Lunedì 16 Maggio 2011 07:21 |
Da GENOVA: nubi sul CARLO FELICE
Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
FIALS-CISAL
SNATER-USB
LIBERSIND-CONFSAL
A:
Fondazione Teatro Carlo Felice
Presidente – Prof. Marta Vincenzi
Consiglio d’Amministrazione
Genova, 12 maggio 2011
Le assemblee degli iscritti facenti capo alle scriventi Organizzazioni Sindacali si sono riunite per esaminare la situazione generale della Fondazione a quasi sei mesi dall’entrata in vigore dei Contratti di Solidarietà e alla luce del reintegro del Fondo Unico per lo Spettacolo, recentemente deciso dal Governo.
Quanto emerso dalla consultazione con i Lavoratori non ha fatto che giustificare i gravi timori a suo tempo espressi da queste Rappresentanze, e confermare le ragioni della loro decisa contrarietà rispetto all’applicazione dei CDS, ragioni che qui si intende riassumere e ribadire.
Innanzitutto, l’evidenza dei fatti dà quotidiana conferma di come la forzata riduzione dell’orario di lavoro abbia comportato ricadute, pesanti quanto inevitabili, sull’attività della Fondazione, determinando non solo la drastica riduzione della produttività dal punto di vista quantitativo e il costante rischio di pericolosi sbalzi del livello qualitativo (essendo impensabile che potenzialità professionali ed artistiche pur all’altezza dei migliori standard nazionali possano conservarsi indenni in una programmazione ormai tendente all’episodicità), ma anche l’estrema difficoltà – sperimentata ogni giorno da tutti i reparti del Teatro – a conciliare le pur minime esigenze di produzione con le ferree gabbie di un regime contrattuale nato in contesti del tutto diversi e, non a caso, mai prima d’ora applicato a un Teatro lirico.
In un momento nel quale tutte le Fondazioni lirico-sinfoniche italiane, alle prese con problemi economici, finanziari e patrimoniali non meno gravi dei nostri, fanno il possibile per intensificare produzione e visibilità, il costante rarefarsi della programmazione sta portando il nostro Teatro al progressivo ed inevitabile deterioramento del fondamentale rapporto con il suo pubblico, deterioramento di cui ciascuno ha dovuto prendere atto in occasione delle ultime recite di “Pagliacci”: produzione di qualità altissima, la cui deludente risposta in termini di affluenza di pubblico costituisce un campanello d’allarme che non è lecito sottovalutare.
Com’era stato ampiamente previsto, e come ora è giocoforza constatare, il ricorso ai CDS si è dimostrato del tutto incompatibile con le naturali condizioni di vita di un Teatro e, a maggior ragione, diametralmente antitetico a qualsiasi ipotesi di rilancio; laddove, a fronte di ciò, tutte da dimostrare restano le ragioni di chi a suo tempo lo propose – e di fatto, a nostro avviso, lo impose - ai Lavoratori, indicandolo quale passaggio obbligato verso il risanamento e unica via di scampo dall’incombente liquidazione coatta amministrativa della Fondazione.
Al contrario, queste Organizzazioni Sindacali ritengono che una seria verifica della reale incidenza dei CDS sulla risoluzione della crisi economico-finanziaria del Teatro non potrà che dimostrarne l’assoluta inadeguatezza anche sotto questo profilo, soprattutto in una valutazione complessiva del rapporto fra costi e benefici che tenga conto della perdita secca di pubblico, del danno all’immagine e del conseguente mancato afflusso di contributi privati, così come della probabile penalizzazione nella futura ripartizione del FUS, esito di una produttività gravemente ridotta.
Ciò risulterà ancor più evidente assumendo quale termine di paragone la proposta alternativa a suo tempo presentata da tutte le Rappresentanze Sindacali in sede di trattativa; proposta che – a fronte di un sacrificio economico dei Lavoratori analogo a quello dei CDS – avrebbe positivamente inciso sui conti della Fondazione senza detrimento della piena operatività del Teatro (e senza ombre, neppure ipotetiche, sulla salvaguardia di tutti i posti di lavoro), e che, come si ricorderà, fu accantonata di punto in bianco, con un vero e proprio colpo di mano che sfociò nell’accordo separato sui CDS fra la Fondazione e metà delle Rappresentanze Sindacali e, di fatto, in quella spaccatura fra i Lavoratori da considerare, degli effetti perversi dei CDS, non il meno nefasto.
Alla luce delle considerazioni qui esposte, le scriventi Organizzazioni Sindacali chiedono che la Fondazione, riconosciuto il sostanziale insuccesso dei Contratti di Solidarietà, elabori un iter realistico, ma chiaro e inequivocabile, verso il ristabilimento di quelle normali condizioni operative, produttive e contrattuali che costituiscono per il nostro Teatro l’unico possibile presupposto a un cammino di rinascita e di sviluppo; e dichiarano che, qualora il loro appello dovesse cadere nel vuoto, si attiveranno con la massima energia e con tutte le iniziative a loro disposizione affinché il Teatro possa finalmente allontanarsi da un percorso palesemente fallimentare e ineluttabilmente indirizzato alla destrutturazione e alla paralisi.
FIALS-CISAL SNATER-USB LIBERSIND-CONFSAL
Nicola Lo Gerfo , Carmine Del Regno, Marco Raffo |
Sabato 23 Aprile 2011 09:32 |
Liegi
Un felice debutto quello di Fabio Armiliato, in quello che è giustamente considerato le role-fétiche per ogni tenore verdiano e direi, più in generale, per ogni tenore che voglia definirsi tale.
L'Otello di Verdi sbarca dunque a Liegi nella nuova produzione fortemente voluta dal suo direttore artistico, Stefano Mazzonis di Pralafera, che ne cura anche la regìa. Quasi interamente italiano il cast: con Armiliato la Desdemona di Daniela Dessì, lo Jago di Giovanni Meoni, il Cassio di Cristiano Cremonini, il Rodrigo di Luciano Montanaro, la concertazione di Paolo Arrivabeni. Un grandissimo successo per tutti, è bene dirlo in apertura, con continui applausi a scena aperta e un trionfo al termine della rappresentazione.
Essendo in restauro lo storico Teatro d'Opera della cittadina belga, la stagione viene realizzata all'interno del Palafenice....sì...proprio lui....acquistato direttamente da Mazzonis, dopo che per oltre un decennio la Fenice lo aveva noleggiato dal Circo Togni. La struttura è d'emergenza ma estremamente funzionale: un lungo palco sormontato dalle “americane”, cioé dal ring delle luci, la buca ricavata alla meglio per ospitare la grande orchestra, con un effetto acustico abbastanza buono che non richiede amplificazione alcuna.
Magnifico l'allestimento, con la regìa di Mazzonis che per fortuna è assolutamente rispettoso della drammaturgìa e dell'ambientazione tradizionale, con costumi stupendi firmati da Fernand Ruiz, tra i più belli che si siano visti in “Otello”, curati nei minimi dettagli e messi in risalto dalle luci che ne captavano ogni riflesso.
Fabio Armiliato opta per un Otello assolutamente “dentro” la parte, frase per frase. Raramente si assiste a una recita in cui l'immedesimazione scenica giunge a tali punti di vigore drammatico ed emozionale, al punto da far temere seriamente per l'incolumità della Desdemona. Il suo è un Otello vigoroso, passionale, in cui l'aspetto giovanile e baldanzoso prevale sulla versione crepuscolare, depressa, offerta da altre interpretazioni: un Otello che scatta come una molla fin dal primissimo sospetto, all'inizio del II atto, e che non cerca toni sommessi e disperati, ma piuttosto è incline a un canto diretto, veemente, con uno strettissimo legame tra parola e azione. Impressionante nell'Esultate iniziale, giocato senza risparmio, Armiliato cerca di scolpire ogni frase come fosse un monumento a sé stante, dando carattere e senso al fraseggio e ai colori richiesti da Verdi. Il primo, ma soprattutto il terzo e il quarto atto sono quelli in cui il tenore genovese trova l'acme della sua interpretazione, giungendo a un monologo (“Dio mi potevi scagliar”) e al “Niun mi tema” finale con una solidità e una carica drammatica di grande impatto emotivo.Se un piccolo rimprovero può essere mosso è quello di aver, soprattutto nel terribile secondo atto, allargato un po' troppo la zona centrale della voce, cercando toni ancor più corruschi e drammatici, quando sarebbe stato meglio invece giocare su toni più discorsivi e sfumati, onde superare con squillo e facilità tanti passaggi vocalmente impervii (“...amore e gelosia vadan dispersi insieme”, “della gloria d'Otello è questo il fin”, il duetto finale “Sì per ciel”, comunque risolti con baldanza). Ma sono cose che è l'esperienza e la consuetudine in scena che insegnano. Le repliche aiuteranno Armiliato a frenare il temperamento e a giocare d'astuzia , dosando le forze e distribuendole con sagacia. Va comunque ascritta una lettura molto intensa, da Artista con la A maiuscola, e sulla linea della grande tradizione italiana (si sente che Fabio Armiliato studia e conosce le importanti registrazioni del passato.
D.Dessì
Con estrema naturalezza l'esperta Desdemona di Daniela Dessì segue fedelmente il tracciato verdiano e gioca sulle delicate mezzevoci, sui pianissimi eterei, puntando su un personaggio remissivo e rassegnato al suo destino , come in fondo Desdemona è. Nei punti nodali, cioé nei grandi voli melodici dei concertati e dei duetti, la Dessì tira fuori le unghie e lo fa con intelligenza, senza mai forzare o uscire da una linea nobile e lirica. L'Ave Maria , il duetto del I atto e lo scontro violento del III sono il nucleo della sua interpretazione.
G.Meoni
Lo Jago di Giovanni Meoni è nobile, misurato, non indulge mai a “effettacci” e punta tutto sulla parola scandita, chiara, che privilegia quindi l'aspetto ambiguo e viscido dell'alfiere della “moresca signorìa” di Cipro. Una magnifica figura perfettamente in sintonìa con la coppia Armiliato-Dessì.
Molto buono il reparto dei comprimari e la prestazione di Coro e Orchestra dell'Opéra Royal de Wallonie, con il maestro Marcel Seminara a capo del Coro.
La compattezza e la varietà dei colori della compagine è assicurata dal lavoro meticoloso del direttore stabile, Paolo Arrivabeni, che oltre a garantire la precisione mantiene un ottimo equilibrio con il palcoscenico, non sovrastando mai le voci e scegliendo tempi sempre molto calibrati alle esigenze di ogni singolo interprete. Una lettura pulita, tersa, di grande impatto. Anche a lui sono andati i calorosi applausi del pubblico, al termine e all'entrata , prima del III atto.
http://youtu.be/ziPDAv6PxgQ |
Domenica 17 Aprile 2011 13:13 |
Un flop clamoroso. Di pubblico e critica. Il Pierino e il Lupo
con Marco Carta voce recitante si rivela un autogol per il
Teatro Lirico. Oltre al mancato incasso, con le due logge
completamente vuote e la platea con molti posti liberi, le
recensioni dello spettacolo sono impietose.
Per l'Unione Sarda si salvano solamente il coro e
l’orchestra, mentre la lettura di Carta è definita "piatta e
senza intonazione, pericolosmante vicina ad un saggio
scolastico". La Nuova Sardegna parla di una "popstar
spaesata".
Commento:
Se fossi Carta querelerei chi mi ha scritturato.
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Venerdì 15 Aprile 2011 08:40 |
Il teatro Verdi di Salerno è la più piacevole sorpresa che possa oggi riservare l'Italia musicale. A 30 km da Napoli, che contiene in sé oltre ai problemi di immondizia che tutto il mondo ormai conosce anche il prezioso San Carlo ridotto a una larva di sé stesso, Salerno risponde con un meccanismo virtuoso che assomma le migliori condizioni per far funzionare un teatro d'Opera: poca spesa, massima efficienza, ottima scelta dei titoli e dei cast artistici.
Merito del direttore artistico Daniel Oren e del suo factotum, Antonio Marzullo, e di tutto lo staff di un teatro agilissimo e professionale, che si muove senza sprechi e senza troppe chiacchiere. Un teatro modello.
Reduce dai “Puritani” di Bellini , opera-spauracchio per qualsiasi Fondazione grande o piccola che sia, devo dire di aver respirato nuovamente l'aria del Teatro come dovrebbe sempre essere. Il primo plauso all'Orchestra e al Coro del Teatro Verdi, che mi ha impressionato per la precisione e la qualità: attacchi puliti, strumenti intonati (soprattutto la sezione degli ottoni, impegnatissima in quest'opera) , impatto vocale del Coro notevolissimo , con risultati davvero eccellenti in tutte le sezioni. Si sente che hanno provato ma soprattutto hanno provato bene!
Sul podio Yoram David, che ha aperto molti tagli e ha impresso alla partitura un andamento serrato ma mai soffocando le voci, anzi, seguendo il canto di ogni protagonista con amorevole attenzione.
C.Albelo
Arturo, parte acutissima scritta per Rubini, è Celso Albelo, ormai affermatosi come un magnifico tenore belcantista. Il suo modello è Alfredo Kraus e il suo canto è un canto che pensa, come Kraus, ai suoni alti, in maschera. Questa emissione gli consente di controllare il suono in ogni passaggio, anche il più ostico, e di salire vittoriosamente ad acuti e sopracuti, compreso il temibile fa che Albelo esegue con voce appoggiatissima e miracolosamente omogenea. Nonostante un grave lutto subìto nei giorni che hanno preceduto la Prima, costringendolo a partire per le natìe Canarie e saltando la prova generale., Albelo ha dato prova di essere bravo due volte e merita un elogio a parte per questo.
J.Pratt
Il soprano Jessica Pratt, formatasi alla scuola di Renata Scotto, ha sfoggiato una emissione delicata e agilissima, superando indenne tutti gli ostacoli tecnici e pirotecnici di cui è disseminata la parte di Elvira, con il culmine nella scena della Pazzìa e nel grande duetto del III atto.
Nobile e morbido è apparso il baritono Gabriele Viviani, molto elegante nell'aria di sortita “Ah, per sempre io ti perdei” e incisivo nei passaggi veementi, sia nel duello col tenore sia nel duetto con il basso. Un bellissimo timbro e un artista completo. Consiglierei in futuro di affrontare la parte acuta della sua gamma con meno timor panico e quindi meno spinta: ma credo sia una questione di esperienza e di sicurezza in sé stesso.
Lorenzo Regazzo è stato un Sir Giorgio di grande autorevolezza, attento al fraseggio e di perfetta dizione, applauditissimo nel duetto “Suoni la tromba” assieme al baritono.
Una menzione a parte per la affascinante Enrichetta di Francesca Franci e per le tonanti frasi cantate da par suo da Angelo Nardinocchi.
La regìa, nella più assoluta e didascalica tradizione, era di Riccardo Canessa che si è limitato a narrare la vicenda senza soverchie idee o strampalate soluzioni (cui purtroppo siamo abituati a vedere). Un po' troppo statico il Coro, ma considerando il grande impegno vocale e i limitati spazi del palcoscenico, la resa è stata più che funzionale.
Un enorme e meritatissimo successo per tutti . |
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