Una delle clamorose novità del Rigoletto di Verdi è la questione del protagonista gobbo. Nei drammi di Victor Hugo i deformi, i miserabili, i diseredati occupano un posto particolare…pensiamo all’altro grande gobbo, che è Quasimodo, il gobbo di Notre Dame.
La censura del tempo mal digerì questa gobba, tanto che come si è già accennato, Verdi dovette imporla con forza. Ancora oggi è facile che Rigoletto si presenti, in talune regìe, gobbo …ma per finta: un celebre allestimento all’Arena di Verona propose un Rigoletto che , a un certo punto, si toglieva la gobba e la scagliava con rabbia per terra, a significare la sua ribellione al giogo della corte di Mantova.
Sarà il caso ora di aprire una parentesi curiosa, che ci farà scoprire una serie di gobbi e di gobbe del tutto imprevedibili, saltate fuori sulle rive del Mincio…
Pare infatti che ,storicamente, presso la corte dei Gonzaga a Mantova la gobba fosse di casa....una vera e propria maledizione…
Partiamo dall’inizio.
La gobba venne “importata” a Mantova dal primo Marchese, il potente Gianfrancesco, che si maritò con la ricchissima figlia del signore di Rimini, Paola Malatesta, ricca sì ma non particolarmee affascinante e…inequivocabilmente gobba.
La gobba come si sa è tara ereditaria. Si salvarono i figli di Paola e Gianfrancesco,ma non i nipoti: gobbo l’erede Federigo, gobbe le figlie Susanna ,Cecilia e più di tutte Paolina, che il Mantenga coprì con un pesante e pietoso mantello nel ritratto della “Camera degli sposi”.
Proprio Paolina , unica tra le figlie, trovò marito nel tedesco Conte di Gorizia, uomo piuttosto grossolano nei modi e in verità poco adatto a una sposa così delicata. La maledizione non tardò a colpire:salvatisi la bella Barberina e il cardinale Francesco, toccò alla sfortunata Dorotea di ereditare la gobba materna:umiliata e malaticcia, morì ad appena diciotto anni.
Tristissima vicenda, cui fa da contraltare la rassegnata saggezza del marchese Federigo, definito da un cronista rinascimentale “gobbo cortese e piacevole”, inclinato alle arti e alle tecniche guerresche, che aveva sposato nel 1463 la bionda e bellissima Margherita di Baviera, assicurandosi una progenie perfettamente dritta e aitante.
Il ritratto, certamente "ritoccato" dal pittore, propone tuttavia un modello di gobbo belloccio cui pare essersi ispirato Domingo, per il suo Rigoletto mantovano "nei luoghi e nelle ore".
La maledizione delle gobbe non era certo terminata.
Risparmiata la generazione di Francesco Gonzaga, il prode condottiero che aveva liberato l’Italia dal giogo di Carlo VIII, e quella dei suoi figli, ecco riapparire la gobba nel nipote, figlio del primo Duca mantovano Federigo II.
E’ il Duca Guglielmo , la cui triste…ricurva immagine ci viene restituita dalla celebre tela del Rubens, intitolata “Famiglia Gonzaga in adorazione della Trinità”.
T: Le dita adunche, nodose e serrate più che congiunte per la preghiera, le palpebre abbassate, lo sguardo livido dell’appena dodicenne duca Guglielmo, sembrano l’immagine di un futuro despota, di un tiranno .Così non fu, poiché il suo regno portò pace, prosperità e abbondanza a Mantova e nel Monferrato.
Per quei giochi che solo il destino sa organizzare, il figlio del gobbo duca di Mantova e di Leonora d’Austria, figlia …non bella… dell’Imperatore Ferdinando I d’Asburgo e per questo destinata ad altrettanto orridi regnanti senza gradi doti, fu un uomo di rara bellezza e tra i più corteggiati del tempo, il Duca Vincenzo Gonzaga, proprio colui cui si ispirò Verdi per il personaggio del Duca di Mantova.
Si nota la somiglianza tra il bel Duca Vincenzo Gonzaga con il giovane Alfredo Kraus, uno degli interpreti storici del ruolo verdiano.
E qui il cerchio si chiude, esattamente come la maledizione di Monterone!
Se osserviamo oggi i ritratti che Domenichino e Rubens ci hanno lasciato di Vincenzo Gonzaga e dei suoi figli: belli, così rosei e biondi, così sani, così apparentemente baciati dalla fortuna ma poi nella realtà della vita così inetti e rovinosi, vien fatto di pensare che, in fondo, ben più fortunati davvero furono Ludovico e Barbara e i gobbi Federigo e Guglielmo.
Non si può che constatare che, sparita la gobba dalla spalla dei duchi, sparì anche la fortuna - quella vera, quella della sostanza e non delle apparenze - dalle sorti gonzaghesche e mantovane…
Si insinua allora in noi una un raggelante sospetto, un inquietante interrogativo: "Che la gobba porti veramente fortuna?".
Il cantante è uno strumento a fiato. Se non vi fosse il fiato a sostegno di ogni suono diventeremmo tutti cianotici e i suoni emessi sarebbero simili a quelli d’un vaporetto sgangherato.
Sembrerà incredibile ma, dalla mia esperienza, ho rilevato che la maggior parte dei maestri di canto non spiega esattamente come si respira oppure fornisce una serie infinita di dati tra loro spesso contrastanti. Perché? E’ un vero mistero a cui non riesco a dare una spiegazione , ma solo supposizioni.
"Dalla fredda indifferenza che in moltissimi Vocalisti scorgesi per la Professione si conghiettura, che aspettino la Musica supplice in atto implorando la grazia d’essere benignamente accettata dalla loro generosa bontà come umilissima, e obbligatissima serva. Se tanti, e tanti non fossero persuasi d’aver abbastanza studiato non sarebbe così raro il numero degli ottimi, né così folto quello degl’infimi. Questi per dire a mente quattro Kirie pensano d’essere arrivati al Non plus ultra; Se poi lor presentate una Cantata facile, e ben copiata, allora invece di soddisfare al debito coll’impegno, vi diranno con impudente disinvoltura Che gli uomini grandi non sono obbligati di cantar volgare all’improvviso. E chi non riderebbe! Quel Musico che sa che le parole o latine, o italiane che sieno, non fanno cangiar forma alle note, s’immagina subito, che il pronto ripiego di quell’Uomo grande, nasca dal non cantar franco, o dal non saper leggere, e l’indovina." (Tosi, Opinioni de' cantori antichi e moderni, 1723)
Intanto i vari manuali e i saggi della cosiddetta Scuola antica (dai trattati del Tosi e del Mancini, per intenderci, si parla di circa due secoli e mezzo fa) hanno la singolare e precipua caratteristica di essere involuti, complicati da una scrittura pomposa, spesso indecifrabile.Ne sia prova la pur breve citazione in blu che ho riportato sopra!
Inoltre non si soffermano a lungo sulla questione del corretto meccanismo respiratorio, quasi l'argomento non avesse importanza.Bisogna poi considerare che nel Canto si procede sempre in modo empirico, quindi ogni cantante ha delle sensazioni” fisiche emettendo un suono che magari non corrispondono al meccanismo effettivo della sua respirazione. Mi è capitato spessissimo di ascoltare grandi artisti incapaci di spiegare come respirassero ; mi è capitato altresì di leggere teorie completamente differenti e addirittura opposte tra loro. Di solito il frasario “respiratorio” recita questi immancabili versetti:
Bisogna respirare col diaframma
Bisogna respirare “basso”
Guai a respirare “alto”
Guai ad alzare le spalle durante l’inspirazione
Guai a cantare sollevati sulle punte
Riempi bene anche la schiena d’aria
Poggia bene sulle gambe durante l’espirazione
Bisogna cantare “in apnea”
Siamo già al Codice per iniziati, roba da terrorizzare anche il più audace tra i volenterosi. Vi sono naturalmente delle verità in questi precetti e alcuni luoghi comuni: il diaframma, cioè il muscolo che separa i polmoni dalla gabbia toracica, è un muscolo “involontario” ; respirare basso è un’idea, una sensazione (forse è meglio pensare che i polmoni siano più larghi sotto che sopra); le spalle, in molti cantanti, si alzano eccome (Del Monaco, Nilsson,Blake), in altri non si muovono (Corelli, Lauri Volpi,Cappuccilli, Devìa), dipende dalle singole fisicità; il canto in apnea è un’altra sensazione, poiché cantare non corrisponde esattamente a immergersi negli abissi come facevano Majorca e Mayol. Non parliamo poi di quei terribili tomi pieni di immagini che dovrebbero aiutare un cantante e invece lo terrorizzano: scheletri, foto , patologìe orribili, anatomie sezionate. Praticamente un film di C.S.I.
L'immagine qui sotto è tuttavia abbastanza chiara:
Di solito i grandi cantanti respirano tutti allo stesso modo.
Nella fase dell’inspirazione viene preso fiato dal naso (è una buona abitudine, per non seccare le mucose della gola e non aspirare polveri nocive,umidità,ec.) : la gabbia toracica si allarga, il diaframma compie il suo bravo movimento involontario, la zona che deve ampliarsi è una sorta di “cintura” che parte dall’addome per interessare anche la schiena , come una fascia elastica che si gonfia. Durante questa fase la zona clavicolare deve essere esclusa (sebbene i polmoni si riempiano comunque anche nella loro zona apicale), le spalle non devono possibilmente muoversi. Non è necessario gonfiarsi come dei canotti o dei palloni aerostatici! Se si osservano i filmati di Kraus o Corelli, che pur avevano fiati interminabili, la presa di fiato è impercettibile.
Nella fase dell’espirazione , quindi nel momento in cui il fiato si trasforma in suono e viene emessa la voce, il fiato va in qualche modo dosato e regolato, affinché non vada via subito, tutto insieme.La sensazione è quella di trattenere tesa la cintura intercostale che si era formata prima , aiutandosi con i muscoli della fascia intercostale e addominale. Kraus parlava di una membrana tesa “all’infuori”, che non doveva mai cedere; Sesto Bruscantini, il grande baritono che proprio con Kraus si perfezionò, usava un cinturone per “appoggiarvi” i suoni: lo stesso Fiorenza Cossotto ,che usava invece una rigida panciera, e così Giorgio Merighi, che senza la sua provvidenziale cintura non andava in recita.
In questo raro filmato, risalente al 1992, sia Merighi che la magnifica Dimitrova danno un esempio mirabile di canto "sul fiato", così come dovrebbe essere SEMPRE.
Pavarotti , ai suoi allievi, poneva il pugno sull’addome e poi li invitava a cantare: in pratica, per non soffocare, si veniva costretti a contrapporre la propria spinta muscolare a quella della mano di Lucianone: un bel training.Le cantanti antiche usavano i bustini, con i lacci ben stretti. Il baritono Valdengo mi raccontò del suo incontro con Beniamino Gigli che, vedendolo giovane ,magro e asciutto, disse:” Sicuramente non canti ancora bene , hai la pancia a pisciatoio (cioè concava, all’indentro). Quando sarai rotondo come me, allora canterai bene.” Gigli non intendeva “rotondo” per “grasso”, ben inteso: parlava ovviamente del muscolo, che inevitabilmente si forma appoggiando e sostenendo il suono per il canto lirico.
Maestri indiscussi di canto 'sul fiato' sono stati Carlo Tagliabue, Tito Schipa, Piero Cappuccilli, Magda Olivero, Carlo Bergonzi . In genere, come si è detto: tutti i grandi cantanti.
Si è constatato che una corretta respirazione favorisce quasi automaticamente l’apertura della gola:esattamente come avveniva quando eravamo in fasce o come avviene, istintivamente, negli animali. Provate a guardare un cane mentre respira o quando abbaia: noterete come allarga le costole e come usa i muscoli del pancione:quella è la respirazione giusta.
Baldracca, dramma per musica di Antonio Draghi,1679
BALDRACCA, Dramma per musica, nel felicissimo dì natalizio, della S.C.R. maestà dell’Imperatrice Eleonora Maddalena Teresa, per commando della S.C.R. maestà dell’Imperatore Leopoldo et alla med.ma Maestà consacrato, l’anno MDCLXXIX, posto in musica dal S.r. Antonio Draghi, intendente delle musiche teatrali di S.M.C. e M.to di Cap. della Maestà dell’Imperatrice Eleonora, con l’arie de li balletti del S.r. Gio. Henrico Smelzer, V.M.to di Cap. di S.M.C. , in Vienna d’Austria, per Gio: Christoforo Cosmerovio, stampatore di S.M.C.
“Eccovi, Aug.mo Cesare, l’ubbidienze della mia penna votiva alla felicità della vostra gloriosissima sposa. Così vi faccia tributo il cielo della più serena influenza, e omaggio il mondo de’ più umili ossequij. Ha già la vostra augustissima sposa ingemmato il cesareo diadema di preziosissima gioia. Proseguisca ad arricchirlo con felice fecondità, acciò vi risplenda sull’eroiche tempie ognora più luminoso:onde se n’abbagli l’emulazione e se n’accechi l’invidia. Crescano per sempre le vostre glorie, e faccia il Dator delle Grazie che siate la base della quiete dell’Universo: e vi costituisca l’Achille de’ regni: ond’ habbiate in mano l’ hasta che ferisca, e risani; cioè in vostro arbitrio e le guerre, e le paci. Arrida con baleni di prosperità il cielo a’ miei voti: mentre io, supplicando compatimento alle mie debolezze, lu:te alle M.V. m’inchino di V.S.C.R.M.
Vienna li 6 gennaio 1679
Humm:mo Div:mo e Riv:mo Servo Nicolò Minato
“Baldracca fu bellissima donzella, di bassi e poverissimi natali, ma di rara virtù. Ne fu ardentemente innamorato Ottone imperatore: ma non la poté vincere né con le lusinghe né con doni, né con minacce, amando Ella più di morire povera e casta, che vivere arricchita e impudica: in modo che Ottone, finalmente mosso dalla virtù, e destato dalla pudicizia alla magnanimità, lasciatala intatta, la dotò abbondantemente; e sposolla ad uno de’ suoi più favoriti di corte. Hebbe Ottone nel tempo del suo imperio molte acerbissime guerre: e fu in ciascuna vincitore. Una fra le tante gli fu mossa da Henrico, suo minor fratello: pretendendo che la corona e l’Imperio a lui spettasse; e questo per essere nato mentre il padre era già imperatore, e Ottone avanti che fosse stato assunto a quella corona (…) sopra questa guerra e sopra questi amori s’è intrecciato il presente drama: con l’aggiunta de’ verisimili che si riconosceranno invenzioni, da confronto con le letture del Volaterrano che historicamente li scrive, e s’è intitolato