A' la récherche de la Traviata perdue.... |
Giovedì 06 Dicembre 2012 22:15 |
La Traviata che ha inaugurato il Teatro di San Carlo disponeva , come un ricco piatto, di tutti gli ingredienti necessari per la riuscita della cena di gala: uno dei teatri più belli del mondo, una protagonista di sicuro affidamento Carmen Giannattasio, tra le giovani voci affermatesi oggi nel mondo, il tenore Saimir Pirgu come Alfredo, già applaudito in molte occasioni,il baritono Stoyanov, solido e valido professionista, la bacchetta di un giovane maestro molto quotato, Mariotti, la regìa di un noto cineasta molto amato in Italia, il turco Ozpetek. Purtroppo, le cose non sono andate come le premesse suggerivano. Partiamo dalla direzione d'orchestra. Sinceramente il maestro Mariotti mi è sembrato in difficoltà , soprattutto nello stabilire un rapporto equilibrato tra buca e palcoscenico : troppi sfasamenti, troppi incidenti di percorso con attacchi non pulitissimi, intonazioni periclitanti, pesantezze, passaggi che non esito a definire bandistici. Traviata , proprio per la sua impostazione molto schematica e apparentemente lineare, tutta basata sull'uso continuo del ritmo di valzer, è un'opera molto difficile da dirigere. La tentazione è quella di seguire il dettato toscaniniano, quell'incalzare inesorabile e a tratti vorticoso, quella dinamica ampia e quegli accordi secchi, taglienti, che cadono come lame di ghigliottina sul dramma di Violetta Valéry e del demi-monde parigino. Toscanini però era uno e inimitabile, si devono cercare altre strade mantenendo una propria autonomia, se si può. Mariotti, in tutta sincerità, mi è parso confuso: a volte cercava di tirare il carro ma i cantanti chiedevano invece un maggior abbandon o, alla disperata ricerca di un sostegno amorevole.
Il regista Ozpetek e Carmen Giannattasio (Violetta) Mi è parso che sia riuscita a imporre i propri tempi e i propri respiri la sola Violetta, Carmen Giannattasio, per una scelta legata alla sua sopravvivenza vocale. Il primo atto l'ha messa a durissima prova, forse l'emozione di cantare nel teatro dei suoi sogni di bambina (lei di Avellino, una carriera costruita caparbiamente su tanti errori di gioventù, tante crisi fortunatamente superate) , forse anche una vocalità ambigua, molto difficile da classificare: un fondo lirico con bruniture drammatiche nel registro grave, a tratti gutturale, scatti temperamentosi verso l'acuto e addirittura il sopracuto (peccato per il mi bemolle che è riuscito davvero male). Insomma , una Violetta che ha voluto dare molto, forse troppo fin dalle prime frasi, non possedendo ancora quella scaltrezza nel saper dosare le proprie forze e che si è man mano ritrovata in debito di ossigeno, giungendo abbastanza stremata al tremendo atto finale. La voce mi è parsa appesantita, forse stanca fin dall'inizio (prove onerose?) , comunque ben diversa dalla brillante e vincente Donna Elvira che avevo ammirato a Verona, appena cinque mesi fa. E poi, mio Dio, come si può conciare così una ragazza bella e spiritosa come la Giannattasio? Infagottata in sciammeriche orribili, a mezza via tra il copridivano e la tenda, truccata in maniera pesante, sosia di Lucia Annunziata nella scena della morte!! No, non si può. Dopo un primo atto non fluidissimo, Saimir Pirgu è andato crescendo man mano, fino a tirar fuori un buon ultimo atto, soprattutto sulle temibili frasi “No, non morrai non dirmelo” . Nella cabaletta del II atto ha addirittura infilato un do acuto, anche se non perfettamente a fuoco. Trionfatore tra i solisti è stato senz'altro il baritono Vladimir Stoyanov, che in tutta calma e con grande autorità ha risolto il personaggio di Gérmont padre, con voce molto timbrata e sicura in ogni registro. Veniamo allo spettacolo, per quanto mi riguarda molto deludente. Le 'turcherìe' evocate da Ozpetek, le atmosfere proustiane tanto vagheggiate nelle interviste , le scene 'sontuose' annunciate in pompa magna si sono risolte e direi dissolte in grandi saloni con tappeti e narghilé, quattro vetrate assolutamente prevedibili, un giardino di casa Valéry che era in realtà il cortile, una casa di Flora identica alla festa del primo atto in casa di Violetta (con il balletto ridotto a TRE zingarelle, con una coreografia anche abbastanza scalcagnata....ma dov'è la sublime tradizione del San Carlo??), un letto solitario nell'ultimo atto. La regìa statica , senza soverchie idee, stranamente molto poco cinematografica (considerando il back ground del maestro) ….sarebbe stato meglio ambientare, che so, la festa di Flora in un bagno turco, se proprio Turchia doveva essere: almeno tra vapori e maioliche, avremmo visto qualche frak in meno e qualche chiappa in più (sto ovviamente scherzando: non che se ne senta tanto la mancanza di chiappe all'Opera...non si vede altro!!!).
C.M.von Weber, Der Freischuetz, regìa Calixto Bieito Insomma , dov'era la grande novità della regìa? Dove erano le idee? Quale la sorpresa finale, anche quella annunciata in pompa magna....Nulla. Violetta muore, con la camiciona macchiata di sangue (a un passo dalla macelleria), gli altrio piangono, addirittura papà Gérmont in ginocchio davanti al suo letto. Tra l'altro, il fatto che Gérmont padre fosse stato un amante di Violetta è una vecchia storia, déja vu....lo dice Alberto Sordi nell'immortale capolavoro “Mi permette babbo”, lo ripeté come regista di Traviata anche Massimo Ranieri....già visto, già fatto....
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