Sabato 05 Giugno 2010 20:28 |
Povero Verdi, che colpa ha lui?
Chicago, 5 giugno 2010.
La sintesi dell'Ernani alla Lyric Opera di Chicago sta tutta nelle sconce risatazze di coro e comparse che aprono il quarto atto: un Ernani da ridere, appunto. Una barzelletta.
Intanto il protagonista , Salvatore Licitra.
Mi dispiace fare questi rilievi a un tenore che ho molto stimato, difeso in tantissime occasioni e con cui ho lavorato piacevolmente in una “Tosca” a Taormina, che fu uno straordinario successo. Purtroppo nel canto non si può bluffare e la preparazione tecnica è necessaria, quanto l'aria che si respira. Licitra non è tecnicamente disciplinato, si sa, ma adesso lo è in modo imbarazzante. Intonazione continuamente in forse, acuti urlati e strozzati in gola, fraseggio assente e pericolosa tendenza a imitare, nei passaggi più veementi, il grido degli ostricari o dell'arrotino laziale.
Al fianco di un tale Ernani, l'Elvira urlata e incerta di Sondra Radvanovsky, una cantante che accanto a una intonazione ballerina unisce anche lei (solidale col partner)l'orrendo vezzo di gridare gli acuti invece di cantarli.
Non meglio procedono le cose con altri due ingolatissimi (ma cos'è? Una moda? Un virus? Nessuno canta più in maschera?): il baritono Boaz Daniel , come pessimo Don Carlo, e il basso Giacomo Prestìa, che stentavo a riconoscere, ridotto com'è a una specie di orco di Pollicino .
Sul podio Renato Palumbo tentava di mandare avanti la baracca alla meno peggio. Orribile il Coro e non buona nemmeno l'orchestra, caduta in parecchie trappole e in troppi passaggi sporchi.
Da dimenticare e...in fretta!
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Venerdì 04 Giugno 2010 05:34 |
L'Accademia Nazionale di Santa Cecilia promuove da qualche anno la lodevole e doverosa iniziativa intitolata “Opera studio”, un corso annuale tenuto in pompa magna dalla grande Renata Scotto e dalla signora Vandi, l'una preposta al perfezionamento dell'arte scenica , l'altra a quello- decisamente più periglioso- dell'arte tecnico-vocale. I frutti di tale lavoro sui giovani si colgono a giugno, allorquando viene allestita un'opera intera, con orchestra, coro , scene e costumi nella sala Petrassi dell'Auditorium, solitamente destinata ai recitals della stagione cameristica del prestigioso ente romano.
Stavolta è toccato a “Così fan tutte” di Mozart che, a mio parere (ma non solo il mio), è una delle 5 opere più difficili da eseguirsi, giovani o no, Opera studio o Opera già studiata. Più che “scuola degli amanti”, come dice il sottotitolo, siamo di fronte a una scuola di Canto completa e disseminata di trappole, in cui dominano sovrane la musicalità, l'intonazione, il fraseggio vario ed espressivo, la dizione, il vocalismo puro (ornamentazione, estensione, acuti), la resistenza vocale, il canto sul fiato, la proiezione, i suoni 'in maschera' e , insomma, tutto quel bagaglio che rende grande e completo un artista. Stessa cosa vale per l'orchestra, quindi per il concertatore, e per i piccoli ma scopertissimi interventi del Coro. Un capolavoro, un gioiello- come spesso leggiamo nelle varie esegèsi.
Ora, se dovessi commentare apertis verbis l'esecuzione dello scorso 1 giugno da parte dei volenterosi giovanotti dell'Opera studio dovrei esercitarmi nell'odiosa e antipatica arte di “sparare sulla Croce Rossa” , cosa che non farò per rispetto a chi sta iniziando una delle più difficili attività che esistano, e per lo sforzo evidente dei maestri di colmare il baratro che separa i loro allievi da Mozart e dalle sue mostruose esigenze.
Tuttavia , qualcosa andrà pur detto.
Intanto che non mi spiego l'assenza della maestra più prestigiosa, la grandissima Renata Scotto, la cui partenza da Roma data il 15 maggio scorso, si presume quindi prima delle decisive prove d'assieme in Sala Petrassi. E' proprio lì che la Scotto avrebbe potuto salvare il salvabile, consigliando, dispensando saggezze e vecchi trucchi del mestiere, gettando preziose ciambelle di salvataggio. Purtroppo così non è stato e, se il capitano abbandona la nave addirittura prima che questa colpisca l'iceberg, allora le speranze di salvezza dal naufragio diminuiscono esponenzialmente.
Il cast presentava una netta disparità di intenti tra uomini e donne, con la bilancia che pendeva decisamente a favore di queste ultime: fascinosa ed efficace la Dorabella di Anna Goryacheva, che mi è parsa la migliore in campo Anna Goryacheva, mezzosoprano
di buona resa la Fiordiligi di Carmen Romeu e vivacissima la Despina di Damiana Mizzi, dalla voce aguzza e fin troppo leggera. Il tenore Davide Giusti, Ferrando, deve assolutamente migliorare la sua emissione, liberandola da falsetti e note di gola, così facendo migliorerà anche la sua intonazione. Guglielmo era il baritono Simone Alberti, un po' troppo 'tenorile' a mio giudizio e di timbro non piacevolissimo. Il basso Pietro Di Bianco, come Don Alfonso, non è a mio parere giudicabile, non essendo ancora in grado di mettere la voce sul fiato (problema comune un po' a tutti, ma eclatante nel caso in specie) e quindi spesso in difficoltà persino sui recitativi .
Orchestra e concertazione di José Maria Sciutto non più che volenterosa ma pericolosamente vicina al saggio di Conservatorio.
Coro da rivedere e correggere.
Scene essenziali ma non bellissime, costumi curati, una regìa diciamo “elementare” di Cesare Scarton, che è anche il docente di arte scenica del corso. |
Sabato 22 Maggio 2010 07:29 |
Amarilli NIzza, Cio Cio San all'Opera di Roma
Torna Madama Butterfly all'Opera di Roma e stavolta è la compagnìa di canto , con l'orchestra e il suo concertatore Daniel Oren, a brillare di luce propria, in virtù di un bel lavoro di squadra.
Spicca la voce ma soprattutto l'interpretazione intensa di Amarilli Nizza, un soprano che a ragione può definirsi un membro semi-stabile del teatro romano. La sua Butterfly è sotto un ferreo controllo tecnico, che assicura acuti timbrati e delicate mezzevoci, ove prescritto. La sua interpretazione va in crescendo fino al bellissimo finale, in cui credo che oggi tema ben poche rivali.
Al suo fianco un Marco Berti tenore classico, di gran voce e di bel colore, appena appena 'spinto' sulle note estreme tanto da renderle un po' dure: ma viva la faccia, una voce che riempie tutta la sala esattamente come succedeva un tempo quando solo a quel tipo di sonorità veniva offerta la scrittura.
Il baritono Franco Vassallo come Sharpless si presenta elegante ma di volume limitato e così il Goro di Mario Bolognesi, che indulge troppo spesso al 'parlato' più che al 'cantato'.
Ottima la Francesca Franci come Suzuki, soprattutto per la partecipe interpretazione.
La palma d'oro della serata va senz'altro ai due protagonisti e a Daniel Oren, che con la Butterfly sguazza nel suo territorio d'elezione: una concertazione attentissima a non coprire mai le voci, tempi perfetti, languori estremi nei passi topici (duetto del I atto, Coro a bocca chiusa, Interludio orchestrale, Finale) , estrema precisione. L'orchestra ha suonato in modo meraviglioso....non così il Coro diretto in modo assai distratto da Andrea Giorgi, che nei pochi ma scoperti momenti in cui doveva intervenire non si è presentato omogeneo e del tutto intonato.
Note dolenti per quanto riguarda la regìa di Stefano Vizioli. Io assistetti al debutto di Stefano, proprio con Butterfly alla Rocca Brancaleone di Ravenna e , devo dire a malincuore, che rimpiango quella serata a fronte di questa, dopo circa vent'anni. Intanto il pessimo disegno luci, che pur il regista attento deve assicurare : personaggi spessissimo al buio, con facce in ombra o in penombra; un gioco quasi disneyano sul PVC, un fondale troppo cangiante ora in rosso, ora in azzurro, ora in verde, marrone, grigio, arancione....un carnevale che toglieva drammaticità e coerenza all'opera pucciniana. Inoltre una brutta impalcatura a mo' di scenografia, a significare una casa che non sembrava nemmeno in costruzione, ornata di bandierone e di un cavallo in cima, assai poco gradevoli. Se aggiungiamo una regìa solo a tratti scrupolosa ma piuttosto distratta, che lasciava i personaggi allo sbando, troppo lontani uno dall'altro (il Console che legge la lettera seminascosto, Butterfly e Pinkerton separati da metri e metri di palcoscenico, Butterfly che durante la famosa attesa si volge verso il pubblico e mima una controscena che sembrava un misto tra una doccia senza l'acqua e una strana danza propiziatoria...). Insomma....si poteva e si doveva pretendere molto di più.
Da registrare un grande successo da parte del pubblico.
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Giovedì 06 Maggio 2010 19:37 |
mmmh...ti voglio!!!!
Allegria! C'è Tosca al MET!
Ma sì facciamoci due risate: c'è Tosca al Metropolitan di New York!
La nuova direzione indicata dal general manager del Met, Peter Gelb, è evidente: basta con le regìe tradizionali, basta con le vetuste messe in scena alla Zeffirelli...il Met scopre (un pò tardi, a dire il vero) le "mirabilie" registiche che vengono dalla cara vecchia Europa, nella fattispecie dalla Germania e dalla Svizzera: a Luc Bondy viene affidata la regìa di Tosca, una nuova produzione che sostituisce quella storica (e aggiungo MERAVIGLIOSA) di Franco Zeffirelli.
Tosca diventa un'opera comica, tant'è che il pubblico sghignazza platealmente per quasi tutto il primo atto."No, davanti la Madonna" (risate) " Chi è quella donna bionda lassù?" (risate)...."Mi hai tuta spettinata..." (risate)...."Ma falle gli occhi neri..." (risate).... Ogni pretesto è buono per divertirsi un pò, anche di fronte a quella che si considerava un'opera tragica, a tutti gli effetti.
Bondy ci regala chicche memorabili: Scarpia che abbranca la statua della Madonna per "ingropparsela" (scusate il vernacolo) , fellatio allo stesso Capo della Polizia all'inizio del II atto mentre si trastulla con tre donnine allegre nel suo affollatissimo studio, pacche sul deretano delle medesime...Tosca che nel I atto distrugge a randellate il quadro della Maddalena (tra le risate del pubblico, ovviamente)...Mario che dorme a vista accoccolato in proscenio durante l'alba romana, vanificando così la magnifica entrata prevista da Puccini nel III atto, i soldati che si esercitano in una comica fucilazione stile "Fille du régiment"...Tosca, insomma, diventa una farsa.
Questa è la nuova linea del Met? Ne vedremo delle belle.
Intanto trionfa il Mario Cavaradossi schietto ed esuberante di Marcello Giordani, un tenore adorato dal pubblico americano , che ha negli acuti la sua arma vincente.La naturali, si bemolli e si volano in sala come saette e rievocano le serate storiche di Franco Corelli, per vigore e squillo.
Al suo fianco , ammalatasi improvvisamente Daniela Dessì per l'aria condizionata che trasforma il Met in una neviera, una Tosca utilité (il cui nome non ho colto) salta sul palcoscenico e fa la Tosca che non avremmo mai voluto vedere né sentire, tutta grida e orripilanti note di petto, tra cui un "Non l'avrai stasera, GIUROOO!" da raccapriccio.
Il baritono Cagnidze (nome da cambiare all'istante)propone uno Scarpia che più rozzo e vociferante non si può, ma come attore è convincente, già è molto.
Si distingue il Sacrestano tonante di Paul Plishka, tra Don Bartolo e Dulcamara, ma simpatico.
Sul podio Philippe Auguin, sanza infamia e sanza lode.
Un buon successo, trionfale per Giordani.
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