MACBETH all'OPERA , ed è subito Muti. |
Lunedì 28 Novembre 2011 00:21 |
Il Macbeth di Vedi approda all'Opera di Roma sotto la bacchetta del suo direttore “perpetuo” , Riccardo Muti, e con la regìa di Peter Stein in coproduzione con il Festival di Salisburgo. Spiace che la capitale d'Italia, di questa Italia, sia diventata una sorta di succursale di un Festival , un tempo prestigioso oggi un po' meno: forse è un altro scotto da pagare per l'Europa-Che-Non-C'è o per non si sa quali occulti accordi. Sta di fatto che lo spettacolo importato dalla bella cittadina austriaca è tutto fuorchè un bello spettacolo: la solita scatola nera che abbiamo visto da trent'anni in non si sa quante occasioni, con le solite quattro luci di taglio, con il solito fondale ora azzurro ora bluastro ora arancione, con il solito pannello che fa avanti e indietro da una quinta, tanto per arricchire un po' la scabra scenografia. E' un Macbeth noioso e scontato quello di Stein, che però nel terzo atto non manca di inserire qualche “fantastica” trovata: mentre Macbeth giace steso dopo la scena delle apparizioni, viene circondato da un nugolo di bambini e bambine vestite di bianco, una sorta di improvvisato Kindergarten, che si mettono a danzare e a giocare come in una strana festicciola en plein air. Le stramberìe non finiscono qui: il famoso balletto, concepito da Verdi per l'Opéra di Parigi, viene eseguito all'inizio del III atto come intermezzo sinfonico, a sipario chiuso. Perchè mai? Non ha l'Opera di Roma un corpo di ballo ? Così ci tocca assistere a uno stravagante concerto, tra l'altro un pò enfaticamente eseguito dal Direttore Perpetuo. Last but not least, le proiezioni che commentano le frasi di Macbeth , con le immagini della Dinastia Reale inglese, e quando questi canta “Oh vista orribile, oh vista orribile” appare in alto la faccia di Elisabetta II: effetto quanto mai comico. Bisognerà anche spiegare a Herr Stein che le streghe del Macbeth non sono personaggi buffi e che vederle ballare, come nella disneyana Spada nella roccia, non è un effetto propriamente indovinato. Veniamo dunque a questa concertazione. Si è parlato molto in questi ultimi anni di un Muti più meditativo, meno enfatico, alla ricerca di sonorità più soffuse e crepuscolari....ma dove?!? Ritroviamo il Muti che ben conosciamo dai tempi del Maggio Fiorentino e poi della Scala: fin dal preludio dell'opera vi sono le note scelte dinamiche strampalate, con tempi ora strettissimi ora sdilinquiti in esasperanti lentezze, con irruenti entrate di ottavino e legni, poderosi squilli degli ottoni, strappate di contrabbasso e via discorrendo. E' il campionario del Muti con l'elmetto , che guarda al primo Verdi come a un bersagliere con schioppo in spalla e sciabola al fianco sempre pronto alla carica. Vi sono buoni momenti nella concertazione, non è tutta una giostra ma vengono puntualmente mandati a ramengo da incredibili cadute: come il finale I , per esempio, dove lo stringendo del Coro “L'ira tua, formidabile e pronta” rievoca climi più circensi che drammatici, o le stesse musiche del Balletto, che dovrebbero rievocare Ecate e invece fanno pensare a più villerecce Sagre paesane. Veniamo alle voci, per lo più travolte dalle sonorità mutiane ma non per esclusiva colpa del Maestro, sia ben chiaro. Tatiana Serjan è Lady Macbeth: una bella figura senz'altro e una bravissima attrice, ma la voce è afflitta da un vibratino stretto abbastanza fastidioso e nonostante una certa sonorità di base, tende ad andare “indietro” su si naturali e do. La nota più bella della serata è stato il periglioso re bemolle che chiude il Sonnambulismo, nel IV atto, ma non può bastare. Il protagonista è il baritono Dario Solari, che per aggiungere autorevolezza al suo personaggio fa l'errore di gonfiare i centri e ingrossare troppo la voce, a discapito dello squillo :peccato, perchè oltre a essere un ottimo fraseggiatore è anche un artista che sa stare in scena. Il basso Riccardo Zanellato è bravo ma insufficiente come Banquo: nella grande aria non riusciva a imporsi e restava nell'ambito di una buona routine. Antonio Poli è senz'altro un tenore di bellissimo colore e canta con molto gusto, ma non ha il volume necessario per un ruolo che è da tenore lirico spinto se non addirittura drammatico. Così l'entrata del I atto passa quasi inosservata e la cabaletta che segue l'aria, in coppia con l'altro tenore (Malcolm), lo vede soccombere accanto al collega (il tenore Antonio Corianò). Da segnalare la bravissima Anna Malavasi come Dama di Lady Macbeth, il Medico di Gianluca Buratto e le tre Apparizioni, tutte voci molto intonate: Luca Dall'Amico, Claudio Prosperini e Marta Pacifici. Da lodare incondizionatamente Coro e Orchestra dell'Opera di Roma, che hanno dato il massimo. R.Muti e P.Stein |