MAURIZIO RINALDI,LA LEGGENDA DEL SANTO BEVITORE |
Martedì 15 Giugno 2010 08:23 |
Rigoletto,Rieti Maurizio Rinaldi proveniva da una famiglia molto importante, “fatta” di musica. Suo padre era il noto critico del Messaggero, sua madre musicista, i suoi fratelli, Alberto “Dado” un grande baritono e Sandro, un caro indimenticabile amico (scomparso prematuramente nel 1989). Maurizio era il più irrequieto, diciamo pure l'enfant terrible (anche se pure Dado non scherzava: restò celebre la sua audizione con il famoso agente Hollaender, a cui inviò un nastro registrato artatamente con la voce di Bastianini nella cavatina di Figaro!). Di Dado resterà memorabile la risposta che diede a Rodolfo Celletti dopo la stroncatura; il critico aveva scritto un lungo articolo con tutta una disamina dell'opera e della sua genesi, nella prima parte, mentre nella seconda parte aveva espresso i suoi pareri sui cantanti, con velenosi strali rivolti ad Alberto Rinaldi. Questi lo chiamò a telefono e disse: “Pronto? Maestro Celletti? Sono Alberto Rinaldi: in questo momento sono seduto sulla tazza del cesso e sto cagando. Ho letto metà del suo articolo, con l'altra metà mi ci pulisco il culo! Arrivederci.” E appese. Maurizio, dicevo, era il più irrequieto e cinico dei tre fratelli. Quando il povero Sandro, uomo mite e bonaccione, lodò un famosissimo soprano di cui non voglio fare il nome (perdonatemi, ma ogni tanto...) , Maurizio diabolicamente lo interruppe :”Aoh, ma cche stai a ddì??! Ma se annavamo a teatro ppe' ride?!!!”. Con l'aiuto fondamentale di Franca Valeri, sua compagna e prima estimatrice (la grande Franca aveva una venerazione autentica per lui) , Maurizio aveva creato il Concorso Mattia Battistini a Rieti, che si rivelò una autentica e validissima fucina di talenti. Grazie al suo impegno su Rieti, 24 ore su 24, la coppia Rinaldi-Valeri costruì un centro d'avviamento al teatro capace di laureare gran parte di coloro che oggi calcano i palcoscenici italiani e internazionali, con risultati di assoluta eccellenza. I vincitori preparavano l'Opera studiando la parte musicale con Rinaldi e quella scenica con la Valeri, in alcune leggendarie sessioni di perfezionamento presso la villa sul Lago di Trevignano. Ne accadevano di cotte e di crude,molti episodi sono irriferibili, ma alla fine del tirocinio una cosa era certa: la parte la sapevi “marcia”, come si dice in gergo...potevi cantarla anche rovesciata. Le sfuriate di Maurizio hanno fatto epoca come le sue sbandate per le concorrenti più carine. Durante un concorso in cui era prevista la Lucia di Lammermoor, poi vinto dalla fantastica Bonfadelli , stufo di ascoltare venti minuti di Pazzìa ripetuta per decine di concorrenti, si alzò e urlò :” Mo' basta, mme so' rotto li coj....ni co' sta ' lagna...Cuello che conta è er mi bbemolle, quindi mo' me fate sentì er mi bbemolle....ssi cce l'hai passi, sinnò tte ne vai a casa!”. Dopodiché si avventava sul pianoforte , dava una zampata per l'accordo e le poverette in fila dovettero eseguire soltanto la puntatura finale, un mi bemolle sopracuto dietro l'altro. Una scena incredibile. Un giorno , ero a casa sua in via di Roccaporena al Fleming, a Roma, squilla il telefono...l'Opera di Roma. “Pronto maestro Rinaldi?” , “Sine” fu la risposta, “Maestro, qui è la segreteria artistica dell'Opera....Lei sarebbe libero per Ernani a maggio e se sì , può cortesemente dirmi il suo cachet” , risposta di Rinaldi “UN MIJARDO!” , e appese il telefono. Poi urlando :”Sti' stronzi! Mmo' se ricordano! Io l'Opera a' faccio come dico io e dove vojo io...e ssi me vojono...pagheno un mijardo!”. Carattere impossibile ma musicista a 360 gradi. Disponeva di orchestre per lo più scalcagnate e raccogliticce, ma le faceva suonare: ricordo una selezione di Aida a Rieti abbastanza impressionante, con Gisella Pasino mezzosoprano (bravissima, tra l'altro) , il tenore sardo Mastino, se non ricordo male (si bemolli fantastici, mai più sentiti) e il basso Danilo Rigosa, bel colore e misuratissimo, un 'Aida che non avrebbe sfigurato alla Scala o al Met per la giustezza dei tempi, il fuoco sacro che ardeva frase per frase e la passione dei solisti. Maurizio Rinaldi aveva il vizio dell'alcol,non l'ho mai visto senza il suo bicchiere di whisky in mano, era un uomo disordinato, bohèmien nell'antica accezione del termine, si perdeva dietro a storie amorose complicate ...non avrebbe mai potuto fare la grande carriera: troppo poco diplomatico, troppo poco ruffiano, troppo poco “cane da riporto” (come diceva con una felicissima espressione un altro Artista con la A, Franco Bonisolli). Nell'Opera , come nella vita, non basta il talento allo stato puro (e Maurizio ne aveva da vendere) ma occorre un ordine interiore, fatto anche di ipocrisia, furbizia, savoir vivre e savoir faire. Doti che invece latitarono clamorosamente in questo ormai mitico demiurgo. |