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Lunedì 05 Dicembre 2011 08:03 |
Venezia, T.La Fenice
Lungo e felice il connubio che lega il Trovatore alla Fenice di Venezia: una delle opere più belle e uno dei più bei teatri d'opera , i cui fantastici stucchi dorati sembrano l'ideale cornice del capolavoro verdiano. Non è un caso che uno degli incipit cinematografici leggendari sia appunto il finale del III atto del Trovatore in “Senso” di Visconti , dove la Fenice e la squillante “Di quella pira” salutata dai volantini insurrezionali restano il più bell'omaggio a questo teatro mai realizzato finora.
La produzione cui ho assistito ieri, seconda recita pomeridiana, si è conclusa con un grande successo per tutti i protagonisti , eccettuata qualche sonora contestazione per il maestro Frizza, direttore e concertatore dello spettacolo. Luci e ombre, quindi, che sarà bene esaminare partendo dall'allestimento, firmato da Lorenzo Mariani. Brutto, decisamente brutto, con quel misto di polveroso e pretenzioso al tempo stesso, che produce il solo effetto di rimpiangere da un lato la serena compostezza di un Beppe De Tomasi e dall'altro la provocatoria brutalità di Calixto Bieito. Una scena spoglia, una strana landa semirocciosa a metà strada tra il Sahara e la strada che collega Avetrana a S.Cesareo in Puglia (senza gli ulivi secolari, però!) , sullo sfondo una riproduzione mal realizzata di Castel Del Monte, alcuni elementi che apparivano nel corso delle varie scene: un cavallo bianco di gesso, un drappo appeso che poi cadeva a terra nella scena del carcere (sollevando un nugolo di polvere),una enorme luna ora bianca ora rossa sul fondale, un letto (?!) nella scena dello sposalizio di Manrico e Leonora (in cui si presume debba consumarsi la prima notte, in barba alle “gioie di casto amor” vagheggiate dalla coppia) . Ma a parte la bruttezza delle scene, con quel castelletto sullo sfondo sproporzionato , è la regìa , a tratti strampalata, ad aver gravemente nuociuto allo spettacolo: “Venite intorno a me!” dice Ferrando all'inizio dell'opera e tutti sono intorno a lui da un quarto d'ora (?!) , Manrico canta “Ah sì ben mio” andandosene al proscenio e rivolgendosi al pubblico, senza mai filarsi la povera sua Leonora, costretta a raggiungerlo come per rammentargli “Ehi, guarda che ci sono anch'io!” , il Conte che si avventa su Leonora e la seduce (vestito di tutto punto!!!) al termine del duetto, mentre Manrico e Azucena passeggiano tranquillamente davanti a loro … insomma....ce n'è abbastanz a per stendere il classico velo pietoso su questo allestimento proveniente da Parma e che a Parma sarebbe dovuto rimanere, chiuso in qualche magazzino di cui andava persa la chiave.
Ombre, purtroppo, anche sulla direzione d'orchestra, a cura del maestro Frizza. Non è stato Verdi ma direi piuttosto un Rossini giocoso, o il Donizetti della “Fille du régiment”: mancava il colore, plumbeo e denso, della autentica orchestra verdiana, l'orchestra suonava brillante sì ma leggerissima, con accordi staccati e petulanti, e tempi davvero strambi: velocissime le arie , “Ah sì ben mio” sembrava “Ah non giunge” , il finale di Sonnambula. No. Più che meritate le contestazioni al direttore che, evidentemente, non si trova a suo agio in questo repertorio o ne ha un'idea tutta sua, non condivisibile.
Protagonista, attesissimo, il tenore Francesco Meli , che debuttava Manrico dopo una brillantissima carriera che lo ha visto emergere nel classico repertorio belcantistico. Voce di magnifico smalto e naturale lucentezza, dizione scolpita, volume e fraseggio da grande interprete: una prova che almeno per un buon 98% può dirsi non solo riuscitissima ma pressochè perfetta. Un Manrico giovane (com'è in realtà) , ardente, autorevole. Chiude il primo atto con il re bemolle all'unisono con Leonora (“E' psicologicamente più facile” , confesserà nell'intervista dopo lo spettacolo), svolge in modo encomiabile i duetti con la madre, cesella l'aria “Ah sì ben mio” con intenzioni e morbidezze inusitate e arriva alla Pira , che è lo scoglio forse più temuto dell'intera storia operistica, con quel minimo di lecita preoccupazione concessa a ogni giovane interprete e ,a maggior ragione , da concedersi a un Manrico giunto alla sua seconda recita. La cabaletta viene eseguita due volte, abbassata di tono (si maggiore in luogo del temuto e temibile do ), il primo “ o teco” è preso ma con evidente paura e suona decisamente indietro, il secondo si acuto, l'”all'armi”, è più convinto all'inizio ma si chiude in modo avventuroso, con la gola che interviene proditoriamente. Ho parlato di questo con Francesco Meli, che molto onestamente ha confessato di aver sempre avuto problemi con la sezione acuta della sua voce e che fin dagli esordi ha cercato di evitare le parti troppo estese. In futuro non accetterà , ha detto, ruoli più impegnativi di questo e continuerà con le sue Traviate,Rigoletto, Lucia. “Otello? Nemmeno per idea: è stata una proposta di un direttore artistico (l'omonimo Meli di Parma, n.d.r.) per un Otello particolare, ma per ora non se ne parla. Continuo con le mie opere.” Così ha detto Francesco e io gli auguro vivamente di proseguire in tal modo il suo radioso percorso.
Maria José Siri era Leonora. Magnifica interprete, al pari del suo amato trovatore, in grado di superare tecnicamente ogni ostacolo, compresi i pianissimi in zona acuta alternati a splendide salite al do, soprattutto nella tremenda cabaletta del IV atto. La voce non è bellissima, un po' aspra, ma possiede un colore brunito che dà carattere ai suoi personaggi e l'interprete è sempre molto varia e partecipe. In scena si muove con eleganza e con l'allure dei grandi interpreti.
Il baritono Vassallo, Conte di Luna, ha sfoderato un bel colore e un volume notevole, con la giusta protervia che deve a tratti caratterizzare questo personaggio. Peccato che nell'aria “Il balen del suo sorriso” abbia avuto problemi di intonazione e che spesso l'aggressività abbia avuto la meglio sulla morbidezza del suo canto, che resta tuttavia molto autorevole e di alta qualità.
La Simeoni come Azucena merita un discorso a parte. La voce è molto chiara, addirittura più chiara di quella della Siri, e in talune scene come per esempio l'aria “Stride la vampa” e “Condotta ell'era in ceppi”, mancava la cavata dell'autentico mezzosoprano verdiano e la pienezza del registro grave. Non è questione, come ho sentito dire, di un'Azucena giovane o anziana, è questione di VOCE....vorrei fosse chiar questo concetto. Ma attenzione: la Simeoni sa cantare con la sua voce meglio di tanti mezzosoprani, anche importanti. E' musicalissima, possiede un fraseggio perfetto, sale al do e al si bemolle con facilità, interpreta con grande partecipazione emotiva, alla fine convince, nonostante i rilievi di cui sopra. Non le direi mai di insistere troppo con Verdi ma mi piacerebbe ascoltarla in tante opere dove si richiede un solido registro acuto e una sicura interprete.
Giorgio Giuseppini come Ferrando ha avuto buoni momenti nel registro medio-grave, ma in affanno sugli acuti. Tra i comprimari bene la Ines di Antonella Meridda, meno bene Mattiazzo come Ruiz. |
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Sabato 03 Dicembre 2011 08:50 |
La benemerita stagione al Verdi di Salerno giunge a uno degli appuntamenti più attesi e perigliosi, la Norma di Bellini, una vera e propria sfida per qualunque grande teatro e in ogni tempo. Considerato un vero e proprio “totem” del repertorio melodrammatico, Norma è un grande compendio di tutte le difficoltà riscontrabili in un 'Opera lirica: il Belcanto, inteso come campionario di prodezze vocali ma allo stesso tempo risolte in modo “espressivo”, vede il suo trionfo nella vocalità estesa e drammatica della protagonista, che non può essere un soprano leggero né può essere un soprano drammatico, ma entrambe le cose e ancora di più, se possibile. Teodoro Celli coniò il termine “soprano drammatico di agilità” , riferendosi ovviamente alla più grande Norma mai esistita, Maria Callas, e questa tipologìa già riduce drasticamente la scelta di una possibile interprete. Seguendo la linea vincente finora adottata, Daniel Oren e il suo fido collaboratore Antonio Marzullo, hanno deciso di lanciare una giovane artista poco conosciuta in Italia, la venezuelana Lucrecia Garçia, appena affacciatasi nell'agone internazionale e in ruoli affatto semplici, come per esempio Aida, cantata all'Arena di Verona l'estate scorsa. La Garçia è subentrata all'annunciata Dimitra Theodossiou, con la quale la direzione del Teatro Verdi ha avuto delle incomprensioni , non del tutto chiarite.
Se Norma è una parte tremenda, non lo sono da meno i ruoli di Pollione, classico baritenore di stampo “eroico”, Adalgisa, a mezza via tra il soprano e il mezzosoprano di agilità, Oroveso, il poderoso basso che con i suoi tonanti accenti rende monumentali le sue entrate.
Il compito più duro è quello del direttore d'orchestra, considerando la scrittura di Bellini , tersa, limpida, sgorgante come una sorgente di melodie e suoni immortali, una bianchissima tovaglia di pizzo antico in cui ogni macchiolina si nota all'istante.
Fatta questa premessa bisogna dire che lo spettacolo realizzato a Salerno , pur festeggiatissimo dal pubblico, ha presentato qualche incidente di percorso.
D.Oren
Cominciamo dai dati positivi, intanto la straordinaria concertazione di Daniel Oren, che non solo ha fatto suonare l'orchestra come raramente si ode in Norma, ma ha accompagnato le grandi arie e i lunghi duetti con un trasporto e un'attenzione davvero emozionanti. Alcuni momenti, poi, valevano da soli la serata: per esempio la morbidissima, vibrante cavata dei violoncelli durante l'introduzione di “Teneri figli”, l'asciutta e trascinante Sinfonia, lo stacco virtuosistico del Coro “Guerra ,guerra” , magnificamente eseguito dal Coro di Salerno, il finale I e soprattutto le formidabili progressioni del Finale, uno dei momenti topici dell'intera storia operistica. La giovane orchestra salernitana ha dato il massimo e così, come si è detto, il Coro regalando al pubblico e a chi scrive una grande serata.
L. Garçia (Norma)
Purtroppo non così bene sono andate tutte le voci, partendo dalla protagonista decisamente emozionata e forse anche non in buonissime condizioni di salute (nella seconda recita è stata prontamente sostituita da Maria Agresta, giunta frettolosamente da Milano dov'è impegnata come Donna Elvira nel secondo cast dell'inaugurale Don Giovanni). Sta di fatto che Lucrecia Garçia, pur dotata di una voce molto bella in talune note della sua gamma e di natura morbida e vellutata, ha più volte “steccato” i do acuti di cui Bellini è stato prodigo e questi incidenti hanno gravemente inficiato anche la sua recitazione. Purtroppo è una voce non ancora perfettamente a posto, tecnicamente parlando: il colore 'scuro' che l'artista cerca per conferire autorità al suo timbro è piuttosto artificioso, non supportato dai suoni “in maschera” ma piuttosto dalla gola, e questo sicuramente produce stanchezza, affanno e suoni a rischio nella gamma acuta. Tuttavia ci sono stati momenti di grande effetto, come per esempio tutta la scena finale, con la supplica al padre e il crescendo prima della stretta.
S.Ganassi (Adalgisa)
Trionfatrice della serata è stata senz'altro Sonia Ganassi, la migliore Adalgisa oggi al mondo. Sicura, intensa, sempre nella parte, ha risolto ogni passaggio belcantistico (eccettuato un do avventuroso nel primo duetto con Norma) e ha cantato “sulla parola”, che non vuol dire solo articolare la dizione bensì cantare dando il senso alle frasi imposte dal libretto e quindi dando verità al personaggio.
Roberto Aronica era Pollione: una voce senz'altro ampia e di bel colore ma soprattutto un fraseggiatore di classe, mai enfatico e sempre molto attento al legato, tanto importante nel Belcanto come nel Canto in generale. Peccato solo che la preoccupazione lo abbia portato a calare spessissimo di intonazione, cosa che si è resa drammaticamente evidente nel duetto con Adalgisa. Credo che la tessitura centrale del ruolo metta in difficoltà il suo assetto vocale, tendenzialmente spostato su una gamma più alta. Speriamo che le cose vadano migliorando nelle repliche.
R.Aronica (Pollione)
Poderoso, roccioso, solenne l'Oroveso di Carlo Striuli, che emergeva nel finale con il suo vocione, ma restando morbido e superando tutti gli ostacoli della non facile parte. A lui un plauso particolare.
Una Clotilde di extralusso in Francesca Franci (e questi sono i 'colpacci' di Oren) , che oltre a essere la più bella in scena ha cantato le sue frasi in modo molto autorevole e partecipe.
Ottimo il Flavio del tenore Peroni, che ha sfoggiato una voce bella e squillante.
Abbiamo lasciato per ultimo lo spettacolo, firmato da Francesco Torrigiani, che si è rivelato assai convincente sia per la cura dei vari movimenti sia per la scelta di avvicinare Norma all'altro grande personaggio-simbolo dell'opera neoclassica, la Medea. Nella fattispecie la Medea di Pasolini, come ha spiegato il regista nel programma di sala. La quercia di Irminsul diventava qui un rilievo roccioso sovrastato da un grande cerchio in pietra tipo "Stargate", il tutto inserito all'interno di un tempio arcaico , con pannelli che rivelavano ora il Coro ora i singoli personaggi e un abile gioco di luci. Molto belli i costumi , sia per il taglio che per la scelta dei colori, perfettamente amalgamati con la scenografia. Un pò opprimente, forse, il palco rialzato, che consentiva però alcuni movimenti interessanti sugli scalini posti sul proscenio. Insomma, un lavoro studiato e meditato, questo va a tutto merito del regista e del suo staff. IL pubblico ha gradito e ha riservato calorosissimi applausi all'allestimento.
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Lunedì 28 Novembre 2011 00:21 |
Il Macbeth di Vedi approda all'Opera di Roma sotto la bacchetta del suo direttore “perpetuo” , Riccardo Muti, e con la regìa di Peter Stein in coproduzione con il Festival di Salisburgo. Spiace che la capitale d'Italia, di questa Italia, sia diventata una sorta di succursale di un Festival , un tempo prestigioso oggi un po' meno: forse è un altro scotto da pagare per l'Europa-Che-Non-C'è o per non si sa quali occulti accordi. Sta di fatto che lo spettacolo importato dalla bella cittadina austriaca è tutto fuorchè un bello spettacolo: la solita scatola nera che abbiamo visto da trent'anni in non si sa quante occasioni, con le solite quattro luci di taglio, con il solito fondale ora azzurro ora bluastro ora arancione, con il solito pannello che fa avanti e indietro da una quinta, tanto per arricchire un po' la scabra scenografia. E' un Macbeth noioso e scontato quello di Stein, che però nel terzo atto non manca di inserire qualche “fantastica” trovata: mentre Macbeth giace steso dopo la scena delle apparizioni, viene circondato da un nugolo di bambini e bambine vestite di bianco, una sorta di improvvisato Kindergarten, che si mettono a danzare e a giocare come in una strana festicciola en plein air. Le stramberìe non finiscono qui: il famoso balletto, concepito da Verdi per l'Opéra di Parigi, viene eseguito all'inizio del III atto come intermezzo sinfonico, a sipario chiuso. Perchè mai? Non ha l'Opera di Roma un corpo di ballo ? Così ci tocca assistere a uno stravagante concerto, tra l'altro un pò enfaticamente eseguito dal Direttore Perpetuo. Last but not least, le proiezioni che commentano le frasi di Macbeth , con le immagini della Dinastia Reale inglese, e quando questi canta “Oh vista orribile, oh vista orribile” appare in alto la faccia di Elisabetta II: effetto quanto mai comico. Bisognerà anche spiegare a Herr Stein che le streghe del Macbeth non sono personaggi buffi e che vederle ballare, come nella disneyana Spada nella roccia, non è un effetto propriamente indovinato.
Veniamo dunque a questa concertazione. Si è parlato molto in questi ultimi anni di un Muti più meditativo, meno enfatico, alla ricerca di sonorità più soffuse e crepuscolari....ma dove?!? Ritroviamo il Muti che ben conosciamo dai tempi del Maggio Fiorentino e poi della Scala: fin dal preludio dell'opera vi sono le note scelte dinamiche strampalate, con tempi ora strettissimi ora sdilinquiti in esasperanti lentezze, con irruenti entrate di ottavino e legni, poderosi squilli degli ottoni, strappate di contrabbasso e via discorrendo. E' il campionario del Muti con l'elmetto , che guarda al primo Verdi come a un bersagliere con schioppo in spalla e sciabola al fianco sempre pronto alla carica. Vi sono buoni momenti nella concertazione, non è tutta una giostra ma vengono puntualmente mandati a ramengo da incredibili cadute: come il finale I , per esempio, dove lo stringendo del Coro “L'ira tua, formidabile e pronta” rievoca climi più circensi che drammatici, o le stesse musiche del Balletto, che dovrebbero rievocare Ecate e invece fanno pensare a più villerecce Sagre paesane.
Veniamo alle voci, per lo più travolte dalle sonorità mutiane ma non per esclusiva colpa del Maestro, sia ben chiaro. Tatiana Serjan è Lady Macbeth: una bella figura senz'altro e una bravissima attrice, ma la voce è afflitta da un vibratino stretto abbastanza fastidioso e nonostante una certa sonorità di base, tende ad andare “indietro” su si naturali e do. La nota più bella della serata è stato il periglioso re bemolle che chiude il Sonnambulismo, nel IV atto, ma non può bastare. Il protagonista è il baritono Dario Solari, che per aggiungere autorevolezza al suo personaggio fa l'errore di gonfiare i centri e ingrossare troppo la voce, a discapito dello squillo :peccato, perchè oltre a essere un ottimo fraseggiatore è anche un artista che sa stare in scena. Il basso Riccardo Zanellato è bravo ma insufficiente come Banquo: nella grande aria non riusciva a imporsi e restava nell'ambito di una buona routine.
Antonio Poli è senz'altro un tenore di bellissimo colore e canta con molto gusto, ma non ha il volume necessario per un ruolo che è da tenore lirico spinto se non addirittura drammatico. Così l'entrata del I atto passa quasi inosservata e la cabaletta che segue l'aria, in coppia con l'altro tenore (Malcolm), lo vede soccombere accanto al collega (il tenore Antonio Corianò).
Da segnalare la bravissima Anna Malavasi come Dama di Lady Macbeth, il Medico di Gianluca Buratto e le tre Apparizioni, tutte voci molto intonate: Luca Dall'Amico, Claudio Prosperini e Marta Pacifici.
Da lodare incondizionatamente Coro e Orchestra dell'Opera di Roma, che hanno dato il massimo.
R.Muti e P.Stein
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Mercoledì 23 Novembre 2011 00:06 |
La Norma di Bellini su LOGGIONE, Canale 5, sabato
26 novembre ore 8.45
regìa, scene e costumi: Enrico Stinchelli
cast: D.Theodossiou, A.Interisano, O.Andra, D.Russo
dir. J.Vella
Link per rivedere il programma:
http://www.video.mediaset.it/video/loggione/full/263851/puntata-del-26-novembre.html#tf-s1-c1-o1-p1
Teatru Astra's opera production Norma, held twice last month, will be featured on Canale 5's only opera and music review television programme Loggione, aired this Saturday at 08.45am.
Scenes from the opera, filmed by a four-strong television crew who came specifically to Gozo for the opera, will be screened together with a commentary and review by musicologist and programme presenter Vittorio Testa. The island of Gozo will also feature prominently as the television crew toured the island and filmed in several locations.
The television crew was brought to Malta by Teatru Astra in strong collaboration with the Malta Tourism Authority.
Loggione, now in its eighth edition, weekly brings to the screen selected opera productions and concerts, rarely outside of Italy, together with interviews with the main artistes and music or stage directors. The programme's production team is that from TG5. Important appointments this season are those dedicated to opera from the Teatro Antico in Taormina, those from the Sferisterio Opera Festival in Macerata, and those from the Arena in Verona.
Norma opened the tenth edition of Festival Mediterranea, which ran from 27 October until 19 November. An international cast of high repute was engaged, led by soprano Dimitra Theodossiou in the title-role. Enrico Stinchelli's artistic direction brought digital scenography for the first time to local opera productions, which was enthusiastically received by local and foreign audiences.
In fact, Teatru Astra has already announced that Enrico Stinchelli will once again be entrusted with the production of Giacomo Puccini's Madama Butterfly, which will open the 11th edition of Festival Mediterranea in 2012. Madama Butterfly will be held on 25 and 27 October 2012.
More information is available from www.mediterranea.com.mt |
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