SCALA 2012: un LOHENGRIN VECCHIO E POLVEROSO |
Sabato 08 Dicembre 2012 11:22 |
Non è stata una Prima memorabile, partiamo da questo semplicissimo e purtroppo malinconico dato di cronaca. 15 minuti di applausi non sono un Trionfo, per chi normalmente frequenta un Teatro d'Opera e ne conosce minimamente la storia. Trionfi sono i 30, 40 e oltre minuti di applausi, con continue ovazioni. Trionfi hanno ottenuto taluni allestimenti di Visconti, Zeffirelli, direttori come Karajan, Bernstein, cantanti come Callas, Corelli, Di Stefano e via discorrendo. Questo per la verità storica. In un 'epoca di conclamata ignoranza in materia, professata da svariati cronisti e persino da noti musicografi, è il caso di ricordarlo. Lohengrin di Wagner sbarca alla Scala di Milano dopo , quella sì, memoranda esecuzione curata da Claudio Abbado e si presenta nelle squallide vesti registiche offerte da Claus Guth, uno dei tanti esponenti del cosiddetto “Regietheater” che tanti danni sta facendo da oltre trent'anni a buona parte del grande repertorio operistico. Partiamo dunque dalla regìa ,com'è buona (o cattiva?) regola oggi. Uno dei rilievi a favore di questa operazione recita una scontata litanìa: “Finalmente una regìa non polverosa, MODERNA, e non olezzante di naftalina”. In questa frase si condensano alcuni lampanti luoghi comuni. Intanto la parola “modernità” dovrebbe rappresentare un qualcosa di nuovo, che abbia a che fare con l'anno 2012. Invece il sipario scaligero si apre su una messa in scena che di anni ne potrebbe avere almeno una cinquantina: uno spaccato di un cortile a tre piani, tra Regina Coeli e un condominio bergamasco di periferia, un pianoforte verticale collocato di lato, un tavolo, tre sedie, un trespolo ricoperto di verzura, luci di taglio, atmosfera plumbea, nel II atto un tappeto rosso srotolato da coristi in frac, un mimo dotato di ali (supponiamo si tratti del cigno), le cameriere di Mary Poppins in alto, una bambina che vaga per il palcoscenico; nel III atto la grande novità sarebbe una pozzanghera al centro del palco circondata da un sinistro canneto e il solito, immancabile cortile. Sinceramente, nel 1964 Bob Wilson faceva cose più moderne e originali (per l'epoca...poi pure Wilson ha continuato a ripetersi ), non c'era bisogno di convocare Guth per avere una messa in scena così vecchia e polverosa. I costumi confermavano questa impostazione, essendo gli stessi costumi che da almeno 30 anni vediamo indosso a chiunque interpreti (in Germania e in altri siti) opere tipo: Tannhauser, Traviata, Ballo in maschera, Otello, Aida, Lohengrin, Don Giovanni, Nabucco, Frau ohne Schatten, Salomé, Fidelio e via discorrendo. A questo punto comincio a supporre che siano gli stessi, come nelle vecchie compagnìe di giro. Ma peggio delle scene e dei costumi , se possibile, è stata la regìa.
Secondo l'illustre parere di Hugo De Ana, uno dei più grandi registi oggi in attività, “I registi tedeschi sembrano voler continuamente scontare sui loro allestimenti la tragedia del nazismo”. In effetti nella regìa di Guth è fortissima la componente del puro masochismo, poiché raramente si trova in giro un Lohengrin più brutto e più stupido, registicamente parlando. Regìa “psicoanalitica” ipotizzano taluni, regìa psicotica ...si direbbe piuttosto. Lohengrin appare in mezzo al Coro , accovacciato e tremolante, con il deretano rivolto verso il pubblico, scalzo. Sembra afflitto da autismo e da inguaribili tremori, tra l'epilessìa e il morbo di Parkinson: per gran parte della recita sarà così, eccettuato il III atto, dove -come per incanto- parrebbe guarito. Elsa è come minimo autistica ma recita la sua parte come “la scema del villaggio”: occhi strabuzzati, strane espressioni,una continua "grattarola" (scabbia? allergìe? pulci?) smorfie,svenimenti. Una pena, povera ragazza. Ortrud è il clone di Frau Blucher, carattere immortale di quel capolavoro che fu “Frankenstein Junior” di Mel Brooks, e ci sta: tant'è che la Herlitzius, piccola ma focosa interprete, è stata di gran lunga la migliore in campo.
Il basso René Pape autorevole ma in dificoltà sugli unici due acuti della parte, un generalone prussiano in divisa, Telramund un poveraccio , interpretato miseramente da un baritono facile alla stecca, di nome Tomasson. A fronte di un simile allestimento, di quelli fatti in fotocopia tra Salisburgo, Monaco, Berlino e tutta l'area controllata da Frau Merkel, diciamo un Lohengrin da Eurozona, come si può parlare di epica romantica, di luce, come magnificamente scrisse Baudelaire nel 1860 dopo aver ascoltato il Lohengrin a Parigi: « Mi sentii liberato dai legami di pesantezza e ritrovai la straordinaria voluttà che circola nei luoghi alti. Dipinsi a me stesso lo stato di un uomo in preda ad un sogno in una solitudine assoluta, con un immenso orizzonte e una larga luce diffusa. Un’immensità con il solo sfondo di se stessa. Allora concepii l’idea di un’anima mossa in un ambiente luminoso, ondeggiante al di sopra e molto lontano dal mondo naturale .” Con Guth abbiamo invece un Lohengrin buio, spento, immerso totalmente nelle psicosi e nelle stressanti disavventure mentali d'un regista cervellotico. Veniamo al protagonista : Jonas Kaufmann. Un grande attore, doppiamente grande perchè capace di credere fino in fondo a questa regìa stupida e inutile. Dal suo apparire, rannicchiato, alla sparizione, una presenza carismatica,fragile, intensa. Promosso a pieni voti. Vocalmente siamo un pò al di sotto . Kaufmann sarebbe un tenore lirico se non gonfiasse la voce per sembrare il tenore eroico che Natura non gli concede di essere. Non ne possiede lo squillo, non ne possiede la gamma , la volumetrìa né la stazza. Inoltre, adotta qualche trucco per superare gli scogli più perigliosi (il la naturale di “Ein Ritter ich” nel Racconto , costretto a diventare “Ein Retter” ...da cavaliere diventando dunque un salvatore !?). Tuttavia al pubblico piace: in fondo, se il 7 dicembre questo simpatico giovanotto è lì sopra e svolge onorevolmente la sua parte, un motivo ci sarà. Fortunatamente il pubblico non è composto da maestri di canto e al naso arricciato di questi, corrisponde poi il plauso incondizionato della moltitudine. Elsa , dopo due defezioni (che immagino siano dovute a raffreddori, vista la presenza della piscina in cui si sguazza da giorni e giorni), è stata il soprano Annette Dasch, convocata nottetempo. L'avevo già ascoltata nella stessa parte a Bayreuth, ed era peggio. Alla Scala la sua prestazione è andata crescendo, fino a un buon III atto. La voce è delicata, fragilina, non particolarmente attraente, spesso poco intonata (pessima l'aria del II atto, davvero troppe erano le note fuori armonia) però ha svolto molto bene la parte della ragazza “disturbata” , e formava con Kaufmann una copia tenera e patetica al tempo stesso, di quelle che il terrificante “sociale” (Dio ce ne scampi e liberi) propone in ogni dove, in Tv , al cinema, all'opera. Non mi interessa di vedere, Herr Guth, una coppietta che potrebbe benissimo far piangere la Barbara D'Urso o la Venier su un palcoscenico , per quello basta la Tv del Dolore. Un velo pietosissimo si stenda sull'orrido baritono Tomasson e sulle sue stecche inconcepibili, dovute a un malcanto continuo. Voglio invece lodare nuovamente la magnifica Herlitzius come Ortruda, straordinaria nella tenuta generale e nell'espressione violenta, e René Pape, nonostante le difficoltà nel registro acuto. Il maestro Barenboim ha diretto il Lohengrin come se pensasse ad altre 10 opere diverse, limitandosi o cercando di far quadrare i conti che, però, spesso non quadravano. Il I atto , fin dal terribile attacco, è stato un continuo arrancare disordinato, con improvvise soste ritmiche, singolari stand-by sonori vicini al silenzio, scatti improvvisi e ingiustificati, l'assenza preoccupante d'una visione d'assieme, d'una vera idea interpretativa. Chacun pour soi et Dieu pour tous. Condizionato dalla regìa? Ancora scioccato dai fischi del Galà-Bartoli? Non so. Sta di fatto che il suo Lohengrin non mi ha convinto per nulla, eccezion fatta per la scena del matrimonio e per il III atto, dove a tratti, nei momenti più lirici, emergeva il piglio del grande concertatore. Le sorti della concertazione hanno condizionato la resa alterna dell'orchestra Filarmonica della Scala che resta tuttavia la miglior compagine d'Opera italiana e forse mondiale. Non straordinaria la prova del Coro. Al termine dello spettacolo, durante gli applausi finali, Barenboim ha deciso di eseguire l'inno italiano ASSENTE il Presidente della Repubblica, impegnato nelle consultazioni politiche. Una assurdità, che non sta in piedi e che ha trasformato la serata in qualcosa che somigliava moltissimo a una sagra paesana. Si consideri che , davanti alle telecamere di Rai5, abbiamo visto il povero Kaufmann "mimare" volenterosamente il testo (giustamente, non è tenuto a conoscerlo) e la Dasch, ancor più razionalmente..tacere sorridendo. Pare che l'inno sia stato preteso dal Ministro Passera...un ministro che ci si augura torni a occuparsi di banche ,come del resto non ha mai smesso di fare. Ricordiamo a tecnici , veri o presunti, che nelle "Disposizioni generali in materia di cerimoniale" all'art. 34
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