S.CECILIA FESTEGGIA IL GUGLIELMO TELL
Domenica 17 Ottobre 2010 08:51

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Festeggiato da interminabili applausi, commossi e convinti, il “Guglielmo Tell” torna sotto la direzione di Antonio Pappano alla Sala S.Cecilia del Parco della Musica a Roma. Un'esecuzione che potrei definire perfetta per quanto riguarda la concertazione, tersa e lucidissima, e la conseguente prestazione di Orchestra e Coro. Dopo questa ulteriore, memorabile prova , è facile per il cronista affermare che l'orchestra e il coro dell'Accademia Nazionale di S.Cecilia sono oggi le migliori compagini italiane, al livello delle migliori orchestre del mondo.

pappano2 Pappano  e  l'Orchestra,Coro di S.Cecilia

Pappano, cm suo solito, imprime uno scatto vigoroso e una scelta di tempi serrata ma il suo Rossini resta un Rossini classico, che guarda cioé più al grande passato costituito dall'idolo Mozart che al futuro romantico, rappresentato da Verdi. Un grave errore, commesso dagli esecutori del Novecento, è stato quello di collocare l'ultima opera di Rossini, scritta nel 1829, alla stessa stregua stilistica del primo se non addirittura del tardo Verdi, con l'effetto di appesantire ed enfatizzare la raffinata orchestrazione rossiniana e costringere la scelta di voci abituate all'Aida, al Trovatore, alla Forza del destino. Il Gugliemo Tell, aggiungiamo, fu presentato ampiamente tagliato fin dalle sue prime rappresentazioni, in certi casi addirittura decurtato della metà! Oggi Pappano restituisce questo formidabile affresco sonoro in tutta la sua magnificenza, rivelato in ogni dettaglio, con un amore e una dedizione assolutamente speciali. A lui il massimo tributo e l'entusiasmo del pubblico.

           pappano1 Antonio Pappano

Veniamo al cast vocale. Luci e ombre com'è ovvio e consueto, in un periodo storico che vede abbastanza depauperato e confuso il grande bacino delle vocalità.

Partirei dall'ottimo trio dei tenori: Celso Albelo, ormai un lusso per il Pescatore che apre l'opera, ha sfoggiato la sua bella ed estesa voce di tenore lirico leggero, dal canto suo Carlo Bosi, nella parte di Rodolfo il capo degli arcieri di Gesler, ha fatto udire in sala la voce tenorile più sonora e penetrante, nonostante la parte da comprimario. John Osborn, last but not least, ha affrontato ancora una volta la tremenda parte di Arnoldo, stavolta con un eccesso di prudenza, per giungere fresco e temprato allo scoglio terribile della scena del IV atto. Nonostante la fantastica sicurezza del registro acuto e sopracuto, la duttilità e l'aplomb stilistico, Osborn ha peccato a mio parere di qualche falsetto di troppo , soprattutto nel grande duetto con Matilde, tanto da risultare più un Conte d'Almaviva che l'eroico antesignano di Manrico. Gli sono mancate cioé le folgori che pur necessitano in una partitura dall'orchestrazione densa e a tratti travolgente. Tuttavia, Osborn ha superato con abilità tutte le difficoltà e ha trionfato in aria e cabaletta del IV atto, ottenendo un successo personale.

Il protagonista era il baritono canadese Gerald Finley, nobile e misurato nell'emissione, chiarissimo nella parola, il quale però è stato poco incisivo nei passi più gloriosi della sua parte, soprattutto nel giuramento finale del II atto. E' la classica voce da perfetto liederista, si avverte dall'attacco alto dei suoni e leggermente fisso sugli acuti, un canto leggermente “manierato” che se avvantaggia l'emissione in certi passi più lirici la penalizza in quelli più veementi, nel duetto con Arnoldo per esempio. Michele Pertusi mi era piaciuto di più e lo stesso Bruson, in una bellissima edizione al Filarmonico di Verona.

            bystroem M.Bystroem

Matilde era la bellissima Malin Bystroem, una svedesona alta e bionda, fisico da top model, adusa al repertorio mozartiano . Sinceramente una  prova  che mi ha  deluso: per il  timbro, che è abbastanza anonimo, per l'assenza  di  vigore poiché la voce risuona chiara e poco proiettata, per la tecnica, tutta da perfezionare. Ne è risultata una esecuzione non ancora matura, piuttosto incerta seppur musicalmente a posto, con acuti lanciati alla “garibaldina” e agilità sofferte. Tra l'altro (questo è un consiglio per chi vuole stare in scena con eleganza) la bellezza conta fino a un certo punto, conta piuttosto la POSTURA. Proprio perché preoccupata dall'asperità della sua parte e forse dalla vocalità non adatta, la splendida “Barbie” ha cantato con le braccia perennemente mulinanti, tipo direttore d'orchestra, e piegata su un fianco. Non era un bel vedere, tant'è che man mano che l'opera andava avanti ha preso il sopravvento la piccola ma aguzza Elena Xanthoudakis, che cantava Jemmy. Una Dessay in sedicesima, somigliantissima, vincente nei concertati e nel meraviglioso finale, in cui ha umiliato la collega con un formidabile do acuto.

Molto bravo il basso Frédéric Caton come Melchtal, meno bene Carlo Cigni come Gesler, a causa di un registro acuto piuttosto ingolato.Belle le voci di David Kimberg come Leutoldo e Matthew Rose come Gualtiero.Buona Edwige e cioé il mezzosoprano Marie-Nicole Lemieux.

La serata e le prossime due recite verranno registrate e poi proposte in cd dalla Emi.

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