Il NUOVO OTELLO della SONY
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Venerdì 03 Aprile 2020 15:52

                                                      

Esce per la Sony l’atteso Otello di Verdi con Jonas Kaufmann protagonista, Federica Lombardi nel ruolo di Desdemona, Carlos Alvarez come Jago nelle parti principali.

Sul podio Antonio Pappano con i complessi dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Comincerei proprio dalla concertazione attenta e meticolosa di Sir Anthony Pappano che conferma tutte le sue doti precipue: precisione, esattezza nella scelta dei tempi senza stramberie di sorta (dote non da poco soprattutto oggi in cui la sregolatezza domina sovrana tra i direttori d’orchestra),cui dobbiamo aggiungere la nitidezza dell’orchestra in tutte le sue varie sezioni, tanto da “raccontare” la  complessa partitura verdiana come soltanto pochi maestri hanno saputo fare nella storia di questo capolavoro. Pappano, inoltre, è maestro eccelso nel saper SEGUIRE il Canto. Uso le lettere maiuscole perché anche questa dote, che dovrebbe essere scontata, oggi non lo è affatto:in troppe occasioni abbiamo dovuto subire concertazioni di carattere eminentemente sinfonico, a tutto discapito della compagnia di Canto. L’esecuzione nel suo complesso è quindi eccellente, il meglio oggi possibile. Quello che a tratti manca, soprattutto nei momenti eclatanti del primo e del secondo atto è la grandiosità maestosa che sapeva imprimere un Karajan: per esempio la Tempesta non è così esaltante (sembra addirittura mancare , o non è messo in rilievo, il cluster  do-do diesis- re voluto da Verdi a sottolineare la cupa tragicità di questo momento) oltre all’effetto dato dalla macchina del vento (richiesta) e dai tuoni. Il suono che Pappano sa imprimere ai magnifici complessi di Santa Cecilia è molto levigato, intendiamoci, elegante , ma a tratti manca  il senso del dramma , il terrore, che altri maestri sapevano porre in rilievo, tra questi citerei oltre al sunnominato, inarrivabile Karajan, anche Furtwaengler, Beecham, Sir John Barbirolli, lo stesso Kleiber (quello a cui Pappano più si avvicina, a mio parere). L’Otello di Pappano è ascrivibile al novero degli Otelli in cui prevale il lirismo, nel senso più elevato del termine e in questo contesto stanno benissimo le voci selezionate per il cast, con dei necessari distinguo.

Kaufmann , come suo solito, vince alla lunga distanza dopo un “Esultate” che non può competere con i cannoni di Del Monaco o le sciabolate del mitico Francesco Merli. Dove Kaufmann si mangia tutti è nella innata sottomissione al segno scritto (caratteristica che fu già del suo conterraneo Fischer Dieskau) inteso come una guida assoluta e imprescindibile: se Verdi scrive pianissimo ,Kaufmann esegue a regola il pianissimo; se Verdi indica una forcella che segna un crescendo o un diminuendo, Kaufmann esegue senza meno e senza mai indulgere alla cosiddetta “tradizione” . Lega a meraviglia intere frasi “Se dopo l’ira immensa vien quest’immenso amor” come nessuno ha saputo fare prima, seguendo la strada che Vickers seguì prima di lui sia con Serafin che con Karajan. Certo, la natura “lirica” di Kaufmann esce fuori in tutta la sua evidenza nei momenti in cui si potrebbe auspicare una maggior drammaticità nella voce , per esempio nel grande duetto con Jago che chiude il secondo atto.Ma chi ha stabilito che Otello, nero di pelle, sia anche nero di voce? E’ un luogo comune. Lauri Volpi fu Otello alla Scala con voce alta e saettante, non certo di colore baritonale; Pertile idem; Merli lo stesso e così Martinelli, i primi Otelli storici che mi vengono in mente. Poi arrivò Toscanini con Vinay, tenore scuro (destinato a chiudere la carriera come baritono e persino basso!) , arrivò il grande Del Monaco (l’Otello per antonomasia) il quale intelligentemente poté cantare 500 volte Otello proprio mantenendo ALTA la posizione della sua voce, come si evince dall’ascolto delle sue innumerevoli registrazioni. Kaufmann  ha un altro pregio oltre la musicalità e il senso stilistico: sa “girare” benissimo i suoni di passaggio verso gli acuti.I suoi si bemolli e si naturali sono facili e molto ben proiettati, così anche il do della “vil cortigiana” : natura certo ma anche molto studio. Il duetto finale del primo atto, “Già nella notte densa” , è un piccolo capolavoro in sé per la quantità di colori e le giuste intenzioni interpretative, con l’apporto di una delicatissima Desdemona e la magnificenza dell’orchestra di Santa Cecilia (assolo di violoncello grandioso!).Lo stesso dicasi per “Ora e per sempre addio” , per il secondo duetto, quello del III atto, per il monologo “Dio mi potevi” , davvero perfetto,  e per la commoventissima scena della Morte.

Federica Lombardi è Desdemona battuta dopo battuta.Inizia un pò timida, qualche acuto è leggermente “impaurito” ,ma via via prende quota e giunge a una ottima esecuzione del grande duetto del III atto. La sua voce è di bellissimo colore, un lirico pieno del genere della prima Tebaldi , dizione perfetta (salvo qualche piccolo vezzo tipo “il mio sorrUso” invece del “sorriso” prescritto), accenti sempre giusti , una bella partecipazione emotiva (vedi Concertato finale del III atto). Manca ovviamente ancora la Santa Esperienza, cioè il possedere quelle scaltrezze che solo la pratica teatrale sa suggerire , anche a livello tecnico: perché la base, cioè l’appoggio ferreo di tutta la gamma vocale, è studio ma è soprattutto esperienza sul campo. Ogni tanto gioca un pò sulle vocali , che per eccesso di “impostazione” diventano improvvisamente e inutilmente oscure.Con il tempo la voce sarà certamente più libera, le doti ci sono tutte per una grande carriera.

Veniamo all’elemento per me più deludente e cioè il baritono Carlos Alvarez, che pur avrebbe di natura una voce molto timbrata e di bella grana. Credo che l’errore di fondo sia nell’approccio al personaggio , forse per scelta dell’interprete, forse per scelta del direttore e suppongo, comunque, di entrambi. Alvarez opta per lo Jago morchioso , cupo e sinistro di molti baritoni del passato, quindi uno Jago sostanzialmente monocorde, avaro di pianissimi, tonitruante , cioè l’esatto contrario di ciò che Verdi richiese a mani giunte. Famosa la lettera in cui l’Autore chiese uno Jago interamente cantato a mezzavoce, come un prete , falso, insinuante, sottile, cinico, perfido e diciamo pure “bastardo dentro”.Ma non fuori. Se la cattiveria viene esposta platealmente non ha più effetto, la vera cattiveria è subdola .Lo sapevano bene Lawrence Tibbett, Mariano Stabile,Tito Gobbi, Fischer Dieskau, il grande Taddei ( lui poi aveva tutto, perché al meraviglioso colore univa la sottigliezza e la facilità nelle nuances) , Cappuccilli guidato da Kleiber e…qui mi fermo poiché dopo questi mostri sacri il personaggio di Jago ha subìto una notevole battuta di arresto. Alvarez fraseggia in modo classico e supera ogni scoglio vocale con il Canto puro, diciamo con la “Scuola”. Ma dove sono i colori del Sogno (“Era la notte”) ? Tutto cantato forte o al massimo mezzoforte. Dove sono i pianissimi cinici di “Vigilate” , la vera frase del prete? Nulla, li canta forte. E’ uno Jago a senso unico e a questi livelli non può bastare.

Citerò molto velocemente le seconde parti , che sono tutte molto corrette e ad alto livello: in primis Riccardo Fassi come Ludovico, Fabrizio Beggi Montano e Carlo Bosi perfetto Roderigo. Voci importanti che rendono prezioso ogni loro intervento. Meno convincente il Cassio di Liparit Avetysian, troppo leggero a mio parere, e ottima l’Emilia di Virginie Verrez anche se pure lei negli acuti cambia la dizione “un gran delOtto” invece che “delitto”, quelli che definisco “eccessi di impostazione”.

 
ADDIO FRANCO ZEFFIRELLI, MAESTRO del BELLO
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Sabato 15 Giugno 2019 14:02

                       Zeffirelli1

Scompare con Franco Zeffirelli un Grande Maestro, leggerete così un pò ovunque. In effetti

il termine “Maestro” è tra i più inflazionati e abusati, nell’ambiente musicale soprattutto. Tutti

Maestri, tutti Grandi Maestri ma pochi….VERI. Antonio Guarnieri, un fantastico direttore

d’orchestra che osò zittire Mussolini e fu capace di protestare suo padre stesso, giudicato

incapace di suonare nell’orchestra di Bologna ,restò famoso per un aneddoto che ancora

circola tra gli appassionati d’Opera. “Mi, ciamame Mona” soleva rispondere a chi ogni

cinque secondi lo chiamava “Maestro”, magari salutando un assistente o un collaboratore di

sala.


Zeffirelli è stato un Maestro .Un Maestro  cultore e difensore ultimo della Bellezza.


“La Bellezza- diceva Oscar Wilde- è una forma del Genio, anzi, è più alta del Genio perché

non necessita di spiegazioni. Essa è uno dei grandi fatti del mondo, come la luce solare, la

primavera, il riflesso nell’acqua scura di quella conchiglia d’argento che chiamiamo luna”. 

Non occorre essere dei grandi esperti per verificare il culto della Bellezza espresso nei

colori, nelle luci, nei disegni ,nella fotografia, nei costumi, nell’impianto generale di un’Opera

o anche di un film di Franco Zeffirelli: anche un bambino (e forse soprattutto quello) capirà

che ci troviamo di fronte a un regista\scenografo con la cura ossessiva del dettaglio,

provvisto di quel senso del grandioso e del Bello che solo chi ha gusto può avere.


Qui entriamo in un terreno spinoso, ma noi amiamo sfidare e sfrondare i rovi di certe

ideologìe opposte, quelle per cui “non è Bello ciò che è Bello, ma è bello ciò che piace”.

Quale solenne stupidaggine! Quale gloriosa bufala! Dobbiamo cominciare a sbarazzarci

dell’etica e a ricollocare l’estetica al primo posto, la Bellezza non può essere interrogata ma

regna per diritto divino (ed è ancora Wilde a portarci sulla retta via). Siamo stati afflitti e

ammorbati dalla pervicace cultura dell’Orrido intesa come tragica conseguenza della

miseria del mondo, dell’imperfezione che dilaga .Oltre un certo grado la Bellezza, come

l’eleganza, non è più una semplice sfida al Brutto, ma una provocazione, anzi un oltraggio:

ciò spiega l’odio che non poca gente nutre verso di essa.


                     zeffirelli2



Zeffirelli ebbe in dono il gusto e fu meravigliosamente eccessivo, in tutto ciò che concepì

per cinema e teatro. I suoi spettacoli ebbero il sigillo del Grandioso e fu un vero

appassionato, perché ogni passione è  come la Natura: è tale solo perché eccede.Fu così

che nel 1949 presso il Giardino di Boboli a Firenze (luogo caro ai fasti medicei) si poté

assistere all’incredibile messa in scena di “Troilo e Cressida”  di Shakespeare, con la regìa

di Visconti e la messa in scena favolosa di Zeffirelli, che riuscì a ricreare l’intera città di Troia

sull’immenso palcoscenico. Ventotto cavalli in scena e un costo di oltre un milione e mezzo

di euro (nemmeno tanto considerando certi orrendi allestimenti attuali più o meno allineati

su queste cifre). Tra gli attori il meglio del meglio: Carlo Ninchi, Paolo Stoppa,Giorgio De

Lullo,Vittorio Gassman,Marcello Mastroianni,Franco Interlenghi,Rina Morelli,Giorgio

Albertazzi.Questo mega evento scatenò critiche a non finire, si parlò di sprechi indecenti, di

cifre immorali. Fu probabilmente l’inizio di quel partito preso contro lo Zeffirelli esagerato e

pleonastico, che infastidiva per il fasto e per il “troppo”.

Gli venne appiccicato addosso un pesante fardello e le idee politiche manifestamente

reazionarie, per nulla allineate alle convenzioni tipicamente teatrali “di Sinistra” e ,anzi,

fortemente contrarie , lo bollarono ponendogli tutta la stampa contro .

Si assistette al paradosso classico: pubblico , soprattutto estero, a favore…critica avversa.

Zeffirelli sfornò una produzione incredibile, tra film e spettacoli d’Opera e di prosa: “Romeo

e Giulietta”, “La bisbetica domata”, “La lupa”,”Amleto” , “Gesù di Nazareth” , un numero

impressionante di Opere eseguite con i massimi interpreti, da Otello con Domingo e la Freni

alla Scala, all’Alcina di Haendel con la Sutherland, Aida con la Caballlé diretta da

Schippers, la leggendaria Bohème (tra gli spettacoli più replicati di sempre), il Falstaff, il

Don Giovanni, arrivando dal 1995 ai memorabili approdi areniani a Verona: “Carmen”,

“Trovatore”,“Turandot”, “Aida” ,”Butterfly” ,”Don Giovanni”, uno più bello dell’altro.


                    zeffirelli3


Permettetemi una serie di ricordi personali. Fu mia madre  a farmi conoscere Zeffirelli,

quando lo intervistò per la Traviata del celebre film, con Teresa Stratas e Placido Domingo.

Io andavo ancora a scuola ma quel giorno mi fu concesso di saltare le lezioni per riceverne

una che fu la più importante e che cambiò la mia vita. Entrammo nella grande villa

sull’Appia antica, il Maestro ci ricevette in un ampio salone tipo patio, un padiglione con

ampie vetrate che pareva la scena di un Suo film. Il secondo atto di Traviata, in tutto  e per

tutto: vasi , ceramiche, quadri, cornici e stucchi dorati,tappetti, divani che sembravano

grandi nuvole , mobili di grande pregio e tanti cani, di cui Zeffirelli amava circondarsi senza

mai separarsene. Il primo episodio che raccontò era accaduto la giornata precedente, sul

set di Traviata . Durante le riprese aveva scorto la sagoma di uomo, dietro a una

specchiera, una figura non prevista dal copione. “Ma chi caXXo è quello !!!” (Zeffirelli era

piuttosto sboccato quando si alterava) . Avvicinandosi si accorse che era Federico Fellini,

nascosto dietro a quella quinta. “Scusami Franchino” , bisbigliò timidamente, “ mi ero

nascosto qui per vedere i bambini che giocano”. Si riferiva alla Festa in casa di Flora. Era

un piacere ascoltare Zeffirelli. La parlantina veloce e irrefrenabile, tutto un susseguirsi di

episodi legati a personaggi che avevano fatto la storia del Teatro e dello Spettacolo:

Magnani, Visconti, Callas, Lawrence Olivier, Welles, e poi ancora Karajan, Kleiber, Giulini,

Abbado, Domingo, Freni. Rimasi incantato e alla fine, con estrema gentilezza, mi invitò ad

assistere alle prove di Traviata a Cinecittà, perché avevo detto di essere molto

appassionato d’Opera. Nel giardino, come un fantasma, fluttuava una figura vestita di

bianco: era la Stratas, ospite nella villa di Zeffirelli. “E’ completamente pazza ma è Violetta

Valery, come io la immagino” -disse il Maestro commentando questa apparizione- “ogni

tanto si ritira in camera a dire le sue orazioni, poi va in scena e si trasforma”. Anni più tardi

la Stratas, abbandonate le scene, si fece suora.


Nel 1995 a Verona fu Maurizio Pugnaletto, fantastico capo ufficio stampa dell’Arena e amico

carissimo, a farmi il più bello dei regali. “Ti ho messo nel posto accanto al Maestro, che

seguirà la  Carmen dal palco centrale in fondo alla platea dell’Arena.” Stavo per svenire. Mi

presentai nuovamente, nonostante lo avessi ormai incontrato tante volte nei teatri e anche

intervistato per la Barcaccia. “Il fedelissimo!” , esclamò vedendomi e mettendomi subito a

mio agio. Fu una di quelle esperienze che ti cambiano la vita. Seduto accanto a Zeffirelli per

tutta la durata della Carmen, parlando e ascoltando soprattutto. Uno spettacolo di bellezza

straordinaria: nella prima versione (quella che oggi non esiste più perché spazzata via da

un nubifragio) ,su tutti gli spalti dell’Arena era stata ricreata Siviglia, ma con una ricchezza

di dettagli che forse riconduceva al mitico spettacolo del Giardino di Boboli. Qualcosa di non

credibile: l’Opera come ognuno di noi che la amiamo vorrebbe vederla. Grande, BELLA,

viva, palpitante di situazioni diverse e perfettamente in linea con la musica di Bizet. Zeffirelli

fece una radiocronaca del suo spettacolo, minuziosa e delicata come parlasse di un figlio.

Mi avvisava prima di ciò che stava per accadere e si soffermava soprattutto sulle

controscene, assolutamente cinematografiche. Non bastò una volta per capire e vedere

tutto, tante erano le situazioni, i personaggi, le gag di questa Siviglia brulicante di comparse

e figuranti, oltre al grande Coro e ai solisti di Canto. Parlammo di tutto ma soprattutto di luci

e costumi. Gli dissi che avevo lavorato con Luigi Comencini per Don Carlos e Bohème

(quella pubblicata in video dalla Erato Film con Carreras e la Hendryks) . “Ma che caXXo ne

sa Comencini d’Opera?” , disse Zeffirelli cattivissimo. “Guarda” , continuò, “ se un giorno

vorrai fare regìa d’Opera, ricordati che le luci sono importantissime, non vanno trascurate.

Qui a Verona abbiamo lavorato non so quante ore per ogni memoria. Quello è il segreto. E

in particolare usa l’oro con il rosa, è un abbinamento meraviglioso.” Non mi sono mi

dimenticato quella lezione, sono parole che mi risuonano nel cervello ogni volta mi accingo

a comporre i quadri delle luci, un momento che attendo con particolare fervore e

concentrazione. Dissero di Zeffirelli che esagerò e che affastellò il palcoscenico di orpelli

inutili, un pò ricreando gli ambienti della sua splendida magione romana. Ci vuole molto stile

nel saper esagerare e una vera Opera d’Arte cos’è se non la forma più alta di

esagerazione? Grazie  Franco Zeffirelli, Maestro del Bello e dell’Eccesso.

 

                 zeffirelli4

 


 
Turandot esalta il pubblico di Ankara
Recensioni
Martedì 19 Marzo 2019 07:45

 

                                          turandot_ankara3

Ankara, 16 marzo 2019.

Un esito trionfale a dir poco per la Turandot di Puccini presso il Teatro dell’Opera di Ankara,

con la sala gremita in ogni ordine di posto. E’ inutile nascondere l’orgoglio di essere stato

presente a questo evento, unico italiano in sala assieme ai due addetti d’ambasciata ,al

regista, al maestro del Coro e al direttore d’orchestra .Quando si rappresenta l’Opera ,e in

particolare modo l’ultimo capolavoro di Puccini interamente prodotto dalla Turchia

,l’emozione è più intensa e si tocca con mano la carica dirompente di questa musica che sa

valicare ogni confine culturale, ogni barriera linguistica. La Turchia offre da anni una realtà

esecutiva e una qualità che temono ben pochi confronti:giovane e travolgente l’orchestra,

precisa nel suo ensemble e negli assoli, poderose le voci del Coro, magnifici i solisti di

Canto, con alcune punte di emergenza che ora sottolineeremo come meritano.

 

                                                   karahan2

                                                              Murat Karahan


L’evento non sarebbe stato possibile, è bene specificare subito, senza la costante e

appassionata gestione di un giovane già affermatissimo tenore, responsabile di tutta la

programmazione operistica del Suo paese, Murat Karahan, una vocalità straordinaria in

possesso oggi dei migliori acuti possibili per la corda del lirico spinto. Manager accorto e di

inesauribile energia ,Karahan sa essere un Calaf eroico e vincente fin dalla sua prima

entrata in scena, dimostrando oltre alla doviziosa resa vocale una capacità attoriale

completa, già molto apprezzata all’Arena di Verona in questi ultimi anni , al San Carlo di

Napoli ,al Regio di Torino, al Massimo di Palermo e in molti grandi teatri mondiali. Quello

che colpisce di Karahan non è soltanto l’acuto vittorioso e spavaldo, ma la varietà dei colori,

l’uso sapiente della mezza voce ,l’ottima pronuncia italiana, quindi il fraseggio, perfezionato

alla scuola di Renata Scotto dopo gli studi nella natìa Ankara. I suoi idoli sono Gigli,Di

Stefano, Pavarotti ,una linea che definirei “aurea” e conversare con Karahan significa sentir

nominare questi tre pilastri della vocalità con devozione e volontà di continua ricerca

tecnica. Prima dello spettacolo i vocalizzi si spingono fino al fa e al sol sopracuti, eseguiti

con una facilità e una libertà di suono da non credere. “E’ la antica tecnica della grande

scuola italiana” , ci dice Murat Karahan, “la gola aperta,  appoggio e maschera, mai

spingere alcun suono, restare morbidi e non pensare ad alcun passaggio.Bisogna salire in

assoluta libertà, senza contrazioni.” E’ un vero piacere parlare con lui di tecnica, in un

mondo soprattutto tenorile, popolato da nasi, gole profonde, suoni morchiosi ,acuti

traballanti.” Io adotto il sistema dell’aperto\coperto ,l’unico che possa assicurarmi una salita

comoda verso l’acuto”, dice Karahan, “ non si deve coprire chiudendo la gola ma con il

sostegno del fiato.” Ambrosia per le nostre orecchie. Un giorno voglio dedicare al tema

dell’aperto\coperto un ampio articolo:Kraus diceva le stesse cose  ,”Si deve coprire con la

testa ,non con la gola!”, precetti aurei ma non per tutti. Il guaio di oggi sono i molti pessimi

maestri in circolazione.

 

                   Turandot_ankara2

 

Inutile dire che i momenti apicali della Turandot di Ankara sono stati le arie di Calaf, la

chiusa impressionante dell’aria di Turandot con un do all’unisono di stupefacente

lucentezza, l’altro luminosissimo do acuto “Ti voglio ardente d’amor” nel secondo atto, il

finale di Alfano cantato con assoluto dominio di ogni frase.

 

Al fianco di questo caterpillar della vocalità, un cast molto omogeneo e selezionato con

cura: la Turandot limpida e svettante di Mehlika Karadeniz Bilgim, che si è imposta in una

prestazione in crescendo, regalando lame di suono impressionanti nell’atto finale; la Liù

attenta e concentrata di Tugba Mankal; il magnifico Timur del basso Safak Gük, davvero

impressionante per squillo e bellezza timbrica; un Trio ben assortito di Maschere con il

baritono Cetin Kiranbay e i tenori Arda Dogan e Veysel Bans Yanç. Di grande spicco il

Mandarino del baritono Umut Kosman e l’Imperatore del tenore Cem Akiüz.

 

A rappresentare l’Italia due caposaldi essenziali dello spettacolo: il maestro concertatore 

Antonio Pirolli e il regista  Vincenzo Grisostomi Travaglini, che in Turchia è di casa da quasi

vent’anni con reiterati e apprezzatissimi consensi. La direzione è stata di rara compattezza

e brillantezza, direi asciutta, senza  cedimenti e questo ha garantito uno svolgimento molto

coerente e regolare, con Coro e Orchestra di rara precisione.Ottimo il lavoro svolto dal

Maestro del Coro,Gianpaolo Vessella, anche lui in scena assieme ai Suoi.

 

                     turandot_ankara4

 

La messa in scena, assolutamente ligia alla tradizione, vedeva rispettato il clima fiabesco

voluto da Puccini, senza stravolgimenti di sorta. Molto curate quindi le scene di Ozgür Usta

e i costumi di Savas Camgöz, così come le perfette coreografie di Göksel Armagan Davran.

Vincenzo Grisostomi Travaglini ha “raccontato” al pubblico la Turandot così come Puccini

l’ha concepita, cosa oggi affatto scontata ; ricordiamo che fu sua la regìa ad Aspendos che

riportò l’anno scorso Turandot in Turchia dopo 18 anni. Un lavoro molto meticoloso e fatto

con amore e competenza, uniti all'esperienza accumulata in questi ultimi anni.

Grandissimi applausi per lo spettacolo al termine e continue chiamate alla ribalta .

 


 
BRAVO BRAVO DON PASQUALE
Recensioni
Mercoledì 13 Marzo 2019 20:55
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Il Carlo Felice di Genova ripropone dopo molti anni di assenza dal cartellone un classico

dell'opera comica, per non dire una summa: il Don Pasquale di Donizetti, un tempo

opera di pieno repertorio, oggi un pò meno ma sempre una splendida occasione per

ammirare il genio dell'autore bergamasco. L'edizione genovese punta su un cast molto

ben amalgamato, capitanato da una fuoriclasse che -udite udite- cantava per la prima volta

in Italia il personaggio di Norina: Desirée Rancatore. Una felicissima intuizione quella di

aver proposto alla Rancatore un ruolo cucito su misura per lei. Norina è un lirico di agilità

e nel corso della sua storia è stata interpretata dalle più grandi vocaliste della corda

eminentemente lirica: senza andare troppo indietro nel tempo ricordiamo almeno la Scotto,

la Dessì , la Netrebko, tutte voci in grado di spaziare ben oltre i limiti imposti dal

repertorio leggero. La Rancatore è perfetta, sia come vocalità sia come carattere: nei vari

passaggi della vicenda può giocare a far la maliziosa, la civetta, la bizzosa ma anche

l'innamorata persa del suo Ernesto, superando ogni ostacolo vocale con grazia e persino

strafottenza : la bomba che chiude il grande concertato del secondo atto è un evidente

omaggio ai nuovi approdi della Rancatore, non più usignolo liberty ma anche intensa

tragédiènne in Norma e Traviata.Magnifico il duetto con Ernesto e il finale, variato a

regola d'arte.

Con un simile motore in scena, il resto del cast ha  potuto divertirsi e lasciarsi andare a una

magnifica performance.

 

                      donpasqualenorina-H190306110710

 

Per  primo il memorabile

Ernesto di Juan Francisco Gatell, tenore di grazia degno erede del sommo Luigi Alva.

Intonatissimo, nobile, sicuro in ogni passaggio, Gatell ha avuto calorosi applausi sia

nell'aria "Cercherò lontana terra"  sia dopo la Serenata dell'ultimo atto, eseguita da grande

tenore.

Don Pasquale alla Prima era il giovane Giovanni Romeo, bravo in scena e di bella voce

timbrata, decisamente chiara ma molto ben educata, con il baritono Elia Fabbian nei panni

del Dottor Malatesta, forse un pò pesante nelle agilità ma efficace nel caratterizzare un

simpatico gaglioffo.

La regìa ,molto vivace e colorata del duo Doucet-Barbe, ha rispettato la drammaturgìa

del capolavoro senza stravolgerne troppo i connotati. Molti dettagli si perdevano a distanza

ma venivano messi molto bene in evidenza dalla ripresa in streaming e facevano capire il

grande lavoro svolto.

Ottima la prova dell'Orchestra guidata da Alvise Casellati, brillante e meticoloso al punto

giusto con qualche rallentando di troppo ma nel complesso efficace.

Bravo il Coro, istruito da Francesco Aliberti.

Un bel colpo messo a segno dal teatro genovese, dopo lo splendido Simon Boccanegra di 

un mese fa.

 

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