Domenica 11 Luglio 2010 13:11 |
Avevo già avuto modo di disgustarmi per l'orrenda 'Tosca' firmata Luc Bondy, vista al Metropolitan di New York nel maggio scorso, ed eccotela riaffiorare dalla sua mota sugli schermi di Sky Classica, in diretta dall'Opera di Stato bavarese.
A New York la parte vocale era preservata dalla solida tradizione italiana, con la coppia Daniela Dessì e Marcello Giordani che assicuravano suoni squillanti e saldi, oltre al fraseggio che in Tosca tutti si aspettano, almeno coloro che hanno un buon udito e una buona conoscenza del repertorio. Sia la Dessì che Giordani avevano inoltre smussato gli angoli, parecchi, della regìa di Bondy, eliminando molte corbellerie.
A Monaco, ieri sera, non c'era nemmeno questa ciambella di salvataggio e l'insulto a Puccini è stato completo, nella migliore tradizione germanica degli ultimi anni. Criminali!
Nei panni di Tosca una semidistrutta Karita Mattila, ormai simile a Karin Schubert quando appariva nelle televisioni private laziali in veste di ex diva porno in disarmo, per chattare goffamente con qualche voyeur disperato. Ogni acuto è stato un grido lacerante, tra stonature e cachinni della peggior tradizione (“E' l'Attavanti!”, “Giuro!”, “Assassino!” con voce da orchessa). Nel 'Vissi d'arte' la perla nerissima: strozzata fino a un versaccio che la rende simile al richiamo usato dai cacciatori per attirare le pernici e le beccacce.
Jonas Kaufmann , presentato dagli improvvidi commentatori di Sky come “il tenore di oggi, finalmente attore e cantante, perfetto....ec. ec.” , si è rivelato un bluff : stonato al suo ingresso e in parte della prima aria,stonato ancora nell'aria del III atto, ingolato su tutta la gamma (sembra che canti infilato in un tubo di cartone), ululante nel II atto, la parodìa d'un comprimario anziano (e invece sarebbe giovane!), falsetti a tutto spiano...un disastro. La stessa recitazione, complice però la regìa di Bondy, è ai limiti della presa in giro.
Scarpia, davvero la ciliegina sulla torta: un misto tra Putin-Pao , il boia di Turandot, e Mastro Lindo, lo sturalavandini, il baritono Juha Uusitalo....un altro orco uscito da non so quale mostruosa fiaba.
La pronuncia, un gramelot in cui non si distingueva l'italiano dal finlandese, mi ha ricordato Gustavo Thoeni quando veniva imitato da Noschese. Osceno nel Te Deum, inascoltabile all'inizio del I atto, scandaloso nella seconda aria “Già mi dicon venal”, trasformata in una sequenza spaventosa di urla ingolate.
Spoletta...un topo, il Sacrestano...Enrico Fissore, un tempo decoroso oggi...no.
Sul podio, grazie a Dio, Fabio Luisi: un direttore che oltre a sapere il fatto suo è anche un attento e scrupoloso concertatore. Mi dispiace soltanto che abbia avuto a che fare con un simile plotone di dannati.
Trovo scandaloso che possano essere avallate simili operazioni, che oltre a costituire un insulto-ripeto- all'autore , sono anche un pessimo esempio per i giovani che vorrebbero avvicinarsi oggi all'Opera lirica.
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Domenica 20 Giugno 2010 17:38 |
Tra una goccia e l'altra, prima dell'uragano che interrompe definitivamente lo spettacolo, l'Aida va in scena all'Arena di Verona con i suoi primi due atti ed è un grande successo per tutti, nonostante i ritardi causati dalle pessime condizioni atmosferiche. Arena gremita , un grande maestro sul podio, Daniel Oren, in grado di assicurare una resa orchestrale solidissima e finalmente una gamma dinamica varia e attenta al segno scritto, garanzìa fondamentale per la riuscita del capolavoro verdiano.
Amarilli Nizza è un'Aida giovanile , dolce e suadente nelle mezzevoci ma capace di scatti ferini nel grande duetto con Amneris, che è Dolora Zaijch , voce tagliente e profonda , di formidabile temperamento. Radames è Piero Giuliacci, che si presenta un po' nervoso nel terribile “Celeste Aida” tanto da fallire il si bemolle finale, ma si comprende la difficoltà di attaccare quest'aria con pioggia, umidità a livelli assurdi e con un'ora di ritardo rispetto l'orario previsto.
Ambrogio Maestri come Amonasro fa un ingresso autorevolissimo: voce tonante e di bellissimo smalto, fraseggio autorevole oltre alla ben nota imponenza scenica.
Non benissimo i due bassi, meglio Enrico Iori come Re mentre Carlo Striuli era evidentemente afflitto dall'umidità imperante. Molto bene invece il Messaggero di Enzo Peroni, di bel colore e perfetto fraseggio: la parte è piccola ma è scopertissima, si sente subito se a cantarla è un modesto comprimario o un vocalista di prima scelta, qui eravamo alla serie A, lo stesso valga per la precisa Sacerdotessa di Nicoletta Curiel.
Lo spettacolo di Zeffirelli assicura una splendida visione d'assieme, con la grande Piramide d'oro che domina il centro del palcoscenico e via via si trasforma, cambiando i suoi colori, aprendo varchi, come un gigantesco caleidoscopio. Magistrale il movimento delle masse, secondo un ordine classico , elegante. La regìa lascia gli artisti liberi di agire secondo il loro istinto; certo, io ricordo a Busseto (in un contesto totalmente diverso) una scatenata, stupenda Kate Aldrich come Amneris e un Radames forse non adattissimo vocalmente, Scott Piper, ma magnifico attore. All'Arena c'è una maggior staticità e la tendenza è quella di bloccarsi, pericolosissima in Aida, che conta 8 quadri e 4 atti: il rischio è quello di congelare l'azione , cosa che di fatto è avvenuta ieri sera (consideriamo anche il palcoscenico bagnato, quindi maggiori pericoli di cadute). Tuttavia è auspicabile che nelle recite successive vi sia un maggior dinamismo con conseguente aumento di credibilità nello sviluppo drammatico della vicenda. Stupendi i costumi e il gioco delle luci, molto applauditi i Balletti.
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Sabato 19 Giugno 2010 14:19 |
“Al tempo delle favole” dice il libretto di Adami e Simoni collocando la “Turandot” in un preciso contesto, immaginifico e arcano e così fa Puccini, regalando al mondo l'ultimo suo capolavoro e lasciandolo incompiuto, per il sopraggiungere della morte.
L'Arena di Verona, grazie al doveroso e per molti versi “storico” omaggio a Franco Zeffirelli, inaugura la sua 88ma stagione con uno spettacolo che riporta appunto al tempo delle favole.Il coup-de-théatre giunge puntuale al cambio scena che separa il terzetto dei dignitari dall'entrata dell'Imperatore Altoum: dal buio, tetro e inquietante in cui si muove il popolo alla luce di un palazzo interamente d'oro, stupendo negli infiniti dettagli e reso ancor più magico dall'invasione di costumi brillanti, in cui dominano le ancelle in rosa tenue.
La tavolozza dei colori usati da Zeffirelli è pari soltanto a quella orchestrale inventata da Puccini, ed ecco che ancora una volta si realizza il perfetto connubio tra ciò che è scritto in partitura e ciò che si vede sulla scena, fatto ormai sempre più raro e desueto per chi normalmente frequenta il melodramma. “Amo l' opera e cerco dal più profondo di portare avanti una linea consegnataria della grande tradizione lirica italiana, ma oggi talvolta si favoriscono solo categorie di bassa cultura, facendoci perdere l'occasione per far valere la forza artistica italiana.(...) anch'io posso fare delle cose stupide, senza senso, come usa oggi in maniera spudorata. Sarebbe facilissimo.” Così dice Zeffirelli in una intervista rilasciata a Gianni Villani e riportata nel programma di sala. Mi pare colga perfettamente il nodo centrale della questione . Ma la miglior risposta viene fornita ancora una volta dai fatti:la nuova produzione areniana di Turandot è di rara, preziosa bellezza e quando la reggia di Altoum risplende d'oro nel finale, con Calaf in abiti regali e lo sventolìo festoso di un palcoscenico ricco e lussuoso, come l'Opera deve essere, vien da gridare: FINALMENTE! Questa è l'Opera che amiamo e che sa farsi amare!
Menzionerei i costumi di Emi Wanda, come tra i più belli mai visti, gli ottimi movimenti coreografici creati da Maria Grazia Garofoli e il disegno luci, perfetto, creato da Paolo Mazzon.
La parte musicale era affidata alla concertazione di Giuliano Carella, precisa, attentissima e meticolosa ma proprio per questo eccesso di pignolerìa un po' avara di quegli abbandoni lirici che pur Puccini pretende, soprattutto quando si tratta di cantare assieme ai cantanti. Sono certo che nelle recite successive alla Prima vi saranno dei sostanziali e continui miglioramenti in questo senso e che il maestro Carella, passata la lecita tensione della Prima, si abbandonerà di più. Da ricordare che la Turandot proposta in Arena, per volere del regista, si è chiusa con la parte finale del lungo duetto completato da Alfano, quasi una stretta festosa e positiva dopo la trenodìa funebre di Liù. Non è stato un male: il duetto di Alfano non è un capolavoro musicale e il suo taglio ha risparmiato alla Guleghina (non in forma) note e difficoltà aggiuntive.
Bisogna tener conto anche della inaugurazione di un nuovo sistema di amplificazione per nulla invasivo , che ha creato un buon equilibrio tra buca e palcoscenico, sfruttando le migliori doti dei cantanti e rispettandone le diverse potenzialità.
Il Calaf di Marco Berti si impone sul resto del cast sia per la quantità sia per la qualità del suo canto: ho già apprezzato altre volte la classica bellezza del timbro all'italiana (rotondo, pieno, di nitida e scolpita dizione) e la facilità con cui la voce affronta una gamma di almeno due ottave piene (compreso il non facile do scoperto di “Ti voglio ardente d'amor” nel II atto). Questo notevolissimo cantante, ormai affermatosi in tutto il mondo, deve solo fare attenzione a non “pressare” gli acuti, a non gonfiarli oltre misura: di voce ne ha a venderne e non occorre volerne creare di più con spinte o forzature pericolose. In questo senso il famoso “Vincerò” c'è stato, ma affrontato con un po' troppa paura e tirato via senza quella libertà felice che rendeva memorabili le esecuzioni di Pavarotti (non tutte, ma moltissime). Cito Pavarotti perché Berti ha persino più volume del mitico collega e un colore che può avvicinarlo al grande Luciano.
Maria Guleghina, si è detto, non è apparsa in buona forma e ha deluso come Principessa di gelo, probabilmente per stanchezza . In varie occasioni i suoi pianissimi sono sembrati privi del necessario appoggio e spesso di intonazione incerta, mentre non appena la voce (pur bella) cercava la sostanza si avvertiva una fastidiosa oscillazione.
Brava invece Tamar Iveri come Liù, una voce di bel colore e un'artista espressiva, senza essere mai leziosa né incline ai facili effetti strappa-applauso.
Morbido e nobile il canto del basso Carlo Cigni , preciso Antonello Ceron come Imperatore (senza la fastidiosa voce querula di molti interpreti fin troppo senescenti), ottimo il terzetto dei dignitari in cui spiccavano i tenori Casalin e Orsolini lasciando un po' in ombra il baritono (Ping), Filippo Bettoschi.
Un plauso al maestro del Coro , Andreoli, e alla sua numerosa compagine che, prima della recita, hanno intonato l'Inno d'Italia per protestare contro il decreto Bondi sulla riforma delle Fondazioni lirico-sinfoniche.
Al termine della rappresentazione tutto il pubblico in piedi per salutare l'ingresso, commovente, di Franco Zeffirelli sulla sedia a rotelle, al centro della platea. Mi è subito venuto in mente il grande mentore, Luchino Visconti, anche lui indomito ma minato nel fisico, provando il Don Carlos (meraviglioso) all'Opera di Roma. Sono gli ultimi grandi miti di una forma di spettacolo mitica e grandiosa per sua stessa definizione, è giusta quindi la cornice di Verona, che ospita il più grande teatro all'aperto del mondo. |
Domenica 06 Giugno 2010 22:08 |
...e alla fine un trionfo per tutti, annunciato certamente ma stavolta anche meritato.
L'Opera rinasce come per magìa nella prima serata di RaiUno, grazie alla fantasmagorica bellezza dell'Arena di Verona e grazie a una commistione forse semplice, banalotta per i più schizzinosi , ma vincente: la selezione di Carmen, Trovatore, Madama Butterfly , Aida e Turandot, vale a dire di cinque tra le opere più amate di tutti i tempi, opere alle quali non si può dire di no, mai, in nessun caso.
L'orchestra dell'Arena di Verona ha suonato bene (nonostante più di qualche lieve slittamento!), il Coro pure, una splendida , direi fantastica Amarilli Nizza che in “Tu, tu piccolo Iddio” ha regalato una delle più belle e intense esecuzioni che si ricordino, un buon Marco Berti nelle parti di tenore (Pira abbassata ma vabbé...si perdona) nonostante l'intonazione talvolta fallace sia in Carmen che nell'aria clou “Nessun dorma” (con un si naturale molto precario), un'ottima Géraldine Chauvet come Carmen.
La Clerici, attesa al varco dai melomani più oltranzisti, è stata molto cauta e discreta, aiutata da testi sicuramente elementari ma proprio per questo non invasivi (penso , per esempio, alla prosopopea d'un Baudo) e da una voce parlata non petulante e isterica (penso, ad esempio, all'insopportabile Simona Ventura). Insomma, una vera sorpresa positiva, vedremo come reagirà l'Auditel. Certo è che aiuta molto più l'Opera una serata di questo tipo che le stagioni miserrime messe in piedi dai nostri sovrintendenti e direttori artistici: e la regìa televisiva di Sergio Colabona , le scene azzeccate, i costumi e le luci sono state assai meglio delle orride e costose, nonché pretenziose regìe di Carsen o Wilson , che allontanano il pubblico dal teatro anziché avvicinarlo.
L'Opera torna così a essere una favola, magari una favola bella che oggi ci illude, ma che sicuramente guarda a un pubblico nuovo, un pubblico grande, ignaro e curioso, ignorante (perché la nostra scuola è quella che è e l'educazione in famiglia è quella che è) ma al tempo stesso aperto. Vuoi vedere che ci sarà anche un ottimo share?
Gli interventi dei cantanti pop sono stati il punto debole, a mio parere: Cocciante accolto come una specie di Papa nero , benedicente, stonatissimo nella canzone (brutta) dedicata a Verona, Dalla inquietante assieme alla stupenda “Barbie” Katherine Jenkins (La Bella e la Bestia) e poi assurdo nella presa in giro del “Vincerò” parodiato (stìa al suo posto e lasci stare i Santi!), Morandi afono nell'improbabile “Tu che m'hai preso il cuor”, Renga strozzato in “Un amore così grande” (che fu l'inno di Del Monaco). Riguardo la vincitrice del Talent Show , Carmen Masola, mi è parsa stonata e incerta nell'Ave Maria di Schubert, tra l'altro con una rielaborazione che prevedeva orchi tra i coristi. I tre porcellini che hanno cantato la Mattinata di Leoncavallo erano una gag comica.
Si è pagato così l'obolo (pesante) al fatto che l'Opera fosse ammessa in prima serata sulla rete ammiraglia, d'accordo....possiamo digerire anche questo. In cambio le luci e la gioia di vedere un 'Arena piena, come ai bei tempi. Speriamo che dal 18 giugno sia così anche per la normale stagione.... |
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