SBATTI il "MOSTRO" IN.... COPERTINA! |
Domenica 11 Aprile 2010 23:04 |
Le copertine di dischi sono il biglietto da visita di ogni incisione e il primo, grande richiamo per ogni acquirente che si rispetti.
Dopo una prima fase (1910-1940) , dominata dall’austera semplicità dei padelloni a 78 giri, talvolta contenuti in libri mastri di cuoio pesante, con borchie in acciaio e caratteri a rilievo in oro zecchino (un’Aida integrale poteva pesare anche una ventina di chili!), non tardò a giungere l’Era dei Faccioni, le allegre e tonde sagome degli interpreti, ormai divi a tutti gli effetti di un mercato che vedeva esplodere la propria crescita, soprattutto nell’immediato dopoguerra. Ecco campeggiare sulle copertine dei 33 e 45 giri i volti porcellanati di Gigli, di Gino Bechi, della Stignani, poi della prima Callas, di Di Stefano, di Tagliavini.
I cofanetti delle opere (ormai sono solo 2 o 3 dischi a cofanetto) sono decorati in modo spartano, con scene vuote, bozzetti, foto a colori di una cavea teatrale (può essere la Scala ma anche l’Opera di Roma, o il San Carlo). Più ricchi i libretti contenuti all’interno, con foto originali riprese durante l’incisione (soprattutto nei vecchi dischi Decca). E’ dal 1970 in poi, con il progressivo affermarsi del mezzo televisivo e dei rotocalchi, che le copertine dei dischi d’opera vanno via via personalizzandosi, in una sorta di Carnevale che in varie occasioni supera di gran lunga le barriere del ridicolo: il soprano Joan Sutherland, ora circondata da corone di fiori piuttosto macabre ora sormontata da strane aureole , con il grande mento in trionfo, talvolta “limato” da improvvidi fotografi o scontornato in paurosi collages.
Ecco la testona di Birgit Nilsson, ghignante in Salomé, giustapposta a un terribile abituccio western stile Laureen Bacall nella Fanciulla del West; ecco la Tebaldi versione Viados in Gioconda, in Fanciulla,in Aida, in Bohème,Suor Angelica.
Ecco l’Aida della EMI con un giovane, obeso Domingo e una Leontyne Price col capoccione crespo, ammantata di veli leggeri, come una strana libellula. Le copertine, soprattutto quando ripropongono i grandi artisti col trucco operistico (che è notoriamente un trucco “pesante” , poiché deve reggere ore di sudate e di luci, e deve essere visto da lontano) , rischiano la gaffe a ogni pié sospinto: l’idolo delle donne, il supermacho Corelli, come Chénier e Werther (ma anche come Ernani, Don Alvaro, persino come Manrico nel Trovatore della Emi) , sembra inequivocabilmente una donna. Il grosso problema è che le primedonne non sono top model e i tenori non sono modelli da defilé : sono, per l’appunto, cantanti, o direttori d’orchestra, quindi hanno tutto il diritto di non doversi sottoporre a diete estreme o a traumatiche liposuzioni. Jessye Norman e Monsterrat Caballé, pur celate da tuniche sovrabbondanti e abili giochi di luci e ombre, trionfano fiere delle loro rotondità sulle rispettive copertine , e così Pavarotti,che preferisce puntare sul sorriso bonario e abbacinante, come un grande disco solare che invìa a tutti i suoi raggi benefici. Il filone “ieratico” propone le immagini papali di Carlo Maria Giulini, Abbado, Boehm, fino a toccare il vertice con l’aerodinamica silhouette di Herbert von Karajan. Con Ozawa, James Levine e Simon Ratte siamo a un passo dal Maestro Yoda di Guerre Stellari e da Maga Magò,
Non mancano le sorprese: Carreras versione Bin Laden ne "La Juive" di Halévy ,
Carreras versione Monna Lisa nel Samson et Dalilah
Il contratto “mostre” con Cheryl Studer obbliga la Deutsche Grammophon a ritrarla in tutte le fogge possibili, smontando un’intera costumerìa , ma ottenendo il triste risultato di vederla sempre effigiata con la stessa espressione persa nel vuoto; in Semiramide come nella Lucia o nel Ratto dal serraglio, la Studer propone sempre il medesimo sguardo enigmatico, a metà strada tra l’Estasi di S. Teresa del Bernini e il sorriso di Angela Merkel.
La stessa Edita Gruberova, presente sia nel catalogo Emi sia nella propria casa discografica, Nightingale, non riesce mai a dimettere gli abitucci da bambola assassina, che la allontanano dalle varie Amine, Elvire, Lucie e Anne Bolene per avvicinarla pericolosamente alla Baby Jane di Bette Davis. Gli anni Novanta aprono le porte al porno: l’Opera, come sempre in ritardo su tutto, scopre gambe, seni e persino toraci maschili villosi o depilati alla bisogna. Fa sensazione il Cura lacero contuso nel Samson et Dalilah della Erato, di cui si intravedono i ben noti pettorali; ma scatena reazioni ormonali ben più consistenti la copertina di Roberto Alagna quale simil bronzo di Riace, mentre la moglie Angela Gheorghiu si limita a pose più stilizzate, nel disperato tentativo di imitare la Callas degli anni ruggenti. Molte case discografiche, non potendo puntare su celluliti e pinguedini improponibili, cambiano il look alle copertine, inserendo modelle e modelli colti in varie pose. Esce un’Aida con due magnifici corpi nudi avvinghiati tra loro: sarebbero Radames e la schiava etiope? La cosa non ha successo.La linea “nude look” fa retromarcia e quindi si torna a temi più innocui: nature morte, laghi, onde marine, tramonti. Anche il tentativo di mescolare il pop con l’Opera non ha grandi riscontri: la Bartoli esordisce con giacca nera di cuoio e borchie, ma raggiunto un peso forma decisamente operistico, deve rinunciare iniziando a indossare i terribili lampadari Ikea o le gigantesche “teiere”; Sumi Jo fa un tentativo simile, ma con scarsissimi esiti; Bocelli vi riesce meglio, ma è sempre Bocelli travestito da Manrico, da Rodolfo, da Werther. L’astro di Charlotte Church, proposta come Lolita dalla voce d’angelo, tramonta non appena la bionda fanciullina supera l’età dei giochi e dei confetti.Siamo ai ruggenti anni Duemila, diremmo gli anni della creatività. Le copertine liriche, per lo più influenzate dal Tyra Banks Show, puntano sull'ambiguità e sullo spettacolo, talvolta kitsch, offerto dalle mises : così la Netrebko e la Garança fanno pensare a una magnifica coppia lesbo nel loro album di duetti,
così la stessa Netrebko appare ora "femme fatale" con Abbado nel disco Deutsche Grammophon, ora spettrale Mimì assieme a Mr.Bean -Villazon. La Bartoli, dopo gli esordi "bluson noir", via via va stilizzandosi, un cammeo trasognato in 'Sonnambula', in 'Maria' , l'album dedicato alla Malibran, finalmente si tramuta in statua di sale nell'ultimo, terribile "Sacrificium" , che fa tanto pensare ai tagli ministeriali del Fus.
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