PER CHI STONA LA CAMPANA: DON GIOVANNI alla SCALA |
Mercoledì 07 Dicembre 2011 23:02 |
E' una prassi ormai consolidata del 7 dicembre, alias Sant'Ambrogio, costruire l'evento assai prima che questo si realizzi sul palcoscenico del Teatro alla Scala. E' una sorta di 'coccodrillo' giornalistico al positivo, naturalmente: trionfo annunciato, sfilata mondana, eccezionale cast, esecuzione memorabile. Nel 2011 questo evento cade in un momento totalmente sbagliato per decantarne le sperticate lodi: sono i giorni delle tasse, della crisi, dell'Europa (sic??) che soccombe e vacilla sotto i colpi dei ricatti internazionali, i giorni di Monti e Napolitano, che come due vecchi compari occupano il palco reale , un po' automi un po' statue del Commendatore. E il Sublime, che sempre ci sorprende, giunge esattamente quando Carsen decide di piazzare proprio il Commendatore mozartiano tra Napolitano e Monti, formando così un trio che è meglio dei Tre Tenori , forse. Il Don Giovanni diventa così un simbolo di questa Italia, di questa Scala, di questa Europa, dei tempi che viviamo o in cui molti sopravvivono: non è più l'evento dei tempi d'oro di Ghiringhelli o Badini o Grassi o persino Fontana (oggi voglio rovinarmi!), ma è un Don Giovanni della porta accanto, a Roma si direbbe “de noantri”, uno spettacolo che lo stesso Daniele Rubboli al Rosetum. Con qualche soldarello in più, avrebbe potuto organizzare in maniera fors'anche più decorosa. Cominciamo dunque dalla regìa (sic ?!?) di Robert Carsen, che egli stesso ha definito “un omaggio alla Scala” . L'omaggio, così dice Lui, viene realizzato in un Nulla travestito da Scala. Provo a spiegarmi meglio: in scena non c'è nulla, la scena è in vacanza o in sciopero -fate voi. C'è il sipario e un 'altra serie di sipari, un buio quasi perenne, i personaggi che passeggiano, rotolano, si agitano senza un valido “Perchè?” . Già, perchè chiedersi “perchè?” , direte voi. Ma un Perchè c'è sempre, soprattutto quando si deve frugare nel vuoto di idee e di scenografie. Adesso arriverà qualcuno, sempre molto intelligente, a spiegarci che invece c'è questo e quest'altro, che la regìa è “geniale”. Un'altra parola di cui si abusa , nei nostri tempi. R. Carsen Io di geniale non ho visto nulla...ma proprio nulla. Anzi, scusate ma ho visto parecchie sciocchezze, per non usare termini che possano risultare troppo offensivi: Elvira vestita inizialmente da Dick Tracy poi in sottoveste per tutta l'opera, salvo qualche rara parentesi in cui sfoggiava un abito rosso sipario, tanto per non farci dimenticare il triste Leitmotiv di questo spettacolo; sempre Elvira che ride alla lettura del Catalogo di Leporello; “Già che siam verso sera” dice il protagonista nel II atto e le luci della sala si spengono; Zerlina che prende a calci Masetto prima di “Vedrai carino” (per come cantava...immagino); esce una donna nuda dalla buca orchestrale dopo il Sestetto...ma chi è? Dov'era? Cosa faceva...? Forse un “servizietto” al maestro Barenboim...si sa....durante i recitativi, ci si annoia; l'orrenda diapositiva del Teatro alla Scala vuoto, proiettata sul fondale per la scena finale, così simile a quei telegiornali di 30 anni fa, in cui l'inviato Sandro Paternostro parlava da Londra con la foto del Big Ben alle spalle (in realtà era in mutande a casa sua, in una stanza 4m x 4 !). Insomma...il Nulla elevato a finta Arte. E , come ben disse Hugo De Ana (un regista VERO): “Queste cose...costano... quanto e PIU' di uno spettacolo apparentemente costoso, con le scene costruite!”. Per Carsen Don Giovanni appare come un indifferente dandy, anche vagamente annoiato....può essere una soluzione: del resto Don Giovanni lo avrebbe messo in scena così anche mia nonna, essendo una di quelle opere-capolavoro in cui ogni idea, anche la più idiota, funziona. Però questa impostazione nuoce alla figura allampanata del baritono Peter Mattei, un ottimo vocalista, ma che si presenta come una via di mezzo tra Neri Marcoré e Jim Hutton il celebre Ellery Queen televisivo, cioè con quella allure e quella faccia un po' “appesa” , vagamente da “menagramo” , diciamo pure con una capacità seduttiva pari a quella d'un merluzzo lesso. Colpa del regista averlo conciato così e averlo fatto recitare così: un bravo regista AIUTA e MIGLIORA i suoi attori, non li mortifica. j.Hutton n.marcoré P.Mattei Stesso trattamento per la “bellona” della compagnìa, Anna Netrebko, letteralmente massacrata dalla mise imposta da Carsen: praticamente la sorella più giovane e pingue di Marta Domingo, impossibile conciarla così. A una donna in carne, poi, NON si scoprono le braccia e le spalle in quel modo. M.Domingo Veniamo alle voci. Su tutti sono emerse le buone vocalità di Barbara Frittoli, magistrale nei recitativi e un po' meno brava nelle terribili arie di Donna Elvira, dove qualche nota si perdeva per strada, e di Peter Mattei, stilista impeccabile, di bel colore, intonato, espressivo. Peccato le urla nel Finale, davvero fuori luogo. La Netrebko, in sospetto di microfono nascosto tra le tette (si è sentito in maniera distinta nel duetto finale con Don Ottavio, ma voglio verificare meglio), ha indubbiamente una grinta e un bellissimo colore di voce ma, come in Anna Bolena le cose andavano per il verso giusto, qui in Mozart sono venuti a galla alcuni brutti difetti: 1) l'eccesso d'impeto nei recitativi per strafare , quando Donn'Anna non è Giorgetta del Tabarro; 2) l'intonazione non sempre cristallina, anzi...; 3) i colpi di glottide per agilità e acuti, soprattutto nel rondò “Non mi dir” , che ha rasentato il miracolo di una Donna Gallo Bis. Purtroppo di Giuseppe Filianoti dobbiamo verificare ,ancora una volta, le cattive condizioni generali, con una intonazione non accettabile e una prestazione perennemente preoccupata. Restano Bryn Terfel, stremato, con la voce vuota in basso e perennemente morchiosa, schacciata tra naso e gola, tremendo nell'aria del Catalogo, in cui si è impiccato nella nota tenuta della “grande maestOOOsa” , già cavallo di battaglia (persa) di Claudio Desderi; la coppia Zerlina-Masetto da dimenticare totalmente, non mi fate dire altro, e il senile, traballante Commendatore, tra l'altro un nano o quasi, che collocato accanto a Peter Mattei, dava luogo alla classica coppia definita a Roma de “l'olivaro cor secchio”. Manca Barenboim, che a me ha dato l'impressione di un capitano in mezzo ai flutti, con un timone spezzato al posto della bacchetta. Qualche sprazzo buono alternato a lentezze inspiegabili e a confusioni non tollerabili in una occasione tanto grande e strombazzata. Tuttavia io non lo avrei fischiato per la direzione bensì per aver avallato alcuni elementi del cast. Il pubblico, buonista fino all'eccesso, ha tuttavia contestato Carsen e Barenboim. Il che, equivale, a un successo per un regista à la page.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo: Gentile Enrico,
le scrivo spinta dal desiderio di esprimerle il mio vivo consenso per il suo articolo sulla prima alla Scala.
Non ero presente all’evento ma – date le condizioni in cui versa la “musica” italiana – non stento a credere alle sue parole.
Certo, ci vuole coraggio per demolire un’istituzione apparentemente intoccabile come La Scala di Milano.
Forse – e dico solo forse – l’ormai evidente collasso artistico ha a che fare con la totale assenza di meritocrazia (nei concorsi e non solo), con l’abuso di potere (che avviene in questo come in qualunque altro mestiere) e con un fenomeno nuovo che appartiene decisamente a questa generazione di “artisti”: il delirio di onnipotenza.
Sì, perchè quando per anni “fenomeni” che non erano tali raccoglievano plausi al di là del reale prodotto che sapevano offrire si è in qualche modo sparsa come un morbo l’idea che la realtà dei fatti non fosse così importante. La cosa veramente importante era ciò che “si diceva in giro”. Ciò che scrivevano sui giornali scribacchini incompetenti comprati dal sistema. Ciò che si offriva in tv come “eccellenza” della musica in Italia, certi del fatto che ormai nessuno fosse più in grado (nè avesse intenzione) di distinguere tra chi possedeva reali competenze – e faceva la fame - e chi millantando di possedere doti straordinarie riempiva vacui trafiletti e pingui stomaci.
Probabilmente l’aria è cambiata. Anche di poco. Non ha importanza.
Quando un castello è costruito sulla sabbia basta poco per farlo venire giù.
Quindi buon lavoro!
E complimenti per la sua “penna audace”.
Francesca G.
Grazie Francesca, condivido in tutto e per tutto le tue parole. Ribadisco che trovo indecente che un teatro così importante e rappresentativo per il nostro paese proponga un simile spettacolo. Ma non bisogna mai allinearsi alla società del 'consenso organizzato'. Una mail come la Tua sprona a continuare sulla strada del giudizio magari duro ma LIBERO.
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Caro e bravo Enrico Stinchelli ho letto il suo blog : ottimo sullo spettacolo alla Scala. Egidio P. |