Prima che sorga il Sole...
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Sabato 10 Febbraio 2018 11:13

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Dalla notte dei tempi l’orrore, la paura, l’emozione negativa rappresentano una insospettata

fonte di emozione e di attrazione per l’essere umano.La mitologia è un coacervo di

situazioni horror, tali da far impallidire il più trucido Dario Argento, non parliamo poi

dell’Inferno di Dante, della letteratura gotica, arrivando ai grandi maestri dell’800\900 e

finalmente alla cinematografia, che sul genere horror ha costruito il proprio costante

successo , soprattutto su giovani e giovanissimi. Persino l’Opera lirica ha visto trame horror

di straordinaria qualità, oggi esaltate da regìe sempre più inquietanti e spaventose.

Il professore emerito S.Fischoff, dell’ Università di Psicologìa di Los Angeles ha sintetizzato

efficacemente un concetto:


"Uno dei motivi principali per cui andiamo a vedere i film di paura è quello di avere paura.

Sappiamo però che usciremo da quell'incubo in un paio d'ore e senza farci un graffio. (...)

Se abbiamo una vita relativamente calma, uno stile di vita tranquillo, potremmo aver voglia

di cercare qualcosa che sarà eccitante perché il nostro sistema nervoso ha bisogno di

stimoli. (...) Ci sono persone che hanno un enorme bisogno di stimoli ed emozioni. I film

horror sono uno dei modi migliori per ottenerli. (...) Questo succede più che altro per un

target giovanile. Le persone anziane hanno una stimolazione diversa e non amano i film

horror. La vita vera è piena di orrore e non trovano più divertenti i film del genere".


              baglioni


Su queste dotte basi scientifiche hai finalmente capito l’impostazione scelta dagli autori di 

SANREMO 2018: un festival decisamente horror, una manifestazione di cui avere paura.

 Il  filone NOIR si manifesta subito nel “dittatore artistico” , come ama farsi chiamare,

nonché conduttore ,Baglioni. Un tempo idolo incontrastato delle teen-agers , quelle dalla

maglietta bagnata pronte ai piccoli grandi amori, ora allampanato Zalamort, rivale  in Arte di

Valentin le Désossé, sosia inquietante di Lurch, l’ineffabile maggiordomo di casa Addams.


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Accanto a lui, sinistro officiatore dei riti canori organizzati sul palco luminescente

dell’Ariston, la bionda parvenza della Hunziker , direttamente uscita dal Settimo Sigillo di

Bergman. Lei è il simbolo della Morte ma una bella morte. Diremmo meglio, sempre per

restare nel mondo del cinema, la Morte ti fa bella. Tra un ghigno e l’altro , mostrando la

chiostra dentaria fosforescente , la conduttrice svizzera elenca nomi e codici abbinati ai

diversi révénants  fino a un grandioso “Dirige l’orchestra Peppe FESSICCHIO” (invece del

corretto Vessicchio) ,che è uno di quei lapsus che  nemmeno Lino Banfi al meglio avrebbe

saputo inventare. Dal canto suo, il Vessicchio abbozza , sempre più simile a un inusitato

mix tra Giuseppe Verdi e uno Schnauzer. Partecipa al canoro Voodoo anche un bravo

attore, il cui look aggressivo e licantropico è perfetto per completare il trio.


     vessicchio vessicchio_verdi

 

Riguardo i cantanti in gara e le loro prestazioni tutto è in perfetta sintonia con l’impostazione

horror: personaggi, abiti, testi, musiche. In una veloce sequenza ricorderò la teoria

interminabile di  trapassati remoti, nomi che pensavamo allegramente pensionati e che

invece impazzano come se i secoli non fossero mai trascorsi. Poi dicono che l’Opera è

gerontofila??!!Ma dove??! Ieri pomeriggio mi è persino sembrato di vedere Gino Paoli alle

prese con un terrificante tentativo di “intonare”  la famosa canzone “Il nostro

concerto”.Sicuramente un’apparizione che io ho solo immaginato.

Tra i giovani molti cantanti macilenti e dalle fattezze vampirizzate, donne\strega ,Mirko il

Cane (si chiama così?) . Canzoni che parlano di specchi rotti, di stato sociale, ci rendiamo

conto? Nessuna che nomina lo spread? La recessione? Lo sbarco dei migranti? Le tasse?

Eh no…per quello ci penserà un altro tipo di plotone zombie, quello dei politici.

Non manca nulla, c’è persino un tale che si fa chiamare ULTIMO,che arriva primo per

Sanremo Giovani ,premiato dal Presidente della Regione, Toti, sosia di Placido Domingo

quando ebbe i suoi primi quarant’anni.

Ogni canzone proposta  è una DANSE MACABRE, i ritornelli ricorrenti sono : “COME STAI?

COME VA?"..."DOVE VAI, COSA FAI?"...

La STONATURA E’ D’OBBLIGO, stonatura intesa come errata intonazione di una o più note

nell’ambito del pezzo interpretato. Credo che anche questa sia una precisa scelta, forse

addirittura una imposizione: essendo l’intonazione un dato piacevole, armonico non può

significare in alcun modo il senso del macabro, del deceduto, del trapassato. La stonatura di

tutti o quasi i partecipanti al grande Sabba è la colonna sonora perfetta, il passaggio

obbligato  e la presenza di taluni cantori, involontariamente intonati, è quasi un pugno nello

stomaco.


               Sanremo_martire


Nessuno in realtà canta, nel senso classico della parola. Alcuni snocciolano parole

insensate, altri parlano del congiuntivo (modo verbale che pochissimi padroneggiano e che

viene ora proposto come la scoperta di un nuovo vaccino), taluni sfornano comizi tipo Paolo

Rossi, affiancato a una forsennata che molinando le braccia pare minacciare i poveri

bambini dell’Antoniano, trascinati come vittime sacrificali nel pauroso officio.

Non manca la presa per i fondelli dell’Opera lirica. Nelle Messe nere è consuetudine

parodiare le Messe normali, quelle in cui si invoca il Signore e non Belzebù: i monaci

maledetti insozzano le ostie consacrate, capovolgono le croci e compiono altri atti che

preferiamo qui non raccontare. Allo stesso modo Sanremo umilia e mortifica l’Opera, vista

come grande pauroso feticcio del Bello:  a Nessun dorma ci pensano i tre genietti del Volo,

abbastanza bravi da piccoli poi dopo aver studiato Canto- mi dicono a Bologna- si sono

ritrovati malconci, come spesso capita quando ti SPERFEZIONI. Alla Donna è mobile ci

pensa un signore con chitarra, classico tipo clochard, di nome Taylor, mentre la Traviata con

l’immancabile Libiamo viene ridotta in poltiglia da un tragico coretto.

 La galleria si fa vieppiù macabra: Biondi si presenta come il solito ottavista finto-bulgaro

emettendo note che non esistono in natura, in coppia con uno strano extraterrestre.Enrico

Ruggeri  appare sul palco con una band di pensionati inglesi in vacanza (uno di loro

identico all'ex allenatore Sacchi), la Vanoni miracolosamente riesumata viene affiancata da

un silente Preziosi, Facchinetti e Fogli con le coronarie a repentaglio riescono a

sopravvivere a una canzone pericolosissima  per le troppe note acute che gonfiano a

dismisura le giugulari,Cristicchi parla di mamme morte, bambini orfani e tutti a fare

scongiuri.Poi c’è Luca Barbarossa , che rinnova i fasti di Lando Fiorini e dei Vianella,

sfiorando il "Daje de tacco, daje de punta".Appare, evocato, il Diavolo nelle sembianze

di Piero Pelù. La Nannini duetta satanicamente con Baglioni, è l'acme.

Il rito non sarebbe completo se a fianco dei sacerdoti sopra elencati non sfilasse uno stuolo

variopinto  di  “direttori d'orchestra”, abbigliati in forme carnascialesche, presenti in un

numero superiore a quello che l’intera stagione di Santa Cecilia non riesce a proporre in un

anno. Dopo la mezzanotte cessa il tintinnìo delle dentiere e , come da regolamento, The

Others si ritirano buoni buoni nei loro sarcofagi, prima che sorga il Sole.


 
Paolo Isotta commuove e racconta il Canto degli animali
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Venerdì 09 Febbraio 2018 09:22

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Con quei colpi d'ala che solo i grandi scrittori posseggono, Paolo Isotta in

sette righe iniziali afferma con inusitata potenza narrativa il profondo senso

del Suo ultimo libro:

"L'espressione degli animali non può prescindere dalla contemplazione della

sovrana mansuetudine colla quale essi patiscono per nostra mano.Onde

vorrei esordire colla memoria di Mitzi. Questa femmina di delfino veniva

umiliata nella dignità e nell'intelligenza e  tormentata per essere usata nei

giuochi dei turpi delfinari che dagli Stati Uniti si sono diffusi in tutto il mondo; il

suo domatore, Richard O'Barry,la vide avvicinarsi a lui e accomiatarsi con

un ultimo gesto di amore. Subito dopo Mitzi si sarebbe uccisa:i delfini sanno il

suicidio interrompendo il respiro."


E' il Proemio del Canto degli animali, I nostri fratelli in musica e in

poesia, per i tipi della Marsilio Editore, un compendio eccezionale che ha il

solo grande scopo di invocare l'aboilizione della caccia, dei circhi (aggiungo

le barbariche Corride e l'osceno Palio di Siena) e di tutti

quegli odiosi sistemi atti a torturare le creature migliori presenti sulla Terra,

sicuramente quelle più affascinanti e in certi casi più leali e fedeli all'uomo .

Al tempo stesso Isotta racconta,con attentissima analisi, come l'Arte si sia

occupata degli animali, assai più della Scienza, conoscendo e cantandone

le gesta, illustrando la fratellanza che a loro ci lega.

Il libro è forse il capolavoro di Paolo Isotta. Qui ritroviamo, sublimata, la Sua

profonda dottrina, il "Sapere" che non è nozione, il Significato e il suo

Significante, laddove la forma rinvia al contenuto senza che l’una si

confonda con l’altro.


            isotta2



La disamina parte dall’origine della musica e del linguaggio Ovidio e Lucrezio

ci ricordano il Canto che nasce per imitazione degli uccelli e Paolo Isotta lega

direttamente la nascita stessa della Musica alla presenza determinante degli

animali, scoprendo i loro sentimenti e la loro espressione. Una silloge, come

l’Autore spiega, di meraviglie musicali, poetiche e narrative. Sfogliando

questo meraviglioso volume, di cui personalmente sono grato, ci si imbatte e

ci si bea di citazioni poetiche immense: da Virgilio a Baudelaire, Borges,

Shelley,Flaubert, Keats ma , chi non dovesse sapere, scopre anche le

musiche di Rameau, Pasquini, Haendel, arrivando a Saint-Saens, Wagner,

Stravinskij,Ghedini, Respighi, Messiaen,Bartok.


Non devo dire io quale straordinaria capacità evocativa e quale dottrina

muove la penna di Isotta, la cui prosa è musica essa stessa.Il libro va come

sempre letto e riletto, non basta certo una sola rapida scorsa. Le parentesi e

le aperture di pensiero continue rimandano a una visione del mondo e della

Storia vastissime, direi infinite, e mi fanno subito pensare per analogia alle

Sonate di Schubert, che iniziano e poi volano verso uno spazio siderale

senza più limiti dove tutto è però intimamente, sottilmente collegato.


Un libro che ognuno dovrebbe possedere  per avere una visione diversa e

finalmente autentica della nostra vita e del rapporto giusto da stabilire con gli

esseri divini e magici con i quali dividiamo le nostre altrimenti limitate, e in

molti casi miserande, esistenze.


 
I MAESTRI CANTORI SI AFFLOSCIANO ALLA SCALA
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Domenica 26 Marzo 2017 22:33

 

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Con Wagner non si scherza. Nonostante la Scala abbia schierato un cast indubbiamente solido in partenza, con punte di diamante costituite da Daniele Gatti sul podio, il grande Albert Dohmen come Pogner, un “esperto” come Michael Volle nei panni di Hans Sachs e lo straordinario Beckmesser di Markus Werba, di gran lunga il migliore della serata, il terzo atto è caduto come un maglio sul collo del tenorino Erin Caves, sbiadito e tremebondo Walther von Stolzing, una delle parti più impegnative composte da Wagner . A dire il vero, dopo aver cantato con impegno e con una robusta vocalità i primi due atti, anche Volle è naufragato miseramente nel finale, giungendo afono alla grande perorazione che chiude l’opera.

Insomma:con Wagner è inutile sottilizzare, ci vogliono le voci che reggano l’impegno.

Daniele Gatti, da par suo, ha saputo tenere bene le redini dello spettacolo, scegliendo la strada del grande lirismo e della morbidezza, quindi sottolineando tante preziosità dell’immensa partitura. Peccato però che abbia sacrificato la parte “monumentale” che volenti o nolenti sussiste prepotentemente fin dal primo accordo.Direi anzi che ha volutamente bloccato ogni iniziativa pletorica degli ottoni, con gesti espliciti che indicavano un mezzoforte più che un luminoso fortissimo:ma Wagner è  anche quello, come ha ben indicato Thielemann riprendendo il meglio della tradizione dei Knappertsbusch, Furtwaengler e Karajan. Insomma: lirismo certo, finezze quante se ne vogliono, ma tutto deve finire in gloria e gli squilli degli ottoni non possono essere solo di velluto ma vogliono e pretendono la luce.

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Lo spettacolo di Kupfer presentava una Norimberga semidistrutta dalle bombe della Seconda Guerra (solita fissazione tedesca) , con una pedana girevole che mostrava i ruderi sotto varie prospettive. Effetti interessanti ma che dopo 5 e passa ore di spettacolo potevano risultare stucchevoli, con un grigiore permanente e costante e non pochi riferimenti del libretto che cozzavano vistosamente con la messa in scena. Ma già:chissene importa del libretto,se vengono citati “imperi germanici” ,”castelli” ,”damigelle” e modalità di canto arcaiche.L’importante è che si resti alla moda, come quei pantaloni stracciati che tanto piacciono ai teen-ager (e non solo) dell’ultimissima generazione.Saranno alla moda ma…sempre stracciati sono.

Attori cantanti bravissimi, in primis loderei il Coro, in forma strepitosa e così l’orchestra, che non ha fallito una sola entrata. Eccezionale.

Debole la Eva di Jaquelyn Wagner (tanto nomine) , alta bionda e di modesta vocalità, mentre risultava molto più incisiva e tagliente l’ottima Magdalene di Anna Lapkovskaja.Tra i maestri cantori emergeva il solo Dohmen come autorevole Pogner, gli altri sottotono.

Bravissimo il David del tenore Peter Sonn,che nonostante un paio di falsettini un pò troppo “-ini” si è fatto udire bene da tutta la sala del Piermarini, assai più dell’evanescente Walther.

Alla fine applausi per tutti, soprattutto indirizzati allo sventurato Volle, che li accoglieva con una smorfia come a dire: “scusate se non ho cantato alla fine”. Vabbé…dai…due atti su tre bastano per una risicata sufficienza.

Scusate la durezza ma siamo alla Scala con i Maestri cantori di Wagner, a Roma si direbbe “non sso’ mica pizza e ffichi!”.

 

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Buon compleanno Maestro Toscanini!
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Domenica 26 Marzo 2017 00:52
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La Scala festeggia i 150 anni di Arturo Toscanini con un grande concerto, nella stessa

giornata in cui Milano poteva accogliere il Papa in Duomo e il Presidente Mattarella

in teatro: bel colpo.

Il maestro Riccardo Chailly apre le danze con la Settima di Beethoven: una esecuzione

molto classica, trasparente e al tempo stesso brillante, senza mai indulgere a tempi

forsennati o a sonorità reboanti. Si distinguono gli archi della Filarmonica della Scala,

magnifici per compattezza e limpidezza, ma anche il  meraviglioso oboe solista e il

comparto dei corni.Meno le trombe che prendono una piccola "stecca"  nel movimento

finale ma nulla di così grave, nell'ambito di una performance pregevolissima nel

complesso.

Eccezionale il Coro, impegnato nello Stabat Mater e nel Te Deum di Verdi nonché nell'Inno

delle Nazioni, che completavano il programma. Peccato lo svarione grave della tromba

solista sugli ultimi appelli della Voce (Toscanini volle la Tebaldi nello stesso pezzo e lì

nacque la celebre definizione "Voce d'angelo") .

Nell'Inno delle Nazioni abbiamo potuto apprezzare la bellissima voce di Francesco

Meli, perfetto nelle frasi accorate del recitativo e nell'attacco legatissimo "Signor...", con le

arpe. Le sonorità trionfali del Finale hanno però sommerso la voce del tenore, né si poteva

pretendere di più dalla sua natura eminentemente lirica.

Successone e "bis" della seconda parte dell'Inno, a furor di popolo.

mattarella

 


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