Opera di Roma: un pallido Roberto Devereux
Sabato 02 Ottobre 2010 06:38

                                         roberto_devereux 

Il ritorno all'Opera  di  Roma  di  "Roberto Devereux" , uno  dei  titoli  della  cosiddetta  Trilogia  Tudor di  Donizetti  (assieme a Maria  Stuarda  e  Anna  Bolena),  è  all'insegna  del  tavolo zoppo:  il   teatro  si presenta  alla  Prima  di  ieri  sera  malinconicamente  semivuoto, con molti   palchi  simili  ai  "fori"  del  Colosseo, la  platea  molto  lontana  dal  tutto  esaurito. E'  evidente  che  la  macchina  non sta funzionando: un teatro  disertato  dal  pubblico  è  un teatro  non ben gestito. Del  resto, più  di qualche  voce di  corridoio  sottolinea  lo stato precario  delle finanze dell'Opera , che  stenta  a  decollare  nonostante  lo sventolìo  della  "bandiera"  Muti , invocato  come  il Pupo  dell'Aracoeli  ma  evidentemente non sufficiente  a far  rimpinguare  le magre casse  della  fondazione.

             capanella Bruno Campanella

Lo spettacolo  non è  di  quelli  memorabili. Sul  podio  Bruno  Campanella  assicura un fido  accompagnamento  ed  è  qualcosa  di  importante  in un'opera  belcantistica, ma non basta: manca  a   questa concertazione  la  gloria  dell'impronta  personale, della meticolosa  cura  del suono, lo scatto  vincente  del  fuoriclasse. "Assecondare  le voci"  , come  suggerisce  Campanella   nelle  note  del programma di  sala, è  un  encomiabile  esercizio  ma  non sufficiente. E' una  parte  del  tutto.

Quando  poi  le  voci  non spiccano  per  particolare magnificenza  belcantistica, l'esercizio  rischia  di  divenire  fine a  sé  stesso.

Carmela  Remigio  è  una  sensibile  e intelligente  interprete, ma  la  voce  non è  adatta  al  grande ruolo  di  Elisabetta, che  può ascriversi  tranquillamente al  novero  dei  tipici  drammatici  di agilità, comunque a  vocalità  sfogate, capaci  di  esplorare  altri  grandi  ruoli  (le  varie  Caballé, Gencer, Sills, Kabaivanska  avevano un'ampia gamma  da  esibire e  parecchie carte  da  giocare). La  Remigio, con la  sua  voce  chiara  e   leggera, decisamente  mozartiana,  messa   a  repentaglio  dai  recitativi  drammatici  e dagli scatti  d'ira  continui  della  regina,  è costretta  a  "bluffare"  frase dopo  frase,  fin quasi a  guastare  il  timbro  e a  renderlo  aspro, oscillante, con molte  note  che  allargate  inopinatamente, finiscono  "indietro"  di  posizione, rivelando  la  scarsa  proiezione  e  persino  una  limitata  gamma in zona  acuta. Non a  caso, la  Remigio  che  dovrebbe  svettare   finisce  per  omettere  qualsiasi  sopracuto, eliminando  quindi   quella  prerogativa  belcantistica  che  è  propria dell'opera  donizettiana.

La  recitazione, complice  una  assente  regìa  affidata  a Joseph  Franconi Lee,  è  tutta  basata  sulla  solita  Elisabetta claudicante  e  perennemente  furibonda , ma  non tarda  a  manifestarsi  nella minuta  figura  della  Remigio  in un  pericoloso  misto  tra  la  bambola  dei  Racconti  di  Hoffmann   e il  robot  di un vecchio  film  di  Sordi, "Io  e  Caterina". Lo  scettro  continuamente  brandito  come una  scopa, le  mossette  a  scatti, le  smorfie....tutto  ciò  toglie  grandeur  e  regalità  al  personaggio, che  da  regina  d'Inghilterra  si  tramuta  nella  Filumena  di  Titina  De  Filippo.

Tuttavia   , in un empito  d'orgoglio, la  Remigio  è  riuscita  ad  eseguire  con classe  l'aria  "Vivi  ingrato" , scritta  per  le  sue  note, e  ha  dato  tutto  nella  cabaletta  "Quel sangue versato" , pur  senza  il sopracuto  finale.

Al  suo fianco  Sonia  Ganassi  ha  sfoderato  la  ben  nota  classe  e  musicalità,  con  una  prestazione  in crescendo  che  ha  visto  man  mano  delinearsi  un bel  personaggio. La  Ganassi  è, a  mio parere,  un  soprano  e  quindi soffre  nella  tessitura  medio-grave, sebbene  la  tecnica  e  l'intelligenza  dell'interprete,  esperta  in  questo  repertorio ,  le assicurino  una  resa  costante. Assai  meglio  nel  III  atto,  dopo  un inizio  un pò  in sordina.

Il  tenore  Massimiliano  Pisapìa   è  Roberto  Devereux. L a voce  si  impone  subito  per  lo  squillo  e  l'ampiezza, una  vera  voce, che  mette  in difficoltà  nei  duetti  le due colleghe. Purtroppo  il  personaggio  non  è  "sentito", forse   per la  completa assenza  della  regìa. Pisapìa  tende a  piazzarsi  al  centro  del palcoscenico e a  eseguire   quello che io  chiamo  "concerto  in costume" , senza  mai  guardare  in volto  le   sue  donne. Ne risente   anche  il fraseggio  e lo  stile, che  tende a  essere  più  "verista"  e  poco  belcantistico. Pisapìa  ha  debuttato  il  ruolo  nel  2006, a  Bergamo.

Trionfatore  della  serata, direi  perfetto  nella  parte  del  Duca di Nottingham , il baritono  Alberto  Gazale:  vocalità  ampia  e  cordiale, legato  ottimo,  lunghi  fiati  espressivi, estensione  omogenea  , fraseggio  sempre  pertinente.

Buona  la  prova  dell'orchestra  e un pò  sbiadita  quella  del  Coro, a  tratti  intimidito  e impreciso, come nella  I  scena  del  II  atto.

Bello  lo  spettacolo  di  Fassini   e  i  costumi  d'epoca  di  David  Walker.