Le copertine di dischi sono il biglietto da
visita di ogni incisione e il primo, grande richiamo per ogni acquirente
che si rispetti.
Dopo una prima fase (1910-1940) , dominata dall’austera semplicità dei
padelloni a 78 giri, talvolta contenuti in libri mastri di cuoio pesante,
con borchie in acciaio e caratteri a rilievo in oro zecchino (un’Aida
integrale poteva pesare anche una ventina di chili!), non tardò a
giungere l’Era dei Faccioni, le allegre e tonde sagome degli interpreti,
ormai divi a tutti gli effetti di un mercato che vedeva esplodere la
propria crescita, soprattutto nell’immediato dopoguerra. Ecco
campeggiare sulle copertine dei 33 e 45 giri i volti porcellanati di Gigli,
di Gino Bechi, della Stignani, poi della prima Callas, di Di Stefano, di Tagliavini.
I cofanetti delle opere (ormai sono solo 2 o 3 dischi a cofanetto) sono
decorati in modo spartano, con scene vuote, bozzetti, foto a colori di
una cavea teatrale (può essere la Scala ma anche l’Opera di Roma, o il
San Carlo). Più ricchi i libretti contenuti all’interno, con foto originali
riprese durante l’incisione (soprattutto nei vecchi dischi Decca).
E’ dal 1970 in poi, con il progressivo affermarsi del mezzo televisivo e
dei rotocalchi, che le copertine dei dischi d’opera vanno via via
personalizzandosi, in una sorta di Carnevale che in varie occasioni
supera di gran lunga le barriere del ridicolo: il soprano Joan
Sutherland, ora circondata da corone di fiori piuttosto macabre ora
sormontata da strane aureole , con il grande mento in trionfo, talvolta
“limato” da improvvidi fotografi o scontornato in paurosi collages.
Ecco la testona di Birgit Nilsson, ghignante in Salomé, giustapposta a
un terribile abituccio western stile Laureen Bacall nella Fanciulla del
West; ecco la Tebaldi versione Viados in Gioconda, in Fanciulla,in Aida,
in Bohème,Suor Angelica.
Ecco l’Aida della EMI con un giovane, obeso Domingo e una Leontyne
Price col capoccione crespo, ammantata di veli leggeri, come una
strana libellula. Le copertine, soprattutto quando ripropongono i grandi
artisti col trucco operistico (che è notoriamente un trucco “pesante” ,
poiché deve reggere ore di sudate e di luci, e deve essere visto da
lontano) , rischiano la gaffe a ogni pié sospinto: l’idolo delle donne, il
supermacho Corelli, come Chénier e Werther (ma anche come Ernani,
Don Alvaro, persino come Manrico nel Trovatore della Emi) , sembra
inequivocabilmente una donna.
Il grosso problema è che le primedonne non sono top model e i tenori
non sono modelli da defilé : sono, per l’appunto, cantanti, o direttori
d’orchestra, quindi hanno tutto il diritto di non doversi sottoporre a
diete estreme o a traumatiche liposuzioni.
Jessye Norman e Monsterrat Caballé, pur celate da tuniche
sovrabbondanti e abili giochi di luci e ombre, trionfano fiere delle loro
rotondità sulle rispettive copertine , e così Pavarotti,che preferisce
puntare sul sorriso bonario e abbacinante, come un grande disco solare
che invìa a tutti i suoi raggi benefici. Il filone “ieratico” propone le
immagini papali di Carlo Maria Giulini, Abbado, Boehm, fino a toccare il
vertice con l’aerodinamica silhouette di Herbert von Karajan. Con
Ozawa, James Levine e Simon Ratte siamo a un passo dal Maestro Yoda di Guerre Stellari e da Maga Magò,
Non mancano le sorprese: Carreras versione Bin Laden ne "La Juive"
di Halévy ,
Carreras versione Monna Lisa nel Samson et Dalilah
Il contratto “mostre” con Cheryl Studer obbliga la Deutsche
Grammophon a ritrarla in tutte le fogge possibili, smontando un’intera
costumerìa , ma ottenendo il triste risultato di vederla sempre
effigiata con la stessa espressione persa nel vuoto; in Semiramide
come nella Lucia o nel Ratto dal serraglio, la Studer propone sempre il
medesimo sguardo enigmatico, a metà strada tra l’Estasi di S. Teresa
del Bernini e il sorriso di Angela Merkel.
La stessa Edita Gruberova, presente sia nel catalogo Emi sia nella
propria casa discografica, Nightingale, non riesce mai a dimettere gli
abitucci da bambola assassina, che la allontanano dalle varie Amine,
Elvire, Lucie e Anne Bolene per avvicinarla pericolosamente alla Baby
Jane di Bette Davis.
Gli anni Novanta aprono le porte al porno: l’Opera, come sempre in
ritardo su tutto, scopre gambe, seni e persino toraci maschili villosi o
depilati alla bisogna. Fa sensazione il Cura lacero contuso nel Samson
et Dalilah della Erato, di cui si intravedono i ben noti pettorali; ma
scatena reazioni ormonali ben più consistenti la copertina di Roberto Alagna
quale simil bronzo di Riace, mentre la moglie Angela Gheorghiu si limita
a pose più stilizzate, nel disperato tentativo di imitare la Callas degli
anni ruggenti. Molte case discografiche, non potendo puntare su
celluliti e pinguedini improponibili, cambiano il look alle copertine,
inserendo modelle e modelli colti in varie pose. Esce un’Aida con due
magnifici corpi nudi avvinghiati tra loro: sarebbero Radames e la
schiava etiope? La cosa non ha successo.La linea “nude look” fa
retromarcia e quindi si torna a temi più innocui: nature morte, laghi,
onde marine, tramonti. Anche il tentativo di mescolare il pop con
l’Opera non ha grandi riscontri: la Bartoli
esordisce con giacca nera di cuoio e borchie, ma raggiunto un peso forma
decisamente operistico, deve rinunciare iniziando a indossare i terribili
lampadari Ikea o le gigantesche “teiere”; Sumi Jo fa un tentativo
simile, ma con scarsissimi esiti; Bocelli vi riesce meglio, ma è sempre
Bocelli travestito da Manrico, da Rodolfo, da Werther. L’astro di
Charlotte Church, proposta come Lolita dalla voce d’angelo, tramonta
non appena la bionda fanciullina supera l’età dei giochi e dei
confetti.Siamo ai ruggenti anni Duemila, diremmo gli anni della
creatività. Le copertine liriche, per lo più influenzate dal Tyra Banks
Show, puntano sull'ambiguità e sullo spettacolo, talvolta kitsch,
offerto dalle mises : così la Netrebko e la Garança fanno pensare a
una magnifica coppia lesbo nel loro album di duetti,
così la stessa Netrebko appare ora "femme fatale" con Abbado nel
disco Deutsche Grammophon, ora spettrale Mimì assieme a Mr.Bean -Villazon. La Bartoli, dopo gli
esordi "bluson noir", via via va stilizzandosi, un cammeo trasognato in
'Sonnambula', in 'Maria' , l'album dedicato alla Malibran, finalmente si
tramuta in statua di sale nell'ultimo, terribile "Sacrificium" , che fa
tanto pensare ai tagli ministeriali del Fus.
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