Chi normalmente frequenta il teatro d'Opera o chi semplicemente ascolta dischi di musica operistica avrà notato, oggi, una certa confusione per quanto riguarda i parametri canori classici. Baritoni che cantano da tenore, tenori che cantano da baritono, bassi che sembrano tenori, soprani corti che cantano da mezzosoprano, mezzosoprani che vogliono a tutti costi cantare da soprano drammatico, voci ibride che non sapresti a quale categoria assegnare e che pure cantano "Norma" con apparente disinvoltura. Tale babelica confusione trae origine, per me, dalle conseguenze a vasto raggio del cosiddetto "villaggio globale" . La globalizzazione è appunto un grande minestrone in cui tutto si mescola perché tutto è ,in fondo, uguale. Lodevole idea per quanto riguarda le razze, i popoli e l'iniqua piaga della xenofobìa, che tutti condanniamo. Ma nel Canto e nell'Opera la globalizzazione è quanto di più pernicioso e, di fatto, impossibile possa essere concepito. Le categorie vocali nascono per precise esigenze stilistiche, vocali, drammaturgiche e un tenore resta un tenore, così come un baritono, un basso, un soprano e un mezzosoprano sono tali perché obbediscono a canoni e regole precise.
Si nasce con una voce che è quella , per evidenti caratteristiche fisiche : il timbro, il colore della voce, è appunto determinato da parametri molto personali, dalla lunghezza o larghezza delle corde vocali per esempio, dalla conformazione dell'apparato laringeo, da tanti fattori che non starò qui ad enumerare e che ognuno potrà verificare sui propri 'motori di ricerca'.
Quello che ora vorrei porre in risalto è invece il prolificare, in questa confusione, dei cosiddetti cantanti "ingolati" , cioé di quegli artisti (anche bravissimi, per carità) che invece di usare le cavità di risonanza alte (la cosiddetta maschera) , usano la falsa cavità e cioé la gola.
Non si usa la gola per gioco, per pigrizia o per comodità ma per difetto di impostazione, per studio iniziale non corretto. La gola conferisce alla voce un colore apparentemente più scuro, più rotondo, in certi casi (le cosiddette "gole d'oro" o "gole di ferro") anche più bello rispetto a una voce "in maschera".
Il canto “in maschera” è in effetti un vero e proprio totem. Si intende :la posizione del suono nelle giuste cavità di risonanza, che sono per tutti quelle del volto (fronte, zigomi, palato, naso…). La “maschera” aiuta ovviamente a proiettare la voce il più distante possibile: gli antichi attori delle tragedie greche, all’aperto, usavano appunto delle maschere teatrali per ampliare la voce, come dei megafoni.
Perché è bene cantare in maschera?
L’uso sapiente di queste risonanze aiuta soprattutto a non stancarsi. Molti cantanti fanno splendide carriere con un buon numero di difetti d’emissione (pensiamo a nomi mitici come Tito Gobbi, evidentemente ingolato sugli acuti ma incredibilmente espressivo ed emozionante come si evince da questo ascolto tratto dal "Macbeth" di Verdi.
Un orecchio attento e mediamente esperto avrà colto la gola chiusa ogni volta che la voce di Gobbi deve salire oltre il re, fino a un quasi impossibile fa diesis acuto e a una chiusa (sa-rà) in cui si percepisce benissimo il "raschiare" tipico di chi usa la gola. Ma ciononostante Gobbi è Macbeth, forse più di chiunque altri, per l'espressione, l'abbandono, il senso del dramma. Un tipico (e non raro) caso di cantante ingolato ma....eccelso.
Un caso diverso è quello del cantante prettamente "nasale" ,cioè colui che sfrutta le risonanze alte e precipue di quella parte della maschera. Questo tipo di cantante avrà la tendenza a schiacciare i suoni , magari anche a rendere qualcuno petulante, da “bambino cattivo” (soprattutto sulla vocale “e” e “i” in zona acuta), ma che terrà preservata la gola da sforzi e pressioni più di un cantante che sfrutta la cosiddetta “falsa cavità” (che è, come si è detto, la gola, il canto laringeo), destinato a un declino prematuro e a una limitazione notevole nel repertorio. Con questo non si vuole certo lodare l’emissione nel o con il naso, che può risultare spesso molto sgradevole.
Nel Brindisi testé ascoltato, con Giuseppe Sabbatini, Vincenzo La Scola e Neil Shicoff (2006) si potrà notare benissimo la differenza sostanziale tra una emissione "nasale" (Sabbatini) e una più ortodossa (La Scola) , che sfrutta cioé una cavità meno ristretta.
Domingo, citato prima, ha saputo usare a meraviglia le risonanze rinofaringee, tanto da riuscire a cantare per oltre 50 anni un repertorio smisurato, non solo da tenore ...ora anche da baritono. Il suo è un caso a parte: non già una "gola d'oro" (anche quella, poiché il colore di Domingo e la sua resistenza sono eccezionali) ma direi piuttosto un "naso d'oro" , visto che in quel beato anfratto si cela il segreto, il Santo Graal del tenore madrileno.In possesso di un la bemolle ottimo, di un la ancora squillante e di un laborioso si bemolle, Domingo riesce tuttavia a salvarsi (per il rotto della cuffia) persino in una terribile aria come "Celeste Aida", in cui la tessitura è davvero improba.
Aureliano Pertile , sommo “tecnico” della vocalità, consigliava di trovare immediatamente il punto di risonanza della propria voce (il “focus” vocale, per l’appunto), cioè quel magico “buco” dove infilare tutti i suoni, uno dentro l’altro o uno dietro l’altro. Anche qui, come per la respirazione, una pletora di sensazioni e di teorie. La Nilsson mi disse che il suo punto focale era collocato tra gli occhi; il soprano Margherita Rinaldi, rinomata docente, parla di un suono al centro del palato duro; la Dimitrova diceva che i suoni si spostavano, i più gravi erano sul palato dietro agli incisivi, poi man mano che si saliva verso acuti e sopracuti, ci si spostava prima al centro del palato poi dietro, verso il centro della testa.
Kraus insisteva sull’utilità degli zigomi, per “tirare” su la voce verso la maschera, e utilizzava “il sorriso” per gli estremi acuti; così anche il grande Nicolai Gedda.
Molto dipende dalla fisionomia di ogni cantante: chi ha il volto rotondo e la bocca piccola non potrà mai atteggiarsi come chi ha un volto allungato o un nasone prominente con la bocca larga. Contano le risonanze interne, caso mai, cioè la gola aperta .
Mi ha sempre molto colpito un precetto esposto ossessivamente da Luciano Pavarotti:” Per cantar bene e giusto la voce deve essere sempre alta, piccola e raccolta.” E' esattamente così che Pavarotti ha cantato tutta la sua vita, giungendo anziano a una invidiabile freschezza timbrica e ampliando via via il proprio repertorio.Nel 1996, a 35 anni dal debutto, cantò in modo esemplare (tecnicamente parlando...sullo stile si può eccepire) "Andrea Chénier".
A ben vedere è la regola di moltissime voci illustri: da Schipa a Valletti, da Bidù Sayao a Bjoerling, da Fleta a Pertile, da Gigli a …Pavarotti.
Stavo guardando con attenzione un video di Mario Sereni (immenso baritono) due giorni fa: sui sol acuti la bocca non si spostava d'un millimetro, rispetto ai centri poiché l'apertura era tutta interna.Il documento in questione è alquanto precario: una recita all'aperto, nel 1980, con una straordinaria Mariella Devìa (altra maestra assoluta di tecnica).
Lo stesso faceva Aldo Protti, mentre nel faccione tutto occhi e zigomi della Callas (altra super-tecnica) si nota benissimo il sistema del 'sorriso'.
Tradotto in termini più accessibili : posizione del suono alta (in maschera), suono piccolo (al proprio orecchio “interno”, ma che diventa grande per chi ascolta da fuori: un altro paradosso del canto) e raccolto (altro termine facile da equivocare: è un suono leggermente scuro, arrotondato, che poggia soltanto sul fiato). Un esercizio molto utile per proiettare la voce in maschera è quello di alzare le arcate sopraccigliari mentre si sale agli acuti: raramente chi aggrotta le ciglia salendo, usa correttamente la maschera.Un esempio preclaro in questo senso è dato dalla fenomenale Joan Sutherland, qui nei "Masnadieri" di Verdi, parte scritta per l'usignolo svedese Jenny Lind.
Da controllare anche con uno specchio il movimento dei muscoli facciali, collocati all'altezza degli zigomi: se lavorano e si sviluppano....buon segno.Chi canta bene di solito ha questi muscoli molto sviluppati.Chi canta male tende invece ad avere sviluppata la falsa cavità, cioé la pappagorgia. Si osservi bene anche la lingua: se salendo verso gli acuti tende a salire o a sollevarsi come un materassino gonfiabile...brutto segno...vuol dire che la gola sta entrando in gioco.
Vi sono molti cantanti attuali che cantano usando più la gola che la maschera: la Netrebko, per esempio, un colore stupendo ma , com'è tipico di certa scuola russa, molta gola. Kaufmann, il superdivo del momento, usa moltissimo la gola intesa come falsa cavità, tuttavia riesce a risolvere la zona acuta grazie a un uso molto buono del fiato.
Rolando Villazon, dopo una serie di operazioni foniatriche ha dovuto interrompere la carriera, in giovane età. Gli auguriamo, ovviamente, di riprenderla magari con una tecnica più accorta e meno legata all'imitazione (errata) di Domingo.La Dessay, strepitosa artista , ha subìto parimenti varie operazioni, proprio per l'abuso di note (soprattutto sopracute) emesse in modo non proprio ortodosso, seppur spettacolare. Di solito i problemi iniziano dopo il 35mo anno di età, quando la fibra non più freschissima non può più sopperire ai problemi di ordine tecnico.
Il Direttore d'orchestra, meglio identificabile come "maestro concertatore e direttore d'orchestra", può essere considerato il baricentro dello spettacolo d'opera. Per molti ignari è una specie di vigile urbano o di tergicristallo, un signore che si agita su un podio, non si sa bene perché; in effetti ogni maestro che si rispetti è un pò schizzato, nevrotico, ma deve celare con abilità le sue ansie per infondere tranquillità e sicurezza al cast, agli orchestrali, ai responsabili del Teatro e al pubblico. Sul fatto che sia determinante per la riuscita dello spettacolo non vi sono dubbi: è lui il supremo garante della partitura, il depositario del sacro volere dell'Autore, colui che conosce ogni nota ogni indicazione e qualunque trabocchetto. E' il Maestro (con la maiuscola, mi raccomando) che deve completare in ogni suo tassello e nel miglior modo possibile questo intricatissimo puzzle.
Avete mai osservato con attenzione gli occhi dei cantanti? Verso chi sono puntati? In certe recite zoppicanti, messe in piedi con scarse o nulle prove, gli interpreti sono impalati e praticamente ipnotizzati, lo sguardo fisso sulla bacchetta che generosamente distribuisce attacchi, scansioni ritmiche, blocca intemperanze, riprende catastrofiche uscite, ricuce concertati o assiemi pasticciati. I cantanti con più esperienza e , in genere, quelli bravi non hanno bisogno di fissare il Maestro, ma anche loro sanno che quello è il loro punto di riferimento, dalla prima all'ultima nota; così qualche sbirciatina, magari con la coda dell'occhio, al dunque la lanciano anche Domingo o la Freni.
Il Maestro Concertatore si presenta quindi in varie maniere: c'è l'austero e nobile intellettuale (Gianandrea Gavazzeni, Vittorio Gui), il sacerdote officiante, quasi un Papa (Carlo Maria Giulini, Karl Boehm, Otto Klemperer), l'imprevedibile (Furtwaengler), il raffinato (Prétre), l'estroverso (Bernstein, Oren), l'ipersensibile (Abbado), il filosofo (Sinopoli), il santone (Menuhin), il mago (Celibidache), l'estroso (Guarnieri, Ozawa), il geniale (Karajan, Kleiber, De Sabata), il pazzoide (Harnoncourt), il padrino (Mannino), il venale (Maazel), il dittatore (Toscanini,Muti), il bonaccione (Serafin, Bruno Walter),il domatore (Oren), il preciso (Markevitch, Fricsay, Baremboim), l'esperto (Patané,Guadagno, Sawallisch, Mehta). C'è anche il raccomandato, ma qui non faccio nomi!
Tutti hanno in comune la diffidenza verso la ben nota ignoranza dei cantanti e sono rimasti celebri alcuni battibecchi. Guarnieri , grandissimo maestro veneto, mandava spesso e volentieri a quel paese chi non gli andava a genio, quasi sempre per motivi musicali; una volta, a un tenore che stonava parecchio nel duetto "Parigi o cara" (Traviata) disse di spostarsi rispetto al soprano, e tanto lo fece spostare da mandarlo dietro le quinte: " Maestro! Ma sono fuori scena!" protestò il tenore, e Guarnieri :"Bravo! Quello è il posto tuo!".
Quando si presenta il tipico direttore d'orchestra nei cartoni animati, nelle pubblicità o nei fumetti lo si vede magro, ispirato, scapigliato (possibilmente con ciuffo aerodinamico ), occhio socchiuso, più o meno la caricatura di un Karajan o di un Muti, quest'ultimo famoso per la frase rivolta agli orchestrali:" Dove arrivo arrivo, altrimenti ci arriva il ciuffo!". Le movenze sono indiscutibilmente isteriche, eccezion fatta per i maestri olimpici, sospesi su nuvole altissime, inaccessibili.
L'uomo comune si chiede se sia effettivamente necessario quel signore così agitato; la risposta è : sì. Se la recita o il concerto concedono qualcosa (o molto ,a seconda dei casi) alla coreografia, con dovizia di salti, grugniti, ciuffi svolazzanti e bacchette roteanti, è vero però che durante le prove il maestro concertatore costruisce tutto, dalla prima all'ultima nota. E' lui a stabilire i tempi, cioé la scansione ritmica delle pagine musicali; le dinamiche e le agogiche delle frasi, valori come il "legato", i "pianissimi" o i "fortissimi" , il rispetto delle "forcelle", i "diminuendi" o i "crescendi". E' il maestro a conferire anche la cifra stilistica di una partitura: come si deve variare un'aria belcantistica, l'inserimento di cadenze e puntature (salite agli acuti), il valore di una "corona" (che può essere una nota più lunga ma anche, e soprattutto nel Belcanto,una cadenza o una variazione).
Daniel Oren
Il maestro deve anche tenere a bada tutti, dal sindacalista dell'orchestra al corista intemperante, dalla primadonna ritardataria al tenore capriccioso, dal sovrintendente ignorante all'agente mafioso. Mica male per un cachet solo: lo stress è all'ordine del giorno. Non è quindi un caso che i maestri abbiano spesso i nervi a pezzi e che cerchino varie soluzioni per darsi la carica (ne conosco alcuni che fanno uso di stupefacenti, alcol e altri "rimedi" similari). Una caratteristica che ho frequentemente ritrovato in molti maestri è l'amore per la velocità, che li porta ad appassionarsi a macchine sportive, motociclette, aerei, motoscafi.
Direttori d'orchestra si nasce ma in tantissimi casi si diventa. Alcuni tra i più famosi maestri vengono infatti dallo studio e dalla pratica di uno strumento, sostituito poi dalla bacchetta. Così dal pianoforte derivarono Daniel Barenboim, Georg Szell, Lukas Foss, André Previn,Vladimir Ashkenazy, James Levine; dal violoncello Arturo Toscanini, Mstislav Rostropovich, Alfred Wallenstein,Pablo Casals; dal violino Charles Dutoit, Neville Marriner, Lorin Maazel; dalla viola Carlo Maria Giulini,Hermann Scherchen; dal contrabbasso Serge Koussevitsky; dall'organo Leopold Stokowsky.
Alcuni derivano invece dal canto, ma è un caso abbastanza raro. Ne abbiamo due classici esempi in José Cura ma in modo più significativo in Placido Domingo.
Il mondo dell'Opera, i suoi personaggi, le sue vicende sono caratterizzati da questi tre difetti capitali: ipocrisìa, permalosità e supponenza. Sono i vizi che trascinano alla rovina la straordinaria bellezza e la magìa del Melodramma. L'Opera dovrebbe imparare dalla spettacolo leggero, dalla disinvolta semplicità delle starlettes quando rivelano l'ennesima operazione di chirurgìa plastica o un flirt, davanti alle telecamere. Provate ad affermare semplicemente “Quel cantante non mi è piaciuto!” e vedrete cosa succede: per aver detto di Franco Mannino che la sua direzione d'orchestra era stata , a mio avviso, abbastanza indecorosa, fui minacciato dalla Direzione Generale della Rai (sollecitata dallo stesso, potente maestro) di essere sospeso per una settimana (come a scuola!). La cosa rientrò soltanto dopo che furono promesse al medesimo , indispettito , Mannino alcune ore di trasmissione, con la messa in onda delle sue musiche sul Terzo Programma della Rai, il che equivaleva- oltre a una inusitata pubblicità- una cospicua somma di diritti d'autore Siae. I più permalosi sono proprio i direttori d'orchestra: quel podio assomiglia troppo ai balconi di ducesca memoria. E' la Sindrome del Capataz.
Con i cantanti è diverso, c'è meno aura sacrale. I cantanti sono come i bambini, si offendono ,sì , ma dura poco e tutto finisce a tarallucci e vino .
Amo troppo l'Opera per vederla umiliata e mortificata, soprattutto nel nostro paese che si picca di essere la “culla” del Melodramma rischiando seriamente, oggi, di trasformarsi nella "tomba" del medesimo.
In Italia esiste da anni una malagestione delle questioni culturali e operistiche in particolare. Per i nostri governanti, siano essi di una parte o dell'altra, l'Opera è un pozzo di San Patrizio , un carrozzone costoso e in perenne deficit, cui è inutile destinare fondi perché sarebbero solo soldi buttati. Come smentire una visione tanto distorta ma purtroppo realistica? Se è vero che una sana politica dovrebbe comunque assicurare un solido budget alla Cultura, per un fatto di civiltà (non per altro), è altrettanto vero che non si può promuovere un'azienda che vive e bivacca in rosso, come ormai tutte le Fondazioni e i teatri in Italia. La colpa è ovviamente dei gestori, degli amministratori, che sono i Sovrintendenti e i Direttori artistici. Chi sfora un budget, anche solo in fase di progetto, dovrebbe essere rimosso dal suo incarico per incapacità. Da noi viene promosso, passa a un altro teatro e crea un nuovo deficit. E' notizia dell'ultim'ora che al baratro finanziario del Carlo Felice di Genova si sono aggiunti, freschi freschi, altri 10 milioni di Euro!!!. Un altro teatro di grande tradizione , il Comunale di Bologna, attende la auspicata fuoriuscita di Tutino , a settembre, e l'ingresso di personalità capaci di restituire dignità e prestigio alle sue stagioni. Ce lo auguriamo tutti, siamo a un passo dal precipizio.
La memoria corta è un brutto difetto , accentuato da una società veloce e tritatutto come quella attuale. Si tende nell'Opera a mitizzare facilmente, ispirandosi soprattutto alle figure imperanti sulle copertine dei dischi o visibili in Tv, che non sono necessariamente eccelse come vorrebbero farci credere. E' così da quando è nato il melodramma: la pubblicità è l'anima del commercio delle voci. Certo, nel mucchio si distinguono miti veri, interpreti eccezionali cooptati dalle case discografiche, ma quanti artisti vengono poi dimenticati?
In fondo, siamo sinceri: se una Callas non avesse avuto il gossip addosso....sarebbe poi diventata così famosa?
Un tenore come Del Monaco, grazie alle apparizioni televisive, sopravvive nel ricordo di molte persone che non hanno mai messo piede in teatro. Così anche oggi, Andrea Bocelli è un mito per una enorme quantità di persone, perché ha cantato in mondovisione, davanti al Papa, davanti ai potenti della Terra. Ma chi si ricorda più di Gianni Poggi? Eppure questo tenore piacentino ebbe negli anni Cinquanta del Novecento una notevolissima fama, nonostante l'agone fosse ricchissimo di nomi illustri, infinitamente più di oggi.
Poggi ebbe una voce formidabile, pastosa, ricca di armonici, duttile, estesa e cantò ai massimi livelli con i più grandi direttori e colleghi della sua doviziosa epoca. Il colore ricordava molto quello di Beniamino Gigli e così le delicate mezzevoci. Eccolo con un altro fenomeno vocale, il basso Giulio Neri, nel finale del "Mefistofele" di Boito.
Un altro interprete da non dimenticare è il baritono Mario Sereni. Riascoltandolo in questi giorni mi sono reso conto di quanto sia vera la questione delle "vacche grasse" di allora, contrapposte alle "vacche magre" di oggi. Sereni cantò ad altissimi livelli negli anni Sessanta e si palesò come una sorta di erede di Ettore Bastianini, prematuramente scomparso. Del grande e più famoso collega Sereni ricorda il colore, brunito e caldo, ma la tecnica è persino più agguerrita, con una omogeneità straordinaria e la capacità di fraseggiare con nobiltà e morbidezza. Non me la sento di contrapporre il canto misurato e intenso di Sereni a certi colleghi di oggi, anche conclamati, perché dovrei risultare molto ingeneroso e acido. Ogni epoca ha i suoi divi, mi si risponderà, e sono d'accordo. Ma io aggiungerei che ogni epoca ha le sue "tecniche" di canto e i suoi modelli da seguire: direi pure che ogni epoca ha i cantanti....che si merita.
Sentite che bellezza di canto ritroviamo in questa "Lucia di Lammermoor" con Anna Moffo. Il ruolo di Enrico Ashton fu uno dei preferiti da Sereni, sul podio Georges Pretre.
....e ancora questo filmato realizzato in America , con la grande Dorothy Kirsten nella "Fanciulla del West" di Puccini, dove si può apprezzare in Sereni anche la perfetta dizione....
Per chiudere in bellezza ecco ora il più grande buffo del secolo scorso, Salvatore Baccaloni. E' più difficile far ridere che far piangere, nel teatro di prosa come nell'opera. Baccaloni, oltre a saper far ridere di gusto in opere comiche come "Barbiere", "Elisir", "Don Pasquale" (qualcuno, in tempi più recenti, ha voluto farci credere che tali opere siano in realtà dei funerali di terza classe!) , ha sfoggiato una vocalità sontuosa, "grassa" , da vero basso. Non a caso, nei primi anni di carriera, cantò e benissimo anche i ruoli da basso e da basso profondo.
La verve innata, la mimica, l'irresistibile simpatia da romano verace indirizzarono Baccaloni verso il repertorio comico, ed è lì che assunse fama internazionale.
Eccolo nel film "Merry Andrew" del 1958 dove canta il divertentissimo "Salud" , una sorta di tarantella made in Italy in coppia con uno scatenato Danny Kaye. Notare il balletto, un vero capolavoro in sé, e la somiglianza impressionante con Maurizio Costanzo!!!