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A CATANIA FINALMENTE UN GRANDE OMAGGIO A BELLINI: PIRATA!
Giovedì 17 Settembre 2020 07:31

 

BELLINI FINALMENTE RINGRAZIA: A CATANIA IL PRIMO PIRATA INTEGRALE.


Intervista con il Maestro Fabrizio Maria Carminati.

 

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Buone notizie da Catania: terminata la registrazione del primo Pirata di Bellini, in versione integrale, con i complessi del Teatro Massimo Bellini diretti dal maestro Fabrizio Maria Carminati, neo direttore artistico e instancabile mentore di molte iniziative volte al rilancio del Teatro.

 

Maestro Carminati, mesi di duro lavoro ma iniziano a vedersi risultati quasi impensabili non più di un paio d’anni fa?

 

  • L’ Orchestra e  il coro non ricordano un periodo così intenso, in doppia produzione…nel momento peggiore è arrivata la stagione migliore. In effetti è stata una estate davvero ricca di avvenimenti importanti , culminata con la registrazione del Pirata di Bellini in versione integrale anzi , integralissima, visto che abbiamo inserito il finalino che non viene mai eseguito. Tre voci eccezionali per i protagonisti: il soprano Marina Rebeka, il tenore Javier Camarena e il baritono Franco Vassallo, che canteranno questa stessa opera al Metropolitan di New York, sono molto felice per il risultato e i complessi del Teatro Massimo Bellini sono molto orgogliosi di questa opportunità.

 

        rebeka

       Marina Rebeka

 

 

Il Pirata è un’opera di straordinaria fattura e di pari difficoltà esecutiva.Non è affatto un caso che non esista una precedente edizione completa , ma tutte registrazioni tagliate. La Callas fu una famosa interprete, poi la Caballé, la Millo, la Fleming, ma per i tenori …sempre un grosso problema, la parte è davvero impervia.

 

  • Un vero scoglio, direi insormontabile dal vivo. Confesso che non saprei come riuscire a proporre l’edizione integrale dal vivo.Può essere realizzata solo in disco, e anche in quel caso è un’impresa. Bellini profuse in quest’opera tutta la sua scienza belcantistica e una forza che non hanno pari.

 

Ricordiamo che il Pirata debuttò alla Scala nel 1827 con un successo enorme. Il primo tenore a cimentarsi nel ruolo di Gualtiero , capo dei pirati, fu il leggendario Rubini, il più esteso e pirotecnico tenore che la Storia ricordi. Per lui Bellini appose in partitura i famosi fa sopracuti e secondo le cronache pare che in Sonnambula giunse a eseguire dal vivo un sol sopracuto in cadenza!

 

  • Sì, all’epoca erano suoni in falsettone rinforzato. Oggi i tenori hanno una doppia difficoltà perché la tecnica di emissione è differente e questi sopracuti sono per di più suoni misti, molto più appoggiati.Camarena è stato eccezionale.

 

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      Javier Camarena

 

 

Possiamo quindi affermare che finalmente Bellini viene omaggiato a Catania come merita, una cosa che gli appassionati attendevano da anni.

 

  • E’ la prima tappa fondamentale del progetto che ho più a cuore, intitolato Bellini Rénaissance. Per noi è un vero e proprio Anno Zero, l’inizio di un nuovo percorso. Abbiamo stipulato un contratto con una casa discografica americana, la Prima Classic di New York, per  produrre i capolavori di Bellini in versione integrale e con i migliori interpreti di questo repertorio.

 

Cadenze, variazioni o tutto com’è scritto?

 

-No no, era prassi consolidata inserire puntature e variazioni all’interno della partitura ,

confacenti alle caratteristiche migliori degli interpreti. Come sai , ne abbiamo già parlato, io

non amo ingabbiare gli interpreti ma lasciarli liberi di variare con gusto e aggiungere acuti

alla bisogna. Sono particolarmente felice della collaborazione con una grande come la

Rebeka, voce straordinaria, con la quale abbiamo eseguito una splendida Norma a Trieste,

in occasione del suo debutto in questo ruolo.

 

Sì, la Rebeka fu davvero magnifica. Una voce solida, omogenea, dolce all’occorrenza ma anche estesa e poi una bellissima donna, cosa che non guasta mai…

 

-Confermo. Con Lei la prossima tappa discografica potrebbe proprio essere Norma.

 

Insomma, Viva Bellini!

 Maestro, vorrei tornare su un concetto che in questi giorni sta interessando moltissimo il pubblico degli appassionati d’Opera , frastornato da questo periodo così penalizzante per i Teatri da una comunicazione che sembra rivolgersi , istericamente, ai soliti “nomi” . Ma questi benedetti “nomi” contano o no? Si può fare Opera anche in altro modo, magari valorizzando le nuove leve?

 

  • Su questa faccenda ho idee molto precise. Un grande nome è tale perché ha creato la sua fortuna su un repertorio che lo ha reso grande. La Norma della Callas, l’Otello di Del Monaco, la Tosca di Di Stefano, la Turandot di Corelli…affermandosi sul proprio repertorio di riferimento hanno polverizzato tutti. Oggi non è più così. Gli interpreti hanno più esperienze contemporaneamente, hanno generalmente un repertorio più vasto ed eterogeneo soprattutto e il “nome” in quanto tale viene costruito dalla comunicazione oltre che dalla bravura effettiva.

 

Questo è un punto importante. Molti nomi eccellenti sono tali perché costruiti . La comunicazione (che poi è un servizio pagato quindi non basato sull’effettiva bravura dell’interprete ma sulla diffusione del suo nome a destra e a manca, quindi a  prescindere da meriti reali o solo in parte basata su questi) crea una confusione e un panorama non vero, artefatto. Ci sono cantanti “senza nome” di bravura superiore, sta ai direttori artistici trovarli!

 

  • Ritorno al concetto determinante del repertorio e faccio l’esempio di Alfredo Kraus , un Artista che ho stimato molto e che considero immenso. Kraus , per tutta la sua lunga carriera, non si è mai mosso dal suo repertorio e grazie a questo la sua vocalità è rimasta integra.  Oggi è molto difficile che ciò avvenga, i nuovi interpreti accettano ogni cosa, di tutto e di più, anche opere del tutto estranee alle loro possibilità. Ma non è loro esclusiva colpa ma del sistema. E’ il “sistema” che porta a questo e non solo nell’Opera. Oggi si procede a onde, si seguono le mode: vi sono interessi di ogni tipo, danaro, potere. Tutto ruota attorno al concetto di “evento” . Si pretende un evento sempre più interessante, in competizione l’uno con l’altro ma sempre a livello di comunicazione. I grandi nomi entrano nel giro e accettano questo stato di cose ma a lungo andare , questi continui cambi di repertorio li fiaccano e tutto si riduce a costruire l’evento e basta.

 

Una situazione che va assolutamente cambiata. Ma come?

 

-Intanto in Italia noi abbiamo 5 autori grandiosi che dovrebbero essere valorizzati al grado

massimo: Rossini, Bellini, Donizetti, Verdi e Puccini. Dovrebbero essere considerati come

isole a sé stanti , sovvenzionate dallo Stato. A ognuno un polo d’attrazione ma di livello

mondiale. Pesaro per Rossini, Parma per Verdi,  Catania per Bellini, Bergamo per 

Donizetti, Torre del lago per Puccini.

 

Ma queste realtà già esistono...

 

  • Sì ma lo Stato dovrebbe foraggiarle assai più, creare dei veri centri a livello mondiale, come si fa per altri grandi della Scultura, della Pittura, della Letteratura. Queste realtà non ce la fanno con i miseri contributi statali, dovrebbero assurgere a punti di riferimento mondiali.Se un turista si muove per andare a Torre del lago, questa realtà dovrebbe diventare IL PRIMO Festival di Puccini nel mondo, con una qualità elevatissima. A Catania ho avviato la Bellini Rénaissance proprio per arrivare a questo risultato e con il Pirata abbiamo iniziato benissimo.

 

Ricordiamo il cast completo del Pirata appena inciso per la Prima Classic :

 

Javier Camarena (Gualtiero), Marina Rebeka (Imogene), Franco Vassallo (Ernesto),

Antonio Di Matteo (Solitario), Sonia Fortunato (Adele), e  Gustavo De Gennaro (Itulbo),

  con Orchestra e Coro del Teatro Massimo Bellini.

 
BRAVO NON VUOL DIRE FAMOSO e VICEVERSA
Venerdì 28 Agosto 2020 14:55

 

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Con il maestro Nicola Colabianchi, neo sovrintendente del Teatro Lirico di Cagliari, avevamo parlato tempo fa di alcuni argomenti inerenti l’organizzazione teatrale e le nuove esigenze del pubblico. Tra i temi uno è risultato particolarmente interessante : l’inutilità del grande nome. Ci sono state molte segnalazioni e condivisioni da parte del pubblico, molti “finalmente! Era ora!” Che meritano quindi un approfondimento.

Torniamo sulla questione.

 

Insomma, che fine ha fatto l’idea del “nome” che garantisce l’eccellenza di uno spettacolo?

 

"Assolutamente irrilevante . Bisogna distinguere bene un concetto: uno è bravo perché è bravo, non è bravo perché famoso. E uno famoso non è per forza bravo, più facile il contrario. Se facciamo attenzione l’eccellenza si rende effettiva soltanto con la verifica del palcoscenico, non con l’abilità della comunicazione (per quanto si impegni a spingere un nome rispetto ad altri)."

 

Il pubblico se ne accorge?

 

"Certamente. Callas, Di Stefano, Tebaldi, Del Monaco, Corelli…ma vogliamo fare i confronti con i nomi di oggi? Questi ultimi fanno una ben magra figura. Ci sono tenori di oggi che non valgono un’unghia di Corelli, dobbiamo essere sinceri ed evitare false ipocrisie. Ci sono le società di comunicazione che muovono le loro pedine e si naviga nell’equivoco del nome. Nome che non vuol dire nulla."

 

C’è molta confusione, anche a leggere i commenti sui social networks.

 

"Il filosofo-cantautore  Lorenzo Cherubini, in arte  Jovanotti dice che oggi non ci sono più regole ma solo eccezioni. Ecco. Non esiste più oggettività, si è perso il senso della realtà. Cito a memoria alcuni dati SIAE (la società italiana autori editori) riferiti alla fine anni 50 che parlavano di circa 300.000 spettatori per i teatri d’Opera, con una media di 7 spettacoli visti da ognuno nel corso di un anno. Fine anni 90 gli spettatori erano 2 milioni ma di spettacoli ne vedevano uno all’anno!  E’ diminuita drasticamente la competenza, abbiamo più spettatori ma più ignoranti."

 

Un processo irreversibile?

 

"Lo spettacolo d’opera vuole anzi pretende certe conoscenze ,bisogna saper distinguere i tenori dai baritoni, non è come il cinema dove ti siedi e assisti al film anche senza preparazione. Per l’Opera devi conoscere il libretto, informarti. Lo spettatore d’opera oggi è  molto superficiale, tutto è banalizzato, appiattito.

L’Opera  resta uno spettacolo che vuole una selezione, un determinato livello. Lo spettatore medio non capisce , non è in grado di valutare il grado di competenza necessaria. E’ pur vero che l’Arte  è immediata e può essere compresa a tanti livelli ma un minimo deve esserci."

 

Quindi i nomi dei divi odierni sono una abile costruzione mediatica?

 

"I nomi di oggi son tutti così, pompati, caricati. Ma pensiamo a cento anni fa: come mai c’erano i grandi tutti insieme, una sfilza di nomi davvero leggendari. Un paesino come Montagnana generava  Pertile e Martinelli, che hanno fatto la Storia della vocalità. C’erano voci che da paura,l’elenco è infinito…"


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              Da sinistra Giovanni Martinelli, Toti Dal Monte, Aureliano Pertile.


 

Gigli, Lauri Volpi, Granforte, De Luca, Galeffi, Pinza, la Ponselle…

 "Oggi non c’è un solo nome che possa stare all’altezza di costoro, tutto è livellato in basso. Dov’è un vero divo? Sì, giusto la Netrebko, una bellissima voce, e poi?

L’Opera era LO SPETTACOLO. Oggi c’è Sky, Netflix, Internet, YouTube…proposte che hanno tolto centralità all’Opera e anche hanno ridotto la sua funzione sociale. Andare a Teatro oggi è quasi un sacrificio: trova il parcheggio, affronta il traffico, il costo del biglietto…e ti chiedi ‘ Ma che ci vado a fare?’ . Quando puoi vederti qualsiasi tipo di spettacolo seduto comodo sul tuo divano. I divi dell’Opera, VERI, sono spariti per questo.Non è più uno spettacolo per spettatori abituali ma tutt’al più casuali."

 

Esiste un rimedio a tutto ciò? Come tornare ai fasti di un tempo?

 "No, indietro non si torna mai. Si possono offrire proposte diverse, incrementare la qualità ma non con i nomi, di questo possiamo starne certi. Ma poi chi sono? Quali sono questi nomi? Si è un nome se si è passati un paio di volte in Tv?  Chi canta con dizione perfetta?  La dizione è un parametro che non esiste più. Parlavamo della Netrebko, la voce è bella certo ma la tecnica non è esattamente ideale per ogni titolo. Cantare Turandot senza perdere la voce non significa cantarla bene o con dizione corretta . Io ricordo la Nilsson, la Rysanek…quelle sì che erano favolose."

 

Eppure le voci non mancano, basta saperle cercare.

 "Certo che ci sono, tantissime. Le belle voci limpide, morbide , naturali . Ars est celare arte, dicevano gli antichi: l’Arte consiste nel nascondere l’Arte. Io dico sempre: “Sarai pure famosissimo ma io non ti scritturo!”.

 

Tempo fa ti eri interessato all’annosa questione delle agenzie, cercando una soluzione che mettesse a posto le problematiche ben note.

 "Sì, è vero, mi ero interessato soprattutto al  problema giuridico su rappresentanza e mediazione, mai del tutto risolto.Del resto le agenzie  fanno il loro mestiere, non vanno criminalizzate. Diciamo che trovano facile penetrazione dove non c’è competenza . Bisogna premiare i capaci e i meritevoli, quelli bravi non quelli famosi. In chiusura fai ascoltare la Scacciati in Turandot ! "

 

               

 
ATTENZIONE AL REPERTORIO!
Giovedì 27 Agosto 2020 10:05

 

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Uno dei principali problemi per un cantante, non solo alle prime armi, che voglia iniziare una carriera (o persino uno studio serio) è l’individuazione del suo REPERTORIO. Sembra l’uovo di Colombo ma non deve stupire il fatto che moltissimi cantanti lirici di tutte le età abbiano delle enormi difficoltà nell’individuare il PROPRIO repertorio e quindi indirizzare lo studio verso una giusta collocazione musicale.

Intanto sfatiamo qualche mito e qualche inutile leggenda :

  1. 1. Le voci DRAMMATICHE , VERE, AUTENTICHE, si contano sulle dita di una mano. Quando vedo qualcuno presentarsi come soprano drammatico o tenore drammatico…già inizio a vacillare. In tutto un secolo, parliamo del Novecento, mi sento di poter attribuire il titolo di tenore drammatico ai soli: Lauritz Melchior e Jon Vickers  per quanto riguarda il repertorio wagneriano, Mario Del Monaco per quanto riguarda Verdi e Puccini. STOP. Non me la sento di ascrivere altri, nonostante molti importanti nomi. Per quanto riguarda i soprani certamente Kirsten Flagstad, Astrid Varnay, Birgit Nilsson e forse includerei Ghena Dimitrova. FINE.

                melchior


  1. 2. Non si deve confondere l’accento con la grana della voce. Bergonzi, Lauri Volpi, Pertile, la Ponselle, la Callas , Corelli, arrivando all’attuale Kaufmann, Netrebko, hanno sicuramente saputo “accentare” in maniera drammatica i loro ruoli, dando credibilità ai personaggi…ma è  questione di fraseggio non di VOCE. Non sono voci drammatiche .


3. Una voce “drammatica” ha prima di tutto un peso specifico importantissimo : volume,

spessore, armonici, omogeneità in due ottave piene, la cosiddetta “colonna di fiato” che si

apprezza sia nelle note gravi che sugli acuti. Tra i baritoni abbiamo molte voci drammatiche

importanti: da Granforte a De Falchi,G. Guelfi, Carroli, McNeil, voci con una precisa

caratura, un peso specifico particolare, fuori dal consueto.

Attenzione: la voce drammatica non lo è per virtù di spinta o di forzatura. L’esatto contrario.

Più si spinge e più una voce va indietro: una vera voce drammatica vede fluire un fiume in

maniera naturale, morbida e possiede spesso meravigliose mezzevoci se sa modulare e ha

studiato in tal senso.


                  gigli

                   Beniamino Gigli


 

  1. 4. Il repertorio giusto non si inventa ma si deve individuare con molta intelligenza. Non è affatto vero che una voce inizialmente lirica via via, col passare degli anni, diventa drammatica. E’ una sciocchezza colossale. Ogni voce ha il proprio destino vocale. Pavarotti, per parlare di una delle più straordinarie vocalità liriche mai esistite, cominciò con Rigoletto, Puritani, Favorita e finì con Aida, Andrea Chénier e persino Otello ma in virtù della sua TECNICA. I migliori risultati sono senz’altro in Elisir, Rigoletto, Traviata, Bohème, Ballo in maschera …cioè nel repertorio lirico, lì è il PRIMO.                                                      

  2. 5. Oggi assistiamo al fenomeno della confusione generalizzata: soprani leggeri alle prese con ruoli drammatici, tenori tutt’al più lirici che sognano di cantare Pagliacci e Otello. Kurosawa disse che l’uomo diventa un genio quando sta sognando, ecco sì…non bisogna confondere i sogni con la realtà. E non bisogna confondere l’accento, il fraseggio anche appassionato e focoso , con il peso specifico, la caratura del proprio strumento.
  3. Ci sono delle eccezioni, quindi interpreti eccezionali che possono derogare. Uno di questi fu Caruso, un altro Gigli, quello che io chiamo “il Re dei Tenori”. Gigli cantava Elisir d’amore e Pagliacci al tempo stesso, ed era assolutamente credibile in entrambi i ruoli, pur avendo di base una voce lirica, chiara ma sapeva modularla, e in virtù d’un canto “sul fiato” come pochi, poté rendere credibili le larghe frasi drammatiche che il repertorio verista richiede.       

  4. 6. Non basatevi MAI sui cantanti eccezionali, sui fenomeni. Ha fatto più danni (involontariamente) la Callas che un plotone di maestri di Canto squinternati. La Callas , come mi disse Di Stefano (lasciandomi di stucco) , fu un soprano “di coloratura “ in realtà, ma seppe modulare la voce come nessun’altra e utilizzare gli accenti drammatici in maniera perfetta. Con quelli ingannò tutti e poté cantare Norma, Puritani e al tempo stesso Parsifal, Walchiria, Tosca.

              Callas_severa      Maria Callas


  1. 7. Come si individua il proprio repertorio? Intanto facendosi ascoltare da chi ha competenza in materia e buone orecchie: il Vostro orecchio interno potrebbe portarvi fuori pista. Chi sente una voce grande “dentro di sé” è facilissimo che abbia una voce piccola fuori, per gli altri. Dopodiché se un’aria pesa, se un ruolo affatica…è persino lapalissiano che sia un ruolo poco adatto al proprio repertorio. Ma attenzione: ci sono ruoli che sembrano facili solo perché sono brevi, vedi Turandot. Vedo un pò troppe Turandot leggere, camuffate da drammatici. E troppi Otelli “di giornata” .

                    Mario-Del-Monaco-Otello-1957

 
CANTARE INTONATI :IL MINIMO.
Giovedì 20 Agosto 2020 10:19

                                           stonata-vietato-cantare

 

Sembra incredibile ma uno dei fattori base del Canto, imprescindibile, è anche uno dei più trascurati: l’INTONAZIONE. Ogni giorno vediamo pubblicare su Instagram o su Facebook un quantitativo scandaloso di brani platealmente stonati. Si osservano i volti compiaciuti e compresi , fieri della propria “stonazione” , quasi avessero raggiunto nuovi traguardi. Al che vien da porsi più di qualche domanda: sono stonati o sordi?

L’intonazione alla fin fine è un effetto percettivo legato al variare dell’altezza del suono e , a meno che uno non abbia dei clamorosi problemi di udito, non dovrebbe precipitare nel baratro della stonazione o stonatura. Eppure…il fenomeno è diventato drammaticamente frequente e i social lo accentuano in maniera impietosa.

Intonare un suono vuol dire CENTRARLO non andarci vicino. Immaginate i vecchi tiri a segno , quelli con le freccette da lanciare contro un cerchio in polistirolo graduato: al centro 100 punti, poi via via sempre meno fino a 0 punti quando si esce dai cerchi concentrici. Cantare bene vuole dire centrare SEMPRE il centro della nota e ho constatato che chi stona è generalmente qualcuno che non ha collocato la voce nella giusta posizione: in pratica, se non “centri” il focus vocale , non centri nemmeno l’intonazione.

Ci sono cantanti famosissimi eppure abbastanza stonati. Per non impermalosire nessuno ne ricorderò uno ormai defunto, il baritono Kostas Paskalis , che fece una eccezionale carriera nei massimi teatri del mondo. La voce era grande e di bellissima qualità, aveva un fraseggio classico, nobile e la sua specialità erano le mezzevoci , che elargiva con generosità nei grandi ruoli verdiani , da Rigoletto a Macbeth, Don Carlos de Vargas ne La forza del destino e così via. Stonava a più non posso , quando meno te l’aspettavi: nel “Veglia o donna” diretto da Giulini all’Opera di Roma o in altri punti del Rigoletto era capace di permanere quel quarto di tono sotto, sufficiente a produrre un effetto davvero fastidioso (almeno per le mie orecchie). La tecnica di Paskalis era sicuramente ottima ma si vede che la posizione del suono, in fase di studio, non fu perfettamente  centrata e il baritono non se ne avvedeva. Intendiamoci: non tutti riescono a rilevare una “calata” di un quarto di tono o ancora meno, però non si può contare sempre sui limiti uditivi altrui per imporre i propri limiti vocali. Almeno NON a quei livelli.

La cattiva intonazione è come uscire da un binario. Ci sono molti che proseguono imperterriti, dall’inizio alla fine dell’aria. Ricordo una registrazione terrificante di Ljuba Welitsch nel Ballo in maschera (“Morrò ma prima in grazia”) dove la lotta con il violoncello solista è imbarazzante o il baritono Scandola (altra voce imponente) che nel “Corsaro” di Verdi non ne volle sapere di imbroccare le note esatte.

A fronte di un deciso miglioramento del fattore intonazione nei cantanti professionisti , ai giorni d’oggi, c’è un peggioramento nel pubblico, molto meno allenato a giudicare note stonate da note esatte. Passano cose da non credere e persino tra applausi : una recente Aida eseguita in Sicilia ha dell’incredibile sotto questo profilo, tanto da far pensare a una scelta precisa, quasi a un marchio di fabbrica. Ricordo la battuta di uno spettatore all’Opera di Stato di Vienna , seduto in platea , che reagì con questa frase ai numerosi fischi provenienti dai loggionisti dei posti in piedi: “Ho pagato 500 scellini per questo posto, non voglio ascoltare i vostri fischi!!” . La cantante fischiata era il famoso soprano Molnar -Talajich , altra voce enorme ma incline alla stonazione (per di più con oscillazioni di almeno una terza abbondante, effetto ondaflex). La frase dello spettatore in platea fa capire che quando paghi un biglietto salato NON tolleri che le cose possano andare male e sei persino disposto a digerire qualsiasi cosa. In sostanza non vuoi sputarti in faccia. Ma l’intonazione è un fattore fisso, quella è e quella dovrebbe restare.

 

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