News
|
Giovedì 26 Agosto 2010 18:28 |
Il Teatro Carlo Felice, Genova
Un teatro da salvare!
Un teatro è lo specchio di una civiltà!
|
News
|
Giovedì 26 Agosto 2010 17:30 |
Da Classic Village,17.2.2010
...ogni tanto è utile ripassare argomenti sempre attuali
CACHETS OVERSIZE E CALMIERI...
Scritto da lunatica |
Mercoledì 17 Febbraio 2010 12:11 |
|
|
In tempi di recessione, la musica cosiddetta colta soffre tremendamente. La crisi ha scoperto i nervi di un genere non propriamente duplicatore di denaro come l’opera lirica, prodotto squisitamente italiano, coltivato ed esportato in tutto il mondo. Si tira la cinghia nei teatri d’opera, e non se la passano meglio le istituzioni sinfoniche e cameristiche. Secondo quanto avviene su scala mondiale, con gli Usa in testa, la programmazione s’assottiglia, gli organizzatori chiedono clemenza agli artisti perché riducano la parcella, si rinuncia al nome d’oro, e si punta - finalmente! - su giovani e cachet sotto controllo.
Si taglia, si fanno i conti della serva. Però gli ingaggi delle star della musica non conoscono flessioni. I compensi da nababbi, conquistati negli anni ruggenti, continuano a volare alto. Con gli intoccabili della musica non si tratta, a tutti gli altri si chiede un generale sconto, in genere del 20% ci assicura Maurizio Scardovi, agente. Lo stipendio impiegatizio dell’orchestrale medio si confronta con quello dorato delle star che non muovono neppure un dito e scaldano l’ugola per meno di 40/50 mila euro a prestazione. Nella top ten globale dei musicisti più quotati, e pure pagati, spicca il pianista italiano di punta, ma anche concertisti rampanti d’ultima generazione tra cui Lang Lang.
Già, il Lang Lang cresciuto a pane e pianoforte, in un appartamentino di Pechino dove i servizi igienici venivano condivisi con altre quattro famiglie. Ora è una gloria nazionale dalle quote in inarrestabile ascesa: fortunate le istituzioni che lo strinsero a sé al suo esordio, con contratti pluriennali, perché ora vale quattro volte tanto. Quanto ai violinisti, la palma dei più costosi va a Anne-Sophie Mutter e Itzhak Perlman. Poi bisogna fare distinguo fra gli strumenti. A parte il violoncellista Mstislav Rostropovich, che - al di là dei molti concerti per beneficenza - imbracciava il suo Stradivari dietro onorari astronomici, i concertisti più costosetti sono i pianisti e i violinisti. Così come si riconosce una gerarchia nell’Olimpo delle voci per cui le più acute, quella del soprano e del tenore, hanno un peso economico maggiore. Una mezza spanna sotto questa dozzina di punte massime, c’è il largo ventaglio di ottimi concertisti, pure fuoriclasse, la cui prestazione viene valutata al massimo 20mila euro.
La categoria che però fa sbiadire tutte le altre è quella del direttore d’orchestra. Ha sempre guidato la classifica delle più costose bacchette l’inossidabile Lorin Maazel. Ora, però, sta per essere scalzato da James Levine il quale dirige in contemporanea la Boston Symphony e il Met di New York portandosi a casa 3 milioni e mezzo di dollari l’anno, ai quali si aggiungono i proventi dei concerti extra. I direttori di grido, per eventi particolari, possono raggiungere le vette degli 80mila euro a serata.
Ma la casistica è ampia e sfaccettata, in particolare durante la crisi. «Il rovescio della medaglia di questi tempi, è che se conosci bene il mercato puoi fare acquisti interessanti. Noi siamo riusciti ad ospitare orchestre di lusso, con direttori notoriamente poco economici, a costi ridotti. Del resto, siamo un ente privato e i conti si fanno con minuzia», spiega Pier Carlo Orizio, direttore artistico del Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo. E comunque, una cosa è la classica stagione, l’altra è l’evento singolo, magari sorretto da un generoso sponsor, l’altra ancora è la manifestazione estiva gestita da un’unica agenzia d'artisti che riesce ad assicurarsi presenze dai costi stellari ma una volta tanto, per gentile concessione, contenuti. Il caso del Festival di Cortona che riesce ad attrarre in Italia artisti (da Angela Gheorghiu a Cecilia Bartoli) ed attori di grido (da Robert Redford a Anthony Hokpins) in virtù dei legami d’amicizia o lunga collaborazione coltivati dal patron del Festival. Che coglie l’opportunità di mostrare all’Italia questa sua merce rara, dagli onorari proibitivi, ingolosendo i teatri (ormai all’asciutto). Ognuno paghi i cachet che vuole, ma non con i soldi pubblici è il monito di Salvatore Nastasi, direttore generale per lo spettacolo dal vivo, capo gabinetto del ministero per i Beni culturali e commissario del San Carlo di Napoli, teatro che sta portando fuori dal tunnel. I teatri e le istituzioni sovvenzionate dallo Stato, per decreto, devono attenersi a «un tetto massimo di compenso per artista, ora intorno ai 20mila euro a prestazione», dice Nastasi.
Ma siamo sicuri che non vi siano le strategie per aggirare questo calmiere soddisfacendo i desiderata dell’artista? Prassi che i bene informati ritengono essere non propriamente disattesa. Se così fosse, «gli amministratori dovrebbero risponderne legalmente. Quando mi sono trovato a collaborare con artisti del calibro di Abbado e Muti, che potrebbero anche avanzare certe pretese, abbiamo rispettato la regola», ancora Nastasi. Giampaolo Vianello, sovrintendente del teatro la Fenice di Venezia, si attiene a un suo cachettario così stabilito: «Per ogni recita mi pongo un budget massimo che confeziono sulla base del numero di artisti primari e comprimari, i compensi di questi ultimi sono pari al 40% di quelli dei cantanti protagonisti», dice. Osservazione che offre un’idea dello scarto che si crea fra chi sta in cima o anche solo appena al di sotto della scala di valore artistico e di conseguenza finanziario. |
Note
|
Lunedì 23 Agosto 2010 20:22 |
Baldracca, dramma per musica di Antonio Draghi,1679
BALDRACCA, Dramma per musica, nel felicissimo dì natalizio, della S.C.R. maestà dell’Imperatrice Eleonora Maddalena Teresa, per commando della S.C.R. maestà dell’Imperatore Leopoldo et alla med.ma Maestà consacrato, l’anno MDCLXXIX, posto in musica dal S.r. Antonio Draghi, intendente delle musiche teatrali di S.M.C. e M.to di Cap. della Maestà dell’Imperatrice Eleonora, con l’arie de li balletti del S.r. Gio. Henrico Smelzer, V.M.to di Cap. di S.M.C. , in Vienna d’Austria, per Gio: Christoforo Cosmerovio, stampatore di S.M.C.
“Eccovi, Aug.mo Cesare, l’ubbidienze della mia penna votiva alla felicità della vostra gloriosissima sposa. Così vi faccia tributo il cielo della più serena influenza, e omaggio il mondo de’ più umili ossequij. Ha già la vostra augustissima sposa ingemmato il cesareo diadema di preziosissima gioia. Proseguisca ad arricchirlo con felice fecondità, acciò vi risplenda sull’eroiche tempie ognora più luminoso:onde se n’abbagli l’emulazione e se n’accechi l’invidia. Crescano per sempre le vostre glorie, e faccia il Dator delle Grazie che siate la base della quiete dell’Universo: e vi costituisca l’Achille de’ regni: ond’ habbiate in mano l’ hasta che ferisca, e risani; cioè in vostro arbitrio e le guerre, e le paci. Arrida con baleni di prosperità il cielo a’ miei voti: mentre io, supplicando compatimento alle mie debolezze, lu:te alle M.V. m’inchino di V.S.C.R.M.
Vienna li 6 gennaio 1679
Humm:mo Div:mo e Riv:mo Servo Nicolò Minato
“Baldracca fu bellissima donzella, di bassi e poverissimi natali, ma di rara virtù. Ne fu ardentemente innamorato Ottone imperatore: ma non la poté vincere né con le lusinghe né con doni, né con minacce, amando Ella più di morire povera e casta, che vivere arricchita e impudica: in modo che Ottone, finalmente mosso dalla virtù, e destato dalla pudicizia alla magnanimità, lasciatala intatta, la dotò abbondantemente; e sposolla ad uno de’ suoi più favoriti di corte. Hebbe Ottone nel tempo del suo imperio molte acerbissime guerre: e fu in ciascuna vincitore. Una fra le tante gli fu mossa da Henrico, suo minor fratello: pretendendo che la corona e l’Imperio a lui spettasse; e questo per essere nato mentre il padre era già imperatore, e Ottone avanti che fosse stato assunto a quella corona (…) sopra questa guerra e sopra questi amori s’è intrecciato il presente drama: con l’aggiunta de’ verisimili che si riconosceranno invenzioni, da confronto con le letture del Volaterrano che historicamente li scrive, e s’è intitolato
BALDRACCA
|
News
|
Domenica 22 Agosto 2010 13:14 |
Siamo di fronte a una vera e propria ondata “nera” che travolge le Fondazioni liriche italiane. Per la prima volta , da Nord a Sud , appare lo spauracchio del “teatro chiuso”. Ciò che si paventava, già da anni, si realizza come il dilagare di un morbo, il propagarsi della peste.
Ha aperto le danze (macabre) la notizia della chiusura per alcuni mesi del Teatro Carlo Felice di Genova, schiacciato da un deficit abbastanza mostruoso, in parte non rivelato dai bilanci presentati dall'ultimo 'commissario straordinario' preposto dal Governo,Ferrazza. Lavoratori in cassa integrazione, programmazione sospesa, danni incredibili all'immagine del Teatro, futuro avvolto dalle nebbie del mistero: in Italia se chiudi non sai mai quando riapri.
A dire il vero sono a rischio molte delle 13 Fondazioni liriche, almeno 7 vengono puntate dal mirino inesorabile dei revisori contabili, navigando da tempo in stato di perenne deficit.
Non dobbiamo però credere che la chiusura di un teatro, per triste e deprecabile che sia, costituisca un fatto desueto o storicamente raro. E' una prassi abbastanza comune, esattamente come accade mutatis mutandis a un esercizio commerciale, a un'azienda o persino a una semplice boutique, per lussuosa o prestigiosa che possa essere.
Lo stesso Carlo Felice ha una storia abbastanza sofferta: inaugurato nel 1828 come Teatro Lirico poi dedicato a Carlo Felice di Savoia, nel 1943 divenne Teatro Comunale dell'Opera, appena due anni dopo si trasformò in Teatro Comunale “Giuseppe Verdi” . Durante la II Guerra Mondiale il teatro venne colpito e parzialmente distrutto per ben due volte, prima di essere ricostruito e inaugurato di nuovo si dovette attendere il 1991 , quando nella nuovissima sala si assistette al “Trovatore” di Giuseppe Verdi. Quell'edizione, cui il sottoscritto assistette, non fu certo memorabile se non per alcune tragiche perle nere: il baritono Carroli non ricevette altro che zittii e “buh!” al termine della sua grande scena nel II atto, la Kabaivanska diede il suo meglio in “D'amor sull'ali rosee” ma la salvò giusto il mestiere, il tenore Johansson declamò in modo stentoreo tutta la parte e la Verrett come Azucena siglò malauguratamente l'intero spettacolo con delle sonore quanto inopportune risatazze diaboliche.
Nel 2005 si cercò di cancellare il nome Carlo Felice in favore di Mazzini, ma la cosa non andò in porto.
Una delle cause principali della chiusura dei teatri è storicamente l'incendio, anche questo determinato da ragioni non sempre accidentali: roghi celeberrimi furono quelli che distrussero nel 1836 e successivamente nel 1996 la Fenice di Venezia, quest'ultimo appiccato da un elettricista, tale Carella, che tentò così di non pagare le penali contrattuali previste dal ritardo del suo operato! Nel 1991 stessa sorte toccò al Petruzzelli di Bari, detto “il Teatro degli Imbrogli” , per la sua intricatissima e tragicomica storia, passata attraverso cause, risarcimenti, confessioni in punto di morte, arresti, scarcerazioni, danni, scontri epocali tra la famiglia dei proprietari, i Messeni Nemagna, e il Comune. Il 6 dicembre del 2009 il Teatro, magnificamente restaurato, venne nuovamente inaugurato con “Turandot”.
Ma gli incendi sono divampati un po' ovunque: nel 1816 al San Carlo di Napoli,nel 1936 al Regio di Torino,nel 1672 e nel 1791 stessa sorte toccò al più antico teatro londinese il Drury Lane, ricostruito e nuovamente distrutto dalle fiamme nel 1809 (!!!), a Siena (Teatro dei Rinnovati, bruciato nel 1742), a Dublino (il Teatro dell'Opera andò in cenere nel 1951), al Teatro Comunale di Treviso nel 1868, al Teatro di Cremona nel 1824,per non parlare dei due terribili roghi che devastarono il Liceu di Barcellona prima nel 1861 e poi nel 1994. Né il fenomeno degli incendi può dirsi limitato a precisi periodi storici: dal rogo di Nerone nell'antica Roma al recentissimo incendio che ha colpito il Teatro Vaccaj di Tolentino (gioiello di inestimabile bellezza) , sembra che esista una linea di fuoco praticamente ininterrotta.
T.Vaccaj... ieri T. Vaccaj...oggi
I teatri, talvolta, possono chiudere per un preciso progetto, com'è capitato al famoso “Teatro del Silenzio” creato da Andrea Bocelli nella natìa Lajatico (Pisa) nel 2006: cinque edizioni dovevano essere e cinque sono state, collocate in un meraviglioso anfiteatro naturale in mezzo alle colline pisane. Il “Libiamo” dalla Traviata di Verdi cantato da Bocelli, Carreras, Zucchero di fronte a 10.000 spettatori lo scorso luglio ha siglato questo curioso esperimento, in un clima di festa e di riconoscenza.
Lo spettro che invece volteggia in questi ultimi mesi , sinistro e famelico come un condor, è assai più pericoloso di un incendio: è il fantasma dei deficit, che riducono a zero le casse delle varie fondazioni e di fatto ne impediscono lo sviluppo futuro. Come si crea un deficit? E' abbastanza semplice: fatture pompate , appalti a ditte esterne, noleggi a costi altissimi, straordinari e assunzioni a cuor leggero , nepotismi, tangenti sottobanco ad agenzie o ad artisti , soldi in nero, cachets stratosferici e via con una lista di truffe grandi e piccole che sommate assieme determinano il bilancio in rosso. Dopodiché, tutti d'accordo (amministratori , sovrintendenti o commissari), si ritoccano i libri contabili, nascondendo il più possibile le peggiori magagne, e poi ci si lamenta in Coro, all'unisono...piangendo come nel Nabucco non la “patria perduta” ma i finanziamenti non erogati, il famoso Fus (fondo unico per lo spettacolo) che un tempo non lontano era arrivato alla bella cifra di quasi 1000 milioni di Euro e che dall'anno prossimo rischia di ridursi a soli 310 milioni. Abbiamo più volte sostenuto, in maniera ovvia e scontata, che i tagli alla Cultura sono sempre da deprecare , ma a fronte di gestioni così palesemente truffaldine, scorrette, ben oltre i limiti del Codice Penale come si può affermare che lo Stato, sia esso rappresentato da un governo di destra o di sinistra, debba far precipitare milioni di euro in un buco nero, praticamente senza fondo? C'è da riflettere su un dato abbastanza semplice: più contributi statali, più “truffe” messe in opera da un sistema perverso.
Questo sistema va cambiato e come tutte le rivoluzioni, grandi e piccole, lascerà scìe di sangue: saranno indubbiamente colpiti i lavoratori delle Fondazioni, con l'odioso strumento della cassa integrazione , durante la quale non si può nemmeno lavorare “gratuitamente”, com'è noto. Di conseguenza le stagioni liriche, già ridotte a pochi titoli l'anno (un'opera ogni 40 giorni nel migliore dei casi) si ridurranno ulteriormente e a quel punto, ci si domanda: perché stipendiare centinaia di dipendenti, maschere, macchinisti, orchestre, Cori, corpi di ballo quando il teatro non produce? Un teatro che non produce è un teatro morto: il segnale che arriva al pubblico è “il Teatro semplicemente non c'è, non esiste”. Ma non era un fenomeno in atto da tempo, mi chiedo? Non era , il Teatro (d'Opera, di prosa) già scomparso dai palinsesti della Tv o dalla semplice educazione scolastica e persino familiare? Il trend negativo era segnalato da tempo e ,a scanso di ogni equivoco, non certo per indossare i panni di Cassandra, erano tutte cose che personalmente ho detto e scritto da oltre 10 anni. Ho persino deposto presso la Guardia di Finanza, facendo nomi e cognomi, consegnando dati e dossiers sulla questione, non più di tre anni fa. Ho parlato con magistrati e ho visto con i miei occhi dei fascicoli, pronti, che se finissero in mano ai settimanali costituirebbero uno scandalo da copertina, titolo: Operopoli.
|
|
|