Un regista per essere considerato “à la page” deve:
1) Ambientare l’opera nel presente con tanto di riferimenti a guerre, nazismo, attentati, condizione terzomondista, inquinamento, malattie incurabili o meglio ancora in uno spazio vuoto o astratto, oppure in una casetta lignea/ferrosa/vetrosa o stile Bauhaus, meglio ancora in un bunker o ospedale, oppure nel consolidato “teatro nel teatro”, oppure proporre la vicenda all’epoca del compositore con riferimenti alla sua biografia o all’ambiente a lui più congeniale: Rossini in gastronomia, Donizetti in un casino, Prokofev nella Mosca del compagno Berja, etc.., smentendo la componente storica del libretto, per essere più vicina al pubblico, ai giovani e “svecchiare le incrostazioni”. La scena è consigliabile fissa, al massimo dotata di mobilio stile “Secessione” e piano ruotante. 2) Fare indossare cappotti di varie fogge, ma di colori neutri o spenti o abiti candidi. 3) Mostrare pettorali, seni, pudenda maschili e femminili, deretani. Questo è un obbligo morale! 4) Inscenare almeno una sequenza di stupro, un’orgia, una di maltrattamento verso animali e verso donne, trattate ovviamente come buchi da riempire o poco più. Climax obbligatorio la scena in cui ci si droga o ubriaca. 5) Far capire, lentamente, che tutto ciò che avviene in scena è il sogno, oppure una pura follia, oppure la proiezione psico-freudiana-junghiana del protagonista fragile e complessato. 6) Riconoscere che la borghesia e la chiesa sono le vere piaghe sociali: tutti siamo puttane, spacciatori, ipocriti, sessuomani dai gusti estremi, drogati, infidi, omosessuali, transessuali, maniaci sessuali, serial killer, rissaioli, violenti, mostri schizofrenici, ossessionati dal denaro e dagli oggetti, MA in fondo falsi perbenisti baciapile con un cuore d’oro e crocifisso in tasca vittime della ruota del sistema dipinto come un tirannico regime fascistoide “che schiaccia l’individuo sotto la pesante ruota del totalitarismo armato e guerrafondaio”. Tutto questo va denunciato e sbeffeggiato. 7) Trasformare, ad un certo punto dell’azione il/la protagonista in una puttana o in un alcolista/drogato; meglio se tutti e tre contemporaneamente. Ergersi a essere pensante superiore e ben più intelligente del librettista e del compositore; QUINDI occorre sovrapporre una propria versione dell’opera a quello che banalmente già si conosce; il finale va ovviamente stravolto. 9) Utilizzare SOLO gelide luci di taglio, oppure al neon in puro stile “asettica corsia d’ospedale” o meglio “sala settoria di anatomia patologica”, oppure di un accesissimo color pastello o stile “corto circuito” da integrare ad un abbondante uso di proiezioni che non c’entrano praticamente nulla con ciò che avviene in scena, e il cui unico scopo è scatenare una guduriosa sega mentale nei fans del regista. Ancora meglio se la scena piomberà in un buio abissale in cui ognuno possa immaginare ciò che vuole. L’accensione delle luci in sala durante la recita fa parte degli imperscrutabili obblighi morali di cui sopra. 10) Costringere i cantanti per 2/3 dell’opera a cantare sdraiati a terra, o in posizioni ginecologiche, o da contorsionista, per improvvisa depressione o perdita del controllo delle gambe o schiaffo/pugno/calcio o innamoramento. 11) Rappresentare il coro come un unica massa perversa, omogenea e giudicante il cui scopo è sghignazzare e far rumore durante la musica. 12) Prima dell’opera o di un atto integrare 20 minuti circa in cui denunciare un male della società o ridicolizzare il pubblico attraverso azioni insensate con l’utilizzo di ballerini, mimi travestiti da animali (meglio se esotici o scimmieschi), attori che reciteranno testi astrusi. 13) Risolvere il balletto, se previsto, come un sogno nel sogno, un incubo, una scena di tarantolati oppure con uno spargimento di sangue. 14) Sdoppiare o centuplicare uno o più personaggi attraverso un uso insistito di mimi e ballerini per confondere meglio le idee e l’azione: tutto ciò è molto intellettuale. 15) Inserire almeno una scena con uno specchio gigantesco, dritto o inclinato, che raddoppi e deformi le azioni e “permettere al pubblico di entrare nella scena facendone parte, rispecchiandosi nelle azioni narrate”. 16) Inserire OBBLIGATORIAMENTE un letto in scena che dovrà essere onnipresente e fulcro dell’azione, concentrando su di esso tutte le svolte sconvolgenti dell’allestimento; esso andrà ovviamente tolto allorché il libretto ne preveda un espresso utilizzo. 17) Sostituire le parti recitate nell’Opéra Comique con un testo scritto di proprio pugno il cui linguaggio deve essere crudo, brutale, volgarissimo a abbondare di parole come “Bitch, Putaine, Whore, Motherfucker, Bullshit, Fuck, Cock, Pussy, Asshole, Faggot” e delizie simili, perchè fa gggiovane, iconosclasta e tanto “scandaloso”. 18) Affermare che il testo del libretto sia una zozzeria indecente, che non si comprende il perchè un raffinato compositore sia stato attratto da una robaccia del genere, anacronistica all’epoca e lontana dalla nostra “sensibilità moderna” e giustificare il tutto inventandosi complessi, sindromi e traumi infantili che il poveraccio di turno ha subito da bambino. Il risultato per dare nuova linfa a queste “datate insensatezze”? Il compositore dovrà apparire in scena in maniera goffa, infantile e spaesata e interagire timidamente con i personaggi che ha creato. 19) Sostituire le scene che prevedono ambientazioni naturalistiche vicino a fiumi o foreste con discariche, fogne o strada malfamate e popolate da topi giganti, puttane, trans, gay, pervertiti, spacciatori, boss mafiosi e ladruncoli. 20) Trasformare in feticcio imprescindibile i lampadari, i capelli sporchi, le pistole, i vestiti laceri, le ferite in volto, ma soprattutto gli anfibi per i personaggi “giovani”. 21) Invadere la scena con acqua, che tra uno schizzo e l’altro si trasformerà in una fanghiglia ripugnante, oppure con della sabbia così da impedire ai cantanti ogni più naturale movimento; il che si tramuterà nella mente del critico illuminato come “la materializzazione attraverso elementi naturali della fragilità, delle difficoltà e dell’ inutilità delle umane miserie e delle contraddizioni dell’anima”. 22) Far diventare protagonista assoluto della scena, al pari del letto, un gabinetto (una moltitudine sarebbe ben più auspicabile) il cui significato saranno i critici colti, che vanno in sollucchero per i sanitari, a svelarlo. 23) Permettere ad uno o più personaggi di accedere al palcoscenico entrando dalla platea a opera iniziata; se il
cantante lo fa correndo, o sghignazzando, o in stato di delirio è meglio. 24) Tagliare o modificare arie o recitativi adattandoli al proprio allestimento o al proprio gusto personale giustificando lo scempio come “una operazione necessaria e culturale volta a rendere più fruibile, immediata e non distante dal gusto odierno del pubblico una vicenda francamente ridicola, poco credibile, invecchiata e fuori moda”. 25) Beccarsi sorridendo fischi e contestazioni: ciò rappresenta il personale trionfo e la conferma che il pubblico è ignorante, stolto, ipocrita, incivile, ha una sessualità repressa e vissuta in maniera malata, e, peccato mortale, non vive di “seghe mentali”, mentre Egli è secondo per onnipotenza e onniscienza solo dopo al Creatore!
Una serie di scroscianti applausi e di autentiche ovazioni ha salutato l'ennesima produzione vincente realizzata dal Teatro Verdi di Salerno, stavolta “Les pécheurs des perles” di Bizet, trascinata al trionfo dalla direzione raffinata e partecipe di Daniel Oren , dalla regìa attenta e scrupolosa di Riccardo Canessa, e dal “Duo Merveille” costituito dal tenore Celso Albelo e dal soprano Desirée Rancatore, due autentici fuoriclasse che si sono riuniti in coppia per la delizia e il godimento estremo degli amanti del Belcanto.
E' raro trovare un binomio vocale tanto affiatato e preciso, tanto attento a rispettare una linea elegante e virtuosistica al tempo stesso, culminante nelle rispettive arie e nei duetti, che sono il cardine di un piccolo grande tesoro operistico, poco conosciuto oggi in Italia ma un tempo frequentemente in repertorio. Tutti i grandi tenori, tanto per dire, hanno avuto in repertorio l'aria “Je crois entendre encore” , da Caruso a Gigli, da Gredda a Vanzo, da Kraus a Celso Albelo, ognuno con le sue proprie caratteristiche timbriche, con le proprie nuances. Albelo ha cesellato l'aria con magnifica morbidezza, scegliendo la strada della mezzavoce ma senza mai perdere il necessario appoggio sul fiato, che è la chiave per superare l'ardua tessitura. Come ulteriore prodezza, ha cantato l'aria sdraiato, in posizione affatto comoda.
Ma ugualmente perfetto è stato il grande duetto con il baritono, il duetto con Leyla, il terzetto: una prova superata da grandissimo interprete e con la serenità che è propria dei grandi interpreti.
Dal canto suo Desirée Rancatore ha offerto una prova esemplare. Ormai non è più l'usignolo sopracuto utilizzato per bambole o Regine della Notte, o meglio: ha conservato la facilità nel registro alto e l'agilità, ma ha aggiunto una nuova rotondità nei centri e un velluto più spesso, che la destina certamente a ruoli via via più lirici. Leyla nei Pécheurs è del resto una sorta di via di mezzo tra Micaela (Carmen) e Lakmé: non sfoggia agilità vorticose ma delicati melismi esoticheggianti, non è estesissima ma la tessitura è acuta, perciò più difficile. La Rancatore si è ovviamente divertita a inserire un paio di sopracuti fuori ordinanza, uno al termine del duetto con il baritono e questo per ricordare a tutti la sua straordinaria estensione. Meravigliosa ed evocativa l'aria “Comme autrefois” , dipinta nota per nota con grande intensità e adamantina perfezione musicale.
Da aggiungere a questi dati vocali la perfetta interpretazione dei ruoli, grazie anche alle indicazioni precise e coerenti del regista , Canessa, che ha rappresentato l'opera attraverso indovinate simbologìe indiane, prima con grandi parasole ornati, poi con un gigantesco rudere a forma di braccio con una grande perla tenuta nella mano, poi con un tempietto, il tutto impreziosito da luci indovinate e da proiezioni delicate e per nulla invasive.
Daniel Oren , pur famoso per l'etichetta di direttore verista e legato ai titoli verdiani di repertorio, si è dimostrato il grande maestro che è nel sottolineare le infinite finezze di Bizet, ma anche ricreando in orchestra la forza trascinante delle tante danze, dei Cori, l'impeto delle chiuse d'atto. Orchestra e Coro in stato di grazia, un lavoro perfetto da parte del maestro del Coro, Petroziello.
Il baritono, Luca Grassi, subentrato sul filo di lana per improvvisa indisposizione del collega originariamente previsto, si è impegnato molto ed è arrivato onorevolmente al termine della sua recita: la voce non è bellissima, un colore troppo chiaro e metallico, ma musicalmente a posto. Il basso Alastair Miles non aveva arie ma solo interventi qua e là, frasi eseguite con autorevolezza ed efficacia negli accenti imperiosi.
Eleganti e virtuosistiche le danze coreografate da Pina Testa.
“ La forza del nostro teatro è il fatto che riusciamo a lavorare benissimo in tre: io, il maestro Marzullo e Rosalba Lo Iudice, senza ostacoli o pressioni da parte di chiunque” , ci ha detto il maestro Oren al termine della recita, “ In altri teatri in cui ho lavorato non si potevano scritturare artisti fantastici, come per esempio il basso Giaiotti, per favorire questo o quell'altro raccomandato dai dirigenti del teatro e dai politici, all'epoca molto più interessati di oggi. Qui a Salerno è una sorta di isola felice: scegliamo gli artisti migliori, a nostro giudizio, e li mettiamo nelle condizioni di lavorare in assoluta tranquillità e con la collaborazione di tutti. Non servono oltre due settimane di prove: ho assistito a prove di un mese da parte di registi che arrivavano senza capire nulla e così restavano fino alla fine, senza capire nulla loro e senza far capire nulla al pubblico. Così noi qui procediamo badando all'essenziale e con un cartellone vario: quest'anno due gioielli come Pescatori di perle e Robert le Diable, oltre a opere di repertorio, per appagare tutti i gusti del pubblico e creare sempre più interesse attorno al nostro teatro.Vedo che la formula funziona, ogni sera abbiamo il tutto esaurito, andiamo avanti così, in controtendenza mentre fuori impazza la crisi.”