I fiumi di melassa e di retorica che di solito accompagnano le Prime alla
Scala sono soltanto parzialmente smussate, ma restano -purtroppo- nella
retorica del piagnisteo e del “ce la faremo” . Troppa politica e troppo
“politicamente corretto” nel lunghissimo spettacolo messo in piedi per un
Sant’Ambrogio che, per usare la felice sintesi del Maestro Chailly detta oggi
in Barcaccia: “deve restare unico e irripetibile”. Speriamo sia davvero così.
Al mio amico Davide Livermore, che ho apprezzato in altre occasioni e
parecchio, devo stavolta rimproverare alcune cose che in tutta sincerità mi
sono parse eccessive. Intanto la connotazione “politica” data a ogni pie’
sospinto: la politica dovrebbe restar fuori da operazioni di questo tipo, rivolte
a un pubblico smanioso solo di godere di buona musica e di un bello
spettacolo.Invece no: il Credo di Jago commentato dal rogo della Casa
Bianca , cosa significava? The day after? La presa in giro delle recenti
elezioni? Un attacco jihadista? Forse non ho capito io il messaggio ma
questo faceva tragico pendant con la donna di servizio inquadrata in apertura
, scopa in mano, con il semi-comizio di alcuni attori, con le proiezioni durante
il “Nemico della patria” di alcune immagini-icona tipo Gandhi, Mandela,
Falcone & Borsellino,Papa Giovanni , con le parole dello stesso Livermore
che a quasi fine serata è comparso in scena per spiegare che questo evento
poteva ricoprire la stessa importanza della storica riapertura della Scala del
1946: decisamente troppo e il troppo, come dice il proverbio, stroppia. La
Seconda Guerra mondiale è uno dei peggiori disastri mai subiti dall’Umanità
e , con tutto il rispetto per Sua Maestà il Covid (che molti venerano…IO NO) ,
qui siamo a un capitolo e a un livello totalmente diverso. Mi è sembrato un
paragone davvero troppo azzardato.
La successione interminabile di stacchi, che dovevano rappresentare una
sorta di fil rouge tra un brano musicale e l’altro, è stata invece quanto di più
eterogeneo e mescolato si potesse immaginare e così abbiamo visto Vittorio
Grigolo in mezzo a un ghibli di piume al vento, Ildar Abdrazakov e la Garanca
all’interno di un vagone cantare il Don Carlos, a metà tra il Dottor Zivago e
Anna Karenina; Ludovic Tézier accanto a un improbabile Don Carlos,
impersonato da un attore che poteva tranquillamente rievocare il recente
pluripremiato Joker; l’omaggio al cinema neorealista e a Cinecittà (che
poteva anche essere una buona idea) con Rosa Feola e Florez che
dovevano strizzare l’occhio a Fellini ma anche una serie di stranezze condite
da continue azioni dei mimi, decisamente invadenti, e da proiezioni piuttosto
disordinate, tra cui alcuni inquietanti fiori scarlatti che si imponevano sul
tenore Piotr Beczala come simulacri del Covid o semplicemente fiori del
carciofo. Il punto per me più stridente è stato il Ballo in maschera,
magnificamente cantato da Eleonora Buratto, ma con alcuni corvi appollaiati
di sfondo e una mise talmente brutta, talmente penalizzante per la ragazza
che cantava da scatenare orribili commenti sui social. Lo dico e lo ripeto:
quando il costume è brutto, o perché mette in mostra rotoli indesiderati o
perché strizza le braccia o per altre ragioni, come già accadde in occasione
del recente Otello a Firenze, tali costumi vanno RIFIUTATI e si esce con il
proprio abito da sera. Da un camerino devi uscire migliorato non peggiorato e
questo vale per tutti. Altrimenti si mortifica l’artista.
Lo stesso Francesco Meli pareva un sottosegretario o un impiegato
del catasto, seduto sulla scrivania che doveva essere quella del governatore
di Boston.
Man mano che lo spettacolo procedeva , con le citazioni degli attori a raffica
(alcune indovinate , altre fatalmente no), ci si rendeva perfettamente conto
che il Galà era troppo lungo e oneroso, soprattutto per chi doveva
“sceneggiare” ogni singolo brano. Mi sono sembrati migliori “La mamma
morta” ,con azioni mimiche non troppo disturbanti, e l’aria di Tosca, cantata
molto bene da Roberto Alagna, con uno sfondo di Castel Sant’Angelo e luci
adeguate alla situazione.
A parte l’impostazione visiva devo dire che vi sono stati notevolissimi exploit
vocali: metterei in testa alla lista l’eccezionale Jago di Carlos Alvarez, la
morte di Posa con un Ludovic Tézier non inferiore a Piero Cappuccilli, la
splendida Liù cantata con classe e tecnica sopraffina da Alexandra Kurzak, la
già citata aria di Tosca con Alagna in grande forma,la Oropesa ottima Lucia
di Lammermoor , il monologo di Filippo II con un dolente e morbidissimo Ildar
Abdrazakov. Aggiungerei Rosa Feola come Norina e il perfetto Juan Diego
Florez con la Furtiva lagrima, forse l’unico brano in cui la personalità
dell’interprete è venuta fuori oscurando le azioni mimiche e il contorno. Il
tenore Beczala e il baritono Salsi hanno confermato la saldezza dei loro
mezzi vocali e un’ottima tenuta, della Buratto abbiamo detto (un’emula della
Tebaldi, ma deve solo fare attenzione al do ) e sottolineo anche la prova
eccezionale di Roberto Bolle, fuoriclasse della Danza , gratificato da luci
psichedeliche di grande effetto. Non so per quale misteriosa ragione il resto
dei Balletti è stato penalizzato dall’assenza di un piano luci degno e da una
scenografia scarna per non dire inesistente.
Qualche perlina nera di prammatica : il brutto do bemolle preso male dalla
Garanca (stanca dopo la magnifica Santuzza di Napoli) , la Donna è mobile
incolore di Grigolo e la deludentissima Opolais come Butterfly al capolinea,
omaggio involontario a Natalia De Andrade.
Un plauso per il titanico sforzo all’Orchestra, al Coro e al maestro Chailly, che
a mio giudizio sono stati i veri eroi della serata, essendo stati capaci di
passare da uno stile all’altro , da una qualità di suono all’altra con grande
disinvoltura e mantenendo una qualità altissima.
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