Palchettista storico del Teatro, già nel cda delle Fondazioni Regio e Toscanini, l'avvocato Fulvio Villa apre le valvole in un'intervista uscita sul settimanale Il Nuovo di Parma.
L' avvocato Fulvio Villa, personaggio molto attivo nella vita musicale parmense è sempre rimasto nell'ombra da quando uscì dal cda della Fondazione Teatro Regio e nonostante i molti fatti successi nel frattempo non era mai uscito allo scoperto .Ora il suo pensiero riguardo la gestione Meli pare chiarissimo.
Nell'intervista c'è la genesi dell'assunzione di Mauro Meli. C'è il passato del Teatro, il presente. Ma soprattutto il futuro, ad oggi così improbabile.
L'INTERVISTA
Vorrei, ma non posso, non partire dall'intervista a Meli sulla Gazzetta.
Bene. Perché è stata solo una preparazione al suo incontro con la Commissaria, per ammorbidire l'annuncio di un deficit, una protesta dei dipendenti e la necessità di danaro, invocando quel cda che lui e l’ex sindaco a lungo hanno convocato non per discutere scelte, ma solo per annunciarle, determinando anche per questo le dimissioni di Maurizio Marchetti.
Cosa pensa della protesta dei lavoratori?
Sono lavoratori altamente professionalizzati, innamorati di questo Teatro. Protestano contro la Casta che li governa ed amministra, perché non dimentichiamo che la Fondazione Teatro Regio, che non è una società per azioni, ha una varia gamma di soci fondatori, e questo ha determinato una variegata governance tecnicamente paritetica - una poltrona, un voto - alla quale non corrisponde paritetica partecipazione economica. E coloro che dovrebbero rappresentare i veri interessi della cultura musicale della città sono assenti dal cda, penso all'Istituto Studi Verdiani.
Torniamo ai lavoratori.
Mentre la Casta è assai ben pagata e implementata, i dipendenti da anni non vedono un euro di aumento, né un incentivo alla loro dedizione e non hanno stabilità. Crede che le assunzioni dei collaboratori effettuate per chiamata diretta da Meli o altre assunzioni politiche di poca concepibile utilità non arroventino gli animi? So che una delle ultime, curata personalmente da Carlo Iacovini (ex dirigente in carcere per l'inchiesta Green Money, ndr), ha spinto il braccio destro di Meli, Liuzzi, ad inviare una mail al sollecitatore per domandargli cosa avrebbero dovuto far fare alla neo assunta, visto che era imposta.
Anche l’Orchestra si lamenta.
L’Orchestra del Teatro Regio, a quanto ne so, non esiste, perché purtroppo non è mai arrivata ad esistenza. Quando sono uscito dal cda si era approvata una convenzione che prevedeva un percorso di crescita qualitativa e riorganizzazione giuridica, percorso arenato, ritengo per la stolida filosofia dell’ex sindaco-presidente che ha cancellato tutto quello che avevano creato e pensato coloro che non gli avevano dato il voto: la strategia delle purghe con effetti visti nel tempo necessario perché si compia il detto che il tempo è galantuomo. Sempre.
Mi par di capire che secondo lei oggi non sia possibile ricapitalizzare, come annunciato da Meli.
Tecnicamente ricapitalizzare una Fondazione non è fisiologico; la Fondazione ha un fondo patrimoniale che la mantiene, non un capitale, non credo si voglia trasformarla in una società di capitali.
La verità è che comunque occorrono soldi.
Naturalmente. Ma è una verità datata, da quell'agosto del 2005 in cui Meli mise per la prima volta piede nel nostro Teatro. Il suo ruolo era di reperire finanza e diventare direttore artistico.
Nessun’altra delega?
Per certo no! Soprattutto quella di firmare assegni. Purtroppo, non so se con attendibilità, una certa fama lo precedeva e l’amministrazione Ubaldi era attentissima ai costi, e l’assunzione di Meli, che io stesso curai, è avvenuta in un contesto economico-politico molto rassicurante.
Meli insomma fu assunto dietro sponsorizzazioni.
Il maestro Muti telefonò personalmente da Vienna all’ex sindaco Ubaldi rassicurandolo sul fatto che l’assunzione di Meli avrebbe significato una sua più sollecita partecipazione alle rappresentazioni del Teatro. Poi c’erano i politici, gli amici influenti economicamente e non solo, gli imprenditori sponsor che sarebbero stati garanti del futuro del Teatro.
Spariti tutti.
Tutti, lasciando il Teatro indebitato. Pensi che il concerto di Muti sponsorizzato da Mediaset e da Mediaset mandato più volte in onda, contemplava una sponsorizzazione di 75mila euro che non mi risulta pagata, né richiesta giudizialmente.
Quindi come fare per immettere soldi nella Fondazione?
Il metodo si trova, ma prima occorre trovare chi li mette, che dovrà avere fiducia in chi li amministra. Quando un sovrintendente non s'interroga come mai ben tre ministri della Cultura non abbiano prestato interesse al Festival, e a proposito di Galan, che invece è interessato al ROF di Pesaro, si limita a dire “mi spiace”, tanto il Festival è “molto ben frequentato in genere” e “ha potuto regalare migliaia di turisti a Parma e alle Terre Verdiane”, credo ci troviamo dinnanzi a un atteggiamento snobistico improponibile.
Quali, a suo avviso, le criticità di questa gestione?
Nel ritenere che un Festival si costruisca con banali intuizioni di marketing, addobbando la città e impolverando le vetrine con dismessa attrezzatura di scena, costumi scoloriti e piume variopinte. Nel tentare di far credere che aprire il Farnese per “cose straordinarie” e a un “pubblico consapevole” sia la realizzazione di un sogno, forse solo suo e di coloro che ha ringraziato, dimenticando di ringraziare tutti quelli che per realizzare questa “apertura” si sono, mi passi il termine, smazzati. Se poi si agitano hanno ragione, e se chi li ha fatti agitare dà loro anche ragione, credo che abbiano motivo di agitarsi ulteriormente, perché al danno si aggiunge la beffa.
Quindi come vede il 2013?
Le vere celebrazioni si faranno altrove, certo alla Scala.
Con cui Meli preannuncia intese.
Il tema è scottante, dalla Scala Meli è stato invitato ad andarsene e pare non abbia lasciato buoni ricordi. Da noi avrebbe dovuto verificarsi la catarsi. Nell’intervista l’argomento, avrà notato, viene accennato, se non glissato.
Se si trovasse a dover assumere decisioni, cosa proporrebbe?
Einaudi insegna che per deliberare occorre conoscere, per conoscere occorre imparare, posso dunque dare solo suggerimenti generali. Occorre subito un controllo di gestione, soprattutto dei costi del fornito e forse non indispensabile vertice; poi una credibile programmazione pluriennale con business plan da presentare a soci e banche; una riorganizzazione aziendale e statutaria che consenta dialogo fra gli operatori e accantoni l’attuale logica gestionale priva di democrazia; è indispensabile fare sistema con altre strutture; puntare alla qualità e non al fare per il fare; progettare un futuro che possa interessare sponsor e ministeri, diversamente resteremo gli sporadici elemosinieri che col “raccattato” fanno venire una sera Abbado al Farnese per i pochi “consapevoli” della “cosa straordinaria”.
Ma una ricetta concreta?
Ho visto all’opra Giovanni Pacor al Carlo Felice di Genova dopo il commissariamento. Lì la formula che crisi e mancata “ricapitalizzazione” hanno imposto è semplice: un sovrintendente da 70 mila euro l’anno, agenti spiazzati da oltre 600 audizioni dirette di giovani cantanti arrivati da tutto il mondo, recupero di bellissimi allestimenti e noleggio economico di altri. Produzione nuova di spettacoli unici: questo richiama pubblico selezionato, non i charter parrocchiali. Poi giovani talentuosi maestri, che tanti ve ne sono ed economicamente vantaggiosi, in quanto non gestiti da famosi agenti che in città sono costati un debito alla Toscanini dal quale si sta risollevando a fatica, ma con bravura e coraggio.
Già, la Toscanini. Cosa mi dice in chiusura?
Spero che possa contribuire a risollevare le sorti musicali della città e dall’esilio dell’Auditorium rientri a pieno titolo al Teatro Regio, ricomponendo questo incomprensibile scisma.
Sarebbe una rivoluzione...
La città ha bisogno di quello, anche in campo musicale. Per un nuovo risorgimento e una nuova credibilità, all’insegna del famoso W V.E.R.D.I., finalmente.
M.Meli ridens
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