René Jacobs e il Flauto tragico |
Giovedì 22 Novembre 2012 17:38 |
Di recente, confesso, ascoltando parecchie incisioni , mi ero riconciliato abbastanza (non del tutto) con gli strumenti cosiddetti “originali” (perchè originali non sono, si sappia, essendo costruiti oggi, con vernici attuali, legni attuali e corde attuali). Talune esecuzioni a opera di complessi formati da ottimi musicisti e guidati da altrettanto preparati maestri mi avevano convinto, sia per la brillantezza e la vivacità delle concertazioni, sia per lo scupolo belcantistico di molti interpreti, magari non dotati di mezzi eccezionali ma stilisticamente preparati , in grado di ricreare esecuzioni teatrali. Ieri sera , all'auditorium di S. Cecilia, ascoltando il Flauto magico diretto da René Jacobs e dal suo gruppo “Akademie fuer Alte Musik Berlin” , ho capito il perchè di quella riconciliazione: tutto merito dei dischi.
Nei dischi questi gruppi sono intonati, precisi e la confezione garantisce una qualità, se non proprio entusiasmante, per lo meno curata. L'intonazione è dovuta alla postproduzione dei dischi medesimi: grazie a raffinatissimi softwares e alla presenza di eccezionali tecnici del suono, anzi “architetti del suono”, ogni minima sfasatura viene magicamente riaggiustata. Prodotti di laboratorio, ed è anche giusto che sia così perchè , in quanto dischi, vanno ai posteri. Ma l'ardua sentenza tocca a chi segue questi gruppi dal vivo, non ai posteri. E la sentenza è di assoluta condanna, per quanto mi riguarda. Quello che ieri sera ho ascoltato (e che il pubblico di Radio3 ha potuto ascoltare in diretta) non era il Flauto magico di Mozart, ma un disperato tentativo di imitarlo: un tragico festino fatto di stonature a rotta di collo, dai primi accordi all'ultimo del capolavoro mozartiano. La brutta piega che avrebbe preso la serata si è vista fin dall'ingresso, sciatto e trasandato, degli ilari orchestrali berlinesi: quando mai si è visto, se non nelle sagre paesane, che alcuni membri della compagine impegnata in un sì importante evento si presentino sul palco alla spicciolata, voltando le spalle al pubblico, parlottando e ridacchiando ben prima che gli applausi di rito ne salutino l'ingresso? Nemmeno una banda all'Oktoberfest. Formalità...direte voi. Sì. È vero. Ma a questo punto divento anche formalista, soprattutto quando assisto al trionfo di una compagine che tanto è misera nella forma quanto nei contenuti musicali.
Intendiamoci. René Jacobs , a furia di dischi e concerti, il fatto suo ormai lo sa. La sua concertazione, piena di stravaganti invenzioni ritmiche e volutamente “burlona” (le 3 Dame trasformate in tre soubrettes da operetta, per esempio, o il Monostatos isteroide) potrebbe anche passare, se si considera un Mozart alla Milos Forman, sufficientemente brioso e dal tono divertito. Non è una concertazione che annoia , in questo senso. Non sono del tutto d'accordo nel far pendere l'ago della bilancia dalla parte di un Flauto magico giocoso più che pensoso: sappiamo bene che è l'uno e l'altro, però è una scelta e va rispettata come tale. Jacobs in questo è stato coerente e ha giocato con il suo gruppo. Il problema principale è l'intonazione , perennemente calante, dell'ensemble , caratterizzato da un quartetto d'archi dal suono secco, segaligno, e da insopportabili spernacchiate dei corni naturali. Una signora collocata in alto a sinistra fungeva da rumorista, come nei vecchi sceneggiati radiofonici: un cicalino in bocca ed ecco gli uccellini di Papageno, un colpo a destra su una lamiera ed ecco i tuoni della Regina della Notte. Tenero e patetico al tempo stesso. Non parliamo poi dell'agitatissimo professore addetto a tempestare il timpano, o quel che era (troppo simile ai tamburi rituali di certe tribù africane) e al cosiddetto fortepiano, che quando entrava in ballo pareva una chitarra scordata. Vi lascio immaginare la mitica Ouverture cosa è diventata: una burla. Si sperava nelle voci ma per una sorta di sinistra, macabra solidarietà, il cast vocale si è perfettamente adeguato allo smandolinamento di una simile orchestra . Nella parte di Tamino un tenore che sembrava il prodotto di un impossibile incrocio tra il sindaco di Torino, Fassino, e il tenore Ian Bostridge, dotato di una vocina esile e informe, priva di un qualsivoglia suono appoggiato. Ora, mi si dirà: Mozart non è Verdi. Grazie, lo so. Ma Mozart va cantato, lo stesso e possibilmente senza farsi coprire da un'orchestra di zanzare, per di più. Il signor Topi Lethippu, così si chiama il prode interprete, non è stato in grado di sostenere sul fiato nemmeno una frase, per sbaglio. Con il risultato di regalare un Tamino bianco, lavato in varecchina, con falsetti calanti distribuiti ogni qual volta la voce doveva superare un fa acuto. Una vera pena. Inoltre, una pronuncia tedesca da paura, diciamo pure indecente. Data la qualità della sua intonazione, suppongo e spero che il “Diapason d'oro” vinto nel 2010, abbia una valenza ironica.
Miah Persson, graziosa svedesina, era Pamina. Il suo curriculum è su per giù quello che ebbe a suo tempo Margaret Price, con una unica differenza: la Price sapeva cantare e molto bene, la Persson ...no. Voce ingolata, costretta a gridare sugli acuti e a scomparire nei pianissimi, scomposta nel legato, poco intonata, disordinata.Se questo è il top che propone il mercato....
Leggermente meglio il baritono austriaco Daniel Schmutzhard, che per lo meno si è sforzato di configurare un Papageno degno di questo nome, dando spigliatezza e simpatìa al suo personaggio. Peccato che, ogni qual volta doveva salire, la voce andava indietro , inesorabilmente. Un signore non molto alto parlava con voce bassa: si chiama Marcos Fink. Un basso “parlante” , quando Mozart aveva previsto un basso profondo CANTANTE. Si vede che nella testa di René Jacobs vi è un po' di confusione, forse quella “folie organisée” di cui parlò Stendhal a proposito di Rossini? Non sappiamo. Veniamo, dulcis in fundo, alla migliore, l'unica cantante in grado di eseguire con proprietà, gusto e voce il suo impervio ruolo: il soprano turco Burcu Uyar. Finalmente, una boccata d'ossigeno: precisa nelle agilità, intonatissima, intensa, con una voce che arrivava ovunque. Piccolini i fa sopracuti, ma è poca cosa rispetto al resto della compagnìa.
B.Uyar Vorrei tacere i nomi degli altri, compresi quei tre genietti che facevano a gara a chi stonava di più. Il Coro, formato da signore e signori dotati di voci fisse e a tratti ululanti (vedi finale atto I) faceva pensare alle allegre combriccole che si radunano a Monaco muniti di birra e salsicce. Uscendo dalla sala, piuttosto disgustato (lo ammetto), ho detto a voce alta: “Ma per una nota intonata bisognava pagare un supplemento.”? Alcune persone hanno annuito, sorridendo. Ma allora perchè li avete applauditi??? Duole dire che si trattava della prima esecuzione integrale del Flauto magico nella storia dei concerti di S. Cecilia . Ma non era meglio utilizzare la splendida compagine dell'Accademia, Coro e Orchestra, magari diretti da Pappano e con voci vere? No?!? |