ELISIR all'OPERA di ROMA....e Muti aleggia... |
Sabato 05 Febbraio 2011 10:36 |
Elisir d'amore all'Opera di Roma, un gradito ritorno di uno dei capolavori del repertorio operistico, un ottimo successo, una serata piacevole nonostante la funesta notizia del ricovero a Chicago del Maestro Muti, colto da malore mentre provava un impegnativo concerto sinfonico. Nel formulare i nostri personali auguri di pronto ristabilimento al Maestro, in attesa di rivederlo sul podio romano il 17 marzo con “Nabucco”, non possiamo non notare che anche in questo “Elisir” l'impronta mutiana è notevole. Del resto , il vicepresidente del Consiglio d'amministrazione del Teatro, Bruno Vespa, tra un Porta a Porta e l'altro, ci aveva annunciato che ogni “ordine” del Grande Maestro Muti era stato rispettato alla lettera: dalla nomina del suo fido direttore artistico Alessio Vlad, alla rimozione della Fracci in favore di Misha Van Hoecke quale direttore del corpo di ballo, alla nomina di Roberto Gabbiani in luogo del povero Giorgi, che di crepacuore passò all'altro mondo , alla nomina di Filippo Arriva quale ufficio stampa in vece del pur ottimo Sappino, fino alla scelta dei titoli, dei registi , dei direttori d'orchestra e di gran parte dei cast, come si deduce anche da questo “Elisir”. Elisir d'amore, Roma 2011
E' dal programma di sala che scopriamo i “sottili” legami, per esempio, con il regista Ruggero Cappuccio, napoletano, che nel 1999 debutta in opera con la “Nina” di Paisiello, diretta alla Scala da Riccardo Muti;ancora nel 2001 è sua la regìa di Falstaff a Busseto, sul podio Muti;ed è Chiara Muti, figlia del Maestro, nel cast dell'”Orlando furioso” presentato all'ETI , sempre nel 2001, o in “Desideri mortali” , oratorio profano di Tomasi di Lampedusa, eseguito a Palermo nel 2008, o nell'opera “Natura viva” di Betta presentata al Maggio Musicale Fiorentino nel 2010. Insomma: Cappuccio e Muti, Muti e Cappuccio... Se poi prendiamo un compasso, che vicino ai cappucci stanno benissimo, e proviamo -sempre partendo da Muti- a tracciare delle linee....scopriamo che il maestro Campanella è un altro fraterno amico del Maestro.Nulla di male, per carità....nella grande loggia dell'Opera c'è posto un po' per tutti e Campanella è uno specialista del repertorio donizettiano. Le linee si intrecciano e si irradiano, come i raggi di un grande Sole: il costumista, Carlo Poggioli, firmò i costumi del Falstaff, della Nina e persino di Don Calandrino a Salisburgo, tutti spettacoli voluti e diretti da Muti.
Elisir, Roma 2011 Veniamo al cast, anche qui non ci vogliono cappucci o compassi, è abbastanza evidente: Adriana Kucerova, l'avvenente Adina, è una pupilla del Ravenna Festival, avendo ivi cantato con il Maestro Muti, così anche l'Adina del secondo cast, la bravissima Rosa Feola, che cantò “I due Figaro” di Mercadante a Salisburgo, ancora una volta con il Maestro Muti. Va bene, no problem. Finché c'è la salute....diceva Totò. Lo spettacolo, si diceva all'inizio, molto piacevole, garbato, con punte di eccellenza nel cast maschile. Saimir Pirgu, il più giovane della compagnìa, musicalissimo ed elegante come Nemorino, sulla scìa dei tenori di grazia alla Luigi Alva: perfetta la sua caratterizzazione, prodiga di colori e smorzature raffinate, con una “Furtiva lagrima” di grande levatura e un bel do alla fine del duetto con Belcore, tutto ciò unito a una piacevole presenza scenica e a una notevole disinvoltura attoriale. Un protagonista ideale, con la voce che risuonava sonora in tutto il teatro. Saimir Pirgu Molto bene anche il giovane Dulcamara di Alex Esposito, un vero attore-cantante, che la regìa ha voluto come una sorta di mago, di genio della lampada. Esilarante l'ingresso, con Dulcamara minuscolo, avvolto in un mantellone che nascondeva le gambe piegate, tale da farlo apparire come un nano grottesco. Un grande prova di bravura unita a una vocalità che, seppur non estesa (gli acuti sono risultati un po' “stretti”) , è risultata sempre autorevole e perfetta nella dizione. Alex Esposito Ottimo il Belcore di Fabio Maria Capitanucci, tronfio e molto sonoro nell'ottava centrale, perfetto in scena. Consiglierei a questo bravo baritono di non lanciarsi, però (come leggo nel curriculum) in opere verdiane abbastanza pericolose, visti i piccoli problemi che si notano sul registro alto (gli acuti tendono ad andare un po' indietro, con un movimento della testa che accompagna ) e di insistere piuttosto su Mozart e Rossini, sistemando man mano la tecnica. Purtroppo il reparto femminile non era all'altezza, una tantum, dei colleghi uomini. Adriana Kucerova La Kucerova è molto graziosa, si muove in scena come una ballerina, è disinvolta , la voce è carina, le note ci sono quasi tutte (qualcuna ne ha saltata nella cabaletta finale “Il mio rigor”)...ma i mezzi sono piuttosto limitati. Fiati corti, note basse quasi inesistenti. Adina è una parte classica di lirico di agilità, ciò vuol dire che si richiede una voce decisamente più sostenuta e non evanescente, a tratti spoggiata, come quella della cantante slovacca. E poi, quando l'orchestra cresce di intensità (nei concertati soprattutto), non si può essere totalmente travolti. Molto male vocalmente la Giannetta di Erika Pagan, che deve assolutamente aggiustare l'emissione per non risultare petulante . Lo spettacolo di Cappuccio presentava una scena estremamente stilizzata, un po' onirica, in carta da zucchero: semplici quinte decorate, un fondale con il paesino accennato da casette bianche tipo Ostuni, un paio di tavolini bianchi, alcuni ingombri di plastica illuminati da luci ora bianchissime ora tenui e soffuse. I personaggi erano molto attivi e danzanti, per lo più:Dulcamara, si è detto, un genio della lampada con tanto di treccione e pantaloni alla zuava, Nemorino un signorino di campagna in gilet, Adina una damina tipo Musetta, Belcore in divisa classica con appena due soldati-mimi al seguito. In più saltinbanchi e funamboli, tra cui una bravissima ragazza che si arrampicava su un lungo drappo rosso e volteggiava in aria nella “Furtiva lagrima”. Il Coro, nonostante qualche tentativo di ballo e lo sventolìo di qualche bandierina, era piuttosto statico. Il maestro Campanella ha scelto una strada opposta alla disincantata e ingenua allegrìa dello spettacolo e , costretto a far suonare l'orchestra piano o pianissimo soprattutto quando cantava Adina, ha dato l'impressione di tenere il freno tirato, il contrario esatto di talune esilaranti recite di Don Pasquale o Figlia del reggimento, di cui Campanella è specialista. Così , ogni tanto, l'orchestra risultava non solo sottotono, ma talvolta imprecisa e spesso moscia, demotivata. Lo stesso Coro era abbastanza irriconoscibile dall'ultimo Moise ed è clamorosamente andato fuori tempo nel finale del I atto. Da registrare un bel successo, con molte richieste di “bis” dopo la grande aria di Nemorino: trionfo per Pirgu, per Esposito e per Capitanucci, meno applausi ma comunque abbastanza per Adina e Giannetta, consensi al direttore e ai responsabili dello spettacolo. Una delle rare volte in cui il regista non viene fischiato: per molti è un brutto segno.
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