati" da un errore tecnico (così si è giustificato il teatro) , non hanno tollerato le voci amplificate e hanno preferito far calare il sipario. Cosa sta accadendo? E' cosa di oggi o ....è una vecchia storia, a lungo sottaciuta dal sussiegoso e permalosissimo mondo dell'Opera? In un famoso film con Bruce Willis, “Il Quinto Elemento”, prodigo di effetti speciali, ambientato nel solito futuro supertecnologico, viene simulato a un certo punto un concerto lirico. Appare sul palco una signora molto alta, dall'aspetto piriforme, coloratissima e con una stupenda boccuccia a bocciolo di rosa, dotata di una sorta di attrezzatura da palombaro, tubi e cavi di gomma attaccati alle spalle: un mostruoso impianto microfonico, che rende la sua voce fantasmagorica , surreale. Questo sarà il futuro dell'Opera? Il microfono: spauracchio per i melomani più oltranzisti, panacea per gli svociati, imprescindibile esigenza per i registi, oggetto misterioso per gli ignari: un orpello che fatalmente sarebbe entrato nel mondo dell'Opera, prima o poi. La notizia è di questi giorni , dal “Corriere del Veneto” (9.11.2009): “Scandalo all'Arena: nella prossima stagione d'Opera del più importante teatro all'aperto del mondo per la prima volta verranno utilizzati i microfoni(...) E poco importa se ai «puristi» della lirica verrà un travaso di bile: dovranno farsene una ragione. Perchè nei giorni scorsi era stato lo stesso Franco Zeffirelli, al quale è affidata la regia di tutte le opere in cartellone dal prossimo giugno, a farsi paladino della «crociata» per l’utilizzo di impianti in grado di potenziare la voce dei cantanti. «Se non mi mettono i microfoni me ne vado - chiosa il Maestro - perché oramai sono indispensabili. Il mondo è così aggressivo e prepotente, il rumore è costante, perfino nei negozi si urla anche solo per ordinare un chilo di pasta. E l’Opera deve reagire a questa aggressività: basta un aereo o il traffico per superare la voce dei cantanti o il suono degli archi». Siamo davvero sicuri che si tratta di una “prima volta”? Siamo altrettanto sicuri che sia un bene? O che sia un male? La Storia giunge puntuale a ricordarci che il “microfono” , seppur rudimentale, esiste già da un bel pezzo. Il teatro greco, cardine di una civiltà illuminata che lo poneva come fulcro della polis, nacque com'è noto tra il V e il IV secolo a.C.: già allora la “maschera” fatta di feltro e cartapesta, veniva utilizzata dagli attori e dai cantanti per diffondere e amplificare le voci, esattamente come un megafono. Nel teatro romano le maschere divennero di legno o più spesso in tela, scure per gli uomini e bianche per le donne: la bocca esageratamente larga amplificava le voci, facendole “correre” in ogni settore degli anfiteatri. E' evidente che per i canti richiesti nelle tragedie o nelle commedie del teatro antico non fossero necessarie formazioni tipo i filarmonici di Berlino: bastava un flautino o un tamburello, strumenti in ogni caso poco “invasivi” ai fini di una emissione vocale. Niente a che vedere con il muro orchestrale offerto da Wagner o Richard Strauss. Ma sarebbe comunque inesatto pensare al microfono come a una trovata geniale dei nostri giorni. Senza andare troppo indietro nel tempo, basta recarsi nella casa di Wagner a Triebschen, Lucerna, per veder campeggiare sulla locandina della Tetralogia eseguita nel 1933 il nome della ditta che forniva i Lautstaerke, gli altoparlanti, necessari per la realizzazione delle imponenti opere presso il teatro berlinese Unter den Linden. Vero è che nel mondo dei cantanti sia da sempre esistita una certa omertà sull'argomento, un vago senso del pudore, per così dire, vocale. L'amplificazione della propria voce, conveniamone, è una sorta di ammissione di colpevolezza o, meglio, una dichiarazione di inferiorità. Ecco quindi che l'argomento viene trattato, negli anni, con la tecnica del “glissons” , lasciamo dire, lasciamo fare e soprattutto....lasciamo cadere il discorso. Nessuno ha mai svelato, per esempio, i segreti del Metropolitan di New York, dove i microfoni- secondo una testimonianza che raccolsi dal baritono Valdengo- vennero già usati per le ultime recite di Tosca con Tito Gobbi, sul finire degli anni Sessanta. Di utilizzare il microfono furono poi accusati i tenori e , ça va sans dire, soprattuto i Tre Tenori . Placido Domingo ha più volte utilizzato il microfono ma per le recite negli stadi o negli immensi spazi all'aperto, non preposti all'Opera. Ricordo benissimo l'esclamazione delusa di una sua fan all'Arena di Verona, dopo la grande frase d'entrata di Canio nei “Pagliacci” (“Un grande spettacolo...”): “Tutto qui??”.Il baritono Paolo Coni,scherzosamente ma “ridendo castigat mores”, raccontava come fosse diversa la sua voce man mano che si avvicinava al collega Pavarotti, durante i duetti di “Don Carlos” o “Ballo in maschera” : una sorta di “pavarofono” umano.Più volte ne parlai con il diretto interessato, Pavarotti, quasi sempre accusato di fare uso della tecnologìa per amplificare il proprio preziosissimo dono di natura. “Il microfono? Guarda, ce l'ho qui, nascosto nella tetta....” , così rispondeva ridacchiando. Fino a che non ebbi l'occasione di lavorare direttamente con lui, come regista televisivo per un importante Galà realizzato a Montecarlo e trasmesso da RaiDue , “Pavarotti canta Verdi” , anno 2002. Fu allora che mi resi conto esattamente di quale importante corredo fosse necessario per l'evento: non certo un microfono ma un intero service, eccezionalmente sofisticato e costoso, costituito da un campionario di casse acustiche, microfoni, cavi e riporti, collocati non già in un immenso spazio all'aperto ma nel normalissimo auditorium Grimaldi, in cui sarebbe stata ampiamente sufficiente -pensavo- la voce del “Tenorissimo”. Luciano provò un paio di arie senza microfonazione e quello fu un altro piccolo choc: la voce “vera” di Pavarotti era piccola, leggera, chiara, certamente molto avanti, tecnicamente perfetta ma non certo impressionante né per volume, né per squillo. Una bellissima voce, una meravigliosa dizione ma...una voce in volume come ce ne sono tante, assolutamente nella norma. I microfoni del service modenese facevano il miracolo e trasformavano quel bravissimo tenore nel mito che tutti conosciamo. E' altrettanto vero che c'è microfono e microfono. Si parla di diffusori ambientali, quindi buoni per tutti (i microfoni “democratici”) e quelli ad personam, cioé retaggio di un superdivo privilegiato. Sempre dall'articolo del “Corriere del Veneto” sopracitato:“Zeffirelli suggerisce di microfonare ciascun cantante, ma secondo il sovrintendente dell'Arena di Verona Girondini la soluzione più praticabile è un’altra. «Il palco dell’Arena - afferma - consente agli artisti di variare, in base alla posizione in cui si trovano, il suono che raggiunge il pubblico. Ma un microfono rischierebbe di 'appiattire' la potenza vocale dei cantanti. Per questo credo sia più opportuno catturare il suono attraverso dei 'microfoni ambientali', sistemati intorno al palco». Il compito affidato ai tecnici non è dei più semplici. Occorre infatti riuscire a selezionare i suoni da amplificare per evitare che giungano al pubblico i rumori di fondo, come i passi delle comparse che, in alcune Opere, sono decine. “ Niente paura, dunque? Mica tanto. Le Terme di Caracalla, altro luogo storico in cui si fa opera all'aperto, sono lì a ricordarci cosa è avvenuto nel tempo: Tito Schipa vi cantava “Traviata” per 22.000 spettatori senza microfono (e chi fu presente garantì la perfetta udibilità, nella fattispecie il soprano Elena Rizzieri). Oggi, con il pubblico ridotto a 2000 spettatori o poco più, il mostruoso impianto di amplificazione ha ridotto le opere a uno spaventoso impasto , un pasticcio di suoni che rende irriconoscibili molti dei passaggi orchestrali su cui tanto faticarono Verdi, Puccini & C. Non tutti sono disposti a tollerare , infatti, le sonorità amplificate artificiosamente. Leggo da una recensione di Alessio Altichieri sul “Corriere della sera” (22.10.1996): “I tre soprani: un evento che ha bisogno del microfono (…) e' cominciato a Londra il tour europeo di un' altra compilation itinerante: dopo i tre tenori . Pavarotti, Domingo, Carreras . e' ora la volta dei tre soprani. (...)Kallen Esperian, Cynthia Lawrence e Kathleen Cassello (…) i tre soprani si sono serviti di altoparlanti, che negli acuti rendevano le voci cosi' violente da torturare i timpani. C' e' sempre stata, nell' opera, la parte atletica del cantante: ma l' uso del microfono equivale a correre il Tour de France in motocicletta.” Intanto, le urla dei madrileni ancora echeggiano dopo lo sfortunato Chénier e segnano un monito..."no pasaràn". Per ora.
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