Vi sono alcuni momenti musicali in cui il tempo si ferma. Non esistono più le dinamiche e le contingenze terrene: gli artisti illuminati congiungono la loro anima alle sfere celesti e consegnano la propria esecuzione all'eternità.
Ve ne propongo alcuni, iniziando dall'INGEMISCO tratto dal REQUIEM di GIUSEPPE VERDI.Il tenore è JOSE' CARRERAS.Il direttore d'orchestra HERBERT VON KARAJAN
Maria Callas è considerata la più grande cantante d'Opera mai esistita, per molte validissime ragioni. La voce, estesa e duttile ma così particolare, aspra e dolcissima al tempo stesso, non è che un optional. Quel che della Callas resta unico e irripetibile, nonostante le troppe ridicole imitazioni, è l'anima dell'interprete, la verità di ogni sua singola frase, l'essere DENTRO la musica.
Ecco Maria Callas in "Ah, non credea mirarti" dalla SONNAMBULA di VINCENZO BELLINI,in una storica esecuzione a fianco del maestro GEORGES PRETRE.
Si usa frequentemente un termine per segnalare artisti dalla vocalità unica, preziosa: "voce baciata da Dio". Credo che questa immagine si addica perfettamente al timbro ineguagliato di GIUSEPPE DI STEFANO, il tenore che seppe incantare il mondo con il suo formidabile charme canoro, unito a un fraseggio caldo e partecipe.
Nell'aria "SALUT DEMEURE CHASTE ET PURE" dal FAUST di CHARLES GOUNOD ritroviamo tutte le caratteristiche di un tenore privilegiato, quem dii diligunt, compreso un fantascientifico do acuto smorzato.
Nel 1993 una esile, minuta ragazza fa il suo ingresso all'Opera di Stato di Vienna, per il classico Galà del FLEDERMAUS, l'operetta di JOHANN STRAUSS. Si chiama NATALIE DESSAY,è francese e ha una voce che arriva ovunque. Colpisce la sua intonazione mostruosa e la nonchalance del suo canto, che pare sgorgare da una sorgente di acqua pura.
Eccola nel memorabile valzer "FRUEHLINGSSTIMMEN" ,che le schiuse le porte al successo mondiale.
Se esiste un Paradiso mi piace immaginarlo come un gigantesco Luna Park, provvisto d'un auditorium speciale, in cui si esibiscono i Grandi dell'Opera, magari con duetti impossibili sulla Terra ma finalmente realizzati: Caruso che duetta con la Callas, Pavarotti e la Malibran, Kraus con la Grisi, Lauri Volpi e Corelli insieme nel Giuramento di Mercadante....
Nel 2010 sono scomparsi GIULIETTA SIMIONATO e GIUSEPPE TADDEI.Riascoltiamoli nel duetto "DUNQUE IO SON" dal BARBIERE DI SIVIGLIA di GIOACHINO ROSSINI.Oltre allo splendore vocale notiamo la perfezione dei recitativi e la meravigliosa esattezza dello stile, oltre che l'innata eleganza dei due interpreti.
Nella FAVORITA di GAETANO DONIZETTI abbiamo un'aria che è la summa dello stile belcantistico, "SPIRTO GENTIL".
Il legato, la linea pura e celestiale della melodia, la tessitura impervia che porta la voce del tenore al do acuto, ma anche l'uso della mezzavoce, dei diminuendi, di quelle nuances che distinguono un normale esecutore da un fuoriclasse, perché chi canta Favorita non può che essere un fuoriclasse.
ALFREDO KRAUS ne è stato per oltre un trentennio il massimo interprete.
Nel luglio del 1974 presso il teatro antico di Orange venne eseguita NORMA di VINCENZO BELLINI, protagonista MONTSERRAT CABALLE'.
Ispirata dalla magìa del luogo, affatto turbata dalle raffiche del mistral particolarmente fastidiose, in forma spettacolare, il soprano catalano regalò all'umanità il "CASTA DIVA" più bello ed emozionante che mai sia stato udito.
I suoni che emise la Caballé quella sera benedetta hanno assai poco di umano, tale è la bellezza adamantina del colore , la lunghezza dei fiati, la purezza assoluta dell'emissione.
La recente scomparsa di CESARE SIEPI fa meditare sulla portata storica di questo sommo interprete. Senza perdersi in ulteriori panegirici e classificandolo tout court come il più grande basso nobile che l'Italia abbia prodotto, ascoltiamo la magistrale lezione di canto che Siepi, con quasi 40 anni di carriera sulle spalle, impartisce in "Ella giammai m'amò" dal DON CARLOS di GIUSEPPE VERDI,l'aristocratico fraseggio, l'omogeneità della gamma, la profondità del registro grave, la linea impeccabile, la bellezza della voce.
Traviata , ossia l’opera lirica più amata e forse più rappresentata in assoluto.
Non credo che esista un inno all’amore più completo ed esaltante di questo!
Amore... ma con l’idea della morte che si affaccia fin dalle prime battute dell’Opera per non abbandonarci più fino alla fine. “Amore e morte” doveva essere, in un primo tempo, il titolo vero del melodramma, imposto dalla severissima e intransigente censura del Teatro la Fenice di Venezia, in cui Traviata venne rappresentata nel 1853.
Traviata è Violetta Valéry...un nome fittizio, poiché la Signora delle camelie del dramma di Alexandre Dumas si chiama in realtà Margherita Gautier, ispirata a sua volta alla figura realmente esistita di una famosa demi -mondaine parigina del Primo Ottocento, Alphonsine Duplessis, conosciuta e frequentata dall'autore, avviata alla prostituzione da bambina e morta ad appena 23 anni.
Una demi-mondaine….che tradotto vuol dire “prostituta”…oggi diremmo meglio: Escort.
Di alto rango. ..
... a quei tempi le mantenute dei vari nobilastri e dei ricchi signorotti godevano di privilegi e di un rispetto speciali, addirittura più delle mogli, in certi casi.
Verdi vide probabilmente il dramma di Dumas al Théatre du Vaudeville di Parigi, nel 1852, e restò folgorato . Quale migliore occasione per legare finalmente un soggetto all’attualità e dare una sferzata alla cinica morale dei benpensanti, contro ogni convenzione e contro ogni convenienza.
Uno scandalo sessuale all'Opera, oltre 150 anni fa...quale inaudita novità dovette essere questa... eppure stiamo parlando del mestiere più antico del mondo, mai come in Dumas e in Verdi tali vicende furono esposte in modo tanto esplicito, diretto...e MAI un melodramma fu più attuale... Viene subito in mente il caso recente di una Signora delle camelie nostrana, collocata non a Parigi ma nella più insospettabile Bari:
“Sarà strano a dirsi, ma il primo incontro con Lei è avvenuto per strada.
...Incrociammo sul marciapiede una bellissima ragazza bionda che attirava gli sguardi, di donne e uomini. .. sarà lei? Era lei. La incontrammo qualche minuto più tardi e dopo un po' di convenevoli arrivammo al punto: ….Dal suo racconto emergeva la storia di una persona schiaffeggiata dalla vita e non solo in senso figurato. E mai una o più conversazioni avrebbero potuto rivelare tutto il dolore che la ragazza aveva dovuto sopportare, specie negli ultimi dieci anni della sua vita. Bisognava scrivere in maniera più ampia, soffermarsi su episodi trascurati dalla cronaca. Insomma, disegnare la donna e non la escort.
Mi disse di avere apprezzato il mio interessamento alla sua infanzia. Da anni nessuno glielo chiedeva più.
…. Il primo incontro si è svolto a casa sua perché i documenti relativi al residence e ai referti medici conservati dopo i ricoveri per le botte ricevute dal suo protettore erano veramente troppi.
E' stata dipinta soprattutto come la prostituta per antonomasia. In realtà …. Lei è romantica, avrebbe desiderato una famiglia, si sarebbe voluta sposare e in chiesa. .. Ci tiene a raccontare che in tutta la sua carriera non ha mai voluto cedere a chi le chiedeva sesso in cambio di una carriera più rapida. Racconta con passione che ha avuto solo tre uomini nella sua vita, l'ultimo dei quali è quello che l'ha messa sulla strada. Non è una prostituta, è solo una vittima. Ma nel nostro paese, cattolico e cristiano a fasi alterne, è il peccato che fa orrore, non il peccatore.”
Non è Dumas a scrivere ciò nel 1847 bensì Maddalena Tulanti, vicedirettore del Corriere del Mezzogiorno,che
dove la escort Patrizia D'Addario, oltre che fornire la sua versione sulla notte più celebre di Silvio Berlusconi, ha raccontato lo sfruttamento da parte del suo ex compagno, la morte del padre e il suo passato da illusionista. Com'è facile notare: una Traviata dei nostri giorni...
Patrizia D'Addario
Violetta Valéery: una giovane prostituta che dichiara apertamente di volersi divertire, “ Sempre libera degg'io…..folleggiare di gioia in gioia"……abbandonarsi ai "diletti del piacer”…..
Tutto questo a Parigi , la capitale del peccato ...… Ovviamente i problemi per Verdi furono tanti nel lontano 1853, e non solo con la censura, che si accanì soprattutto per il soggetto scabroso e per i riferimenti religiosi presenti nel libretto...
Il problema più grosso, nel vero senso della parola, fu la debordante presenza alla prima rappresentazione di una Violetta, tisica sì, ma decisamente troppo grassa,il soprano Fanny Salvini Donatelli.
Così scrisse di Lei un recensore dell’epoca:” L’agonìa della pingue Donatelli, obbligata a morire nella piena opulenza della sua persona, sollevò l’ilarità della platea e provocò la catastrofe.”
Abbastanza esagerato il pubblico veneziano! Come se le cantanti liriche fossero tutte anoressiche.Non dimentichiamo che Montserrat Caballé negli anni 70 a Parigi giunse a sfondare il letto nell'"Addio del passato". Montserrat Caballé
Il II atto è dominato dalla presenza austera e cinica del padre di Alfredo, Giorgio Gérmont. Il lungo duetto che segue la sua entrata è uno dei capolavori di quel “canto di conversazione” in cui Verdi gettò le basi del Verismo musicale. Per molti versi potremmo definire Traviata come la prima grande opera verista, nella piena accezione del termine.
Dalla Signora delle Camelie di Alexandre Dumas:
"Era, impossibile trovare una bellezza più affascinante di quella di Marguerite(...)
Mettete in un ovale di indicibile grazia due occhi neri ornati da sopracciglia dall'arco così puro da sembrare disegnato; velate quegli occhi di lunghe ciglia che, abbassandosi, ombreggino le guance rosate; tracciate un naso sottile, dritto, spirituale, con le narici leggermente dilatate da un anelito di vita sensuale; disegnate una bocca regolare, le cui labbra si schiudano dolcemente su denti bianchi come il latte; colorite la pelle col tono vellutato che avvolge le pesche non ancora sfiorate da alcuna mano, e avrete l'immagine di quella testa deliziosa.
I capelli neri come il carbone, ondulati naturalmente, o forse no, si dividevano sulla fronte in due larghe bande, e si perdevano dietro la testa, mostrando i lobi delle orecchie sui quali brillavano due diamanti di quattro o cinquemila franchi ciascuno.
Come potesse quella vita intensa lasciare intatta sul viso di Marguerite quell'espressione verginale, quasi infantile, che lo caratterizzava, è una cosa che dobbiamo accontentarci di constatare, senza poterla comprendere”.
Così Dumas nella Signora delle Camelie rievocava le sembianze di questa immortale figura, Alphonsine che diventa Margherita, e infine Violetta Valéry nella sua incarnazione musicale.
VERDI fotografò un aspetto tragico del destino di una donna, sia essa "pura siccome un angelo" o escort: IL GRANDE TORTO DI VOLER ESSERE FELICE AD OGNI COSTO.”
Maurizio Rinaldi proveniva da una famiglia molto importante, “fatta” di musica. Suo padre era il noto critico del Messaggero, sua madre musicista, i suoi fratelli, Alberto “Dado” un grande baritono e Sandro, un caro indimenticabile amico (scomparso prematuramente nel 1989).
Maurizio era il più irrequieto, diciamo pure l'enfant terrible (anche se pure Dado non scherzava: restò celebre la sua audizione con il famoso agente Hollaender, a cui inviò un nastro registrato artatamente con la voce di Bastianini nella cavatina di Figaro!). Di Dado resterà memorabile la risposta che diede a Rodolfo Celletti dopo la stroncatura; il critico aveva scritto un lungo articolo con tutta una disamina dell'opera e della sua genesi, nella prima parte, mentre nella seconda parte aveva espresso i suoi pareri sui cantanti, con velenosi strali rivolti ad Alberto Rinaldi. Questi lo chiamò a telefono e disse: “Pronto? Maestro Celletti? Sono Alberto Rinaldi: in questo momento sono seduto sulla tazza del cesso e sto cagando. Ho letto metà del suo articolo, con l'altra metà mi ci pulisco il culo! Arrivederci.” E appese.
Maurizio, dicevo, era il più irrequieto e cinico dei tre fratelli. Quando il povero Sandro, uomo mite e bonaccione, lodò un famosissimo soprano di cui non voglio fare il nome (perdonatemi, ma ogni tanto...) , Maurizio diabolicamente lo interruppe :”Aoh, ma cche stai a ddì??! Ma se annavamo a teatro ppe' ride?!!!”.
Con l'aiuto fondamentale di Franca Valeri, sua compagna e prima estimatrice (la grande Franca aveva una venerazione autentica per lui) , Maurizio aveva creato il Concorso Mattia Battistini a Rieti, che si rivelò una autentica e validissima fucina di talenti. Grazie al suo impegno su Rieti, 24 ore su 24, la coppia Rinaldi-Valeri costruì un centro d'avviamento al teatro capace di laureare gran parte di coloro che oggi calcano i palcoscenici italiani e internazionali, con risultati di assoluta eccellenza.
I vincitori preparavano l'Opera studiando la parte musicale con Rinaldi e quella scenica con la Valeri, in alcune leggendarie sessioni di perfezionamento presso la villa sul Lago di Trevignano. Ne accadevano di cotte e di crude,molti episodi sono irriferibili, ma alla fine del tirocinio una cosa era certa: la parte la sapevi “marcia”, come si dice in gergo...potevi cantarla anche rovesciata.
Le sfuriate di Maurizio hanno fatto epoca come le sue sbandate per le concorrenti più carine. Durante un concorso in cui era prevista la Lucia di Lammermoor, poi vinto dalla fantastica Bonfadelli , stufo di ascoltare venti minuti di Pazzìa ripetuta per decine di concorrenti, si alzò e urlò :” Mo' basta, mme so' rotto li coj....ni co' sta ' lagna...Cuello che conta è er mi bbemolle, quindi mo' me fate sentì er mi bbemolle....ssi cce l'hai passi, sinnò tte ne vai a casa!”. Dopodiché si avventava sul pianoforte , dava una zampata per l'accordo e le poverette in fila dovettero eseguire soltanto la puntatura finale, un mi bemolle sopracuto dietro l'altro. Una scena incredibile.
Un giorno , ero a casa sua in via di Roccaporena al Fleming, a Roma, squilla il telefono...l'Opera di Roma. “Pronto maestro Rinaldi?” , “Sine” fu la risposta, “Maestro, qui è la segreteria artistica dell'Opera....Lei sarebbe libero per Ernani a maggio e se sì , può cortesemente dirmi il suo cachet” , risposta di Rinaldi “UN MIJARDO!” , e appese il telefono. Poi urlando :”Sti' stronzi! Mmo' se ricordano! Io l'Opera a' faccio come dico io e dove vojo io...e ssi me vojono...pagheno un mijardo!”. Carattere impossibile ma musicista a 360 gradi. Disponeva di orchestre per lo più scalcagnate e raccogliticce, ma le faceva suonare: ricordo una selezione di Aida a Rieti abbastanza impressionante, con Gisella Pasino mezzosoprano (bravissima, tra l'altro) , il tenore sardo Mastino, se non ricordo male (si bemolli fantastici, mai più sentiti) e il basso Danilo Rigosa, bel colore e misuratissimo, un 'Aida che non avrebbe sfigurato alla Scala o al Met per la giustezza dei tempi, il fuoco sacro che ardeva frase per frase e la passione dei solisti.
Maurizio Rinaldi aveva il vizio dell'alcol,non l'ho mai visto senza il suo bicchiere di whisky in mano, era un uomo disordinato, bohèmien nell'antica accezione del termine, si perdeva dietro a storie amorose complicate ...non avrebbe mai potuto fare la grande carriera: troppo poco diplomatico, troppo poco ruffiano, troppo poco “cane da riporto” (come diceva con una felicissima espressione un altro Artista con la A, Franco Bonisolli).
Nell'Opera , come nella vita, non basta il talento allo stato puro (e Maurizio ne aveva da vendere) ma occorre un ordine interiore, fatto anche di ipocrisia, furbizia, savoir vivre e savoir faire. Doti che invece latitarono clamorosamente in questo ormai mitico demiurgo.
Con l'arrivo del caldo si assiste immancabilmente al rito della spogliazione, partendo dal presupposto (errato) che più ci si denuda meno caldo si avverte.
L'italiano è abituato al caldo, il nostro umidissimo paese è al centro d'un bacino percorso da correnti calde, venti tiepidi, caratterizzato da fauna e flora tipici di zone calde, se non torride.
Eppure la frase si ripete immancabile, non appena la temperatura sale oltre i canonici 22 gradi: “Ma che caldo fa?”....la scoperta dell'acqua calda.
Le prime panze all'aria fanno la loro tragica comparsa già verso maggio, ma è a giugno che esplode l'esposizione urbi et orbi dell'epa. Sono quei rotoloni così amabili, fatti di trigliceridi aggiunti e accumulati durante l'inverno: un tempo venivano esibiti dai muratori , generalmente in canotta, o dagli addetti alla manutenzione delle autostrade, arsi dal sole ma dal pancione colmo di birra, tronfio e fiero come quello di Falstaff. Le italiche donne, soprattutto le matrone del centro-sud generate dalla Dea Pomona, grazie a una scellerata moda che prevede da qualche anno pantaloni a cinta bassissima e minigonne-coprimutanda , sfilano imperterrite lungo via del Corso per lo “struscio” , che si risolve in un defilé socio-gastronomico fatto di cotechini, ciambelle, cascatelle di cellulite (anche a 8 anni), meloni e cocomeri in bella vista, un vero carnaio . Mi chiedo: ma se la natura e la genìa creano un popolo nano, con fianchi larghi e culo basso....perché aumentarne le dimensioni in larghezza con un menù quotidiano fatto di carboidrati e grassi in eccesso?
Preoccupante il fenomeno dei bimbi grassi se non direttamente obesi. "Mangia a mamma! Mangia a papà!" , genitori assassini simili alla Strega di Haensel e Gretel, infilano la salsiccia in bocca al pargolo, per renderlo appunto più simile a papà, a mammà, a nonno e soreta....con l'effetto inevitabile di un quadro di Botero.
La mescolanza con i turisti stranieri (famosi per essere seminudi anche in inverno) dà luogo, soprattutto a Roma in questa stagione, alla rappresentazione moderna d'una Torre di Babele in cui, più che le lingue (ormai tra loro simili), si mescolano gli abiti.
A Piazza del Popolo, in pieno giugno, vedrai il gruppo americano sorridente nei suoi hot-pants , il marocchino in sciammerica, l'indiano col turbante, lo sbarbatello romano con i jeans calati sotto-mutanda, l'onorevole in giacca scura e cravatta seguito dal portaborse-clone, le due amiche grasse che si tengono per mano, la fotomodella che transita ad ampie falcate con occhialoni neri e abito firmato. Un Carnevale di Rione , che si avvicina molto a un provino felliniano o a una sagra di paese.
Preoccupante il trionfo della ciccia, già registrato nelle palestre piene di volenterosi. L'italiano, si sa, abbonda in cibo e consuma almeno il doppio delle calorie necessarie a vivere decorosamente. La luganega, la rosticciata, il plateau dei formaggi, la bufala divorata a chili, fanno bella mostra di sé nelle silhouettes delle itale genti: bambini obesi con gelato o panino in mano, madri e nonni con almeno una trentina di chili in più, uomini di mezza età ma di peso doppio, ragazzi con pancetta e fianchi da danzatrice turca.Il grasso accumulato lateralmente viene romanticamente chiamato "le maniglie dell'amore", tanto per giustificare una nuova magnata di tagliatelle al ragù o una cofana di tortellini.
Con l'estate alle porte e le spiagge che attendono le inesorabili passerelle in costume, l'italiano cerca di diminuire l'introito di grassi e cibi insani: la pasta una sola volta al giorno, invece che due; qualche panino in meno; via la pizza con la mortadella distesa, più frutta, certo, ma soprattutto stupidissimi pranzi e cene saltate, credendo così di evitare l'arrotondarsi delle forme. Subentra l'anoressìa da slip e la febbre da palestra.
Ho osservato che, dopo un periodo di vuoto, la palestra torna a popolarsi tra aprile e giugno: sono i mesi che occorrono per scolpire ciò che si può, quasi disperatamente. Il tapis-roulant vola come una rotativa tipografica e sopra vedi un'umanità impazzita.