Martedì 23 Novembre 2010 23:23 |
Si parla molto di crisi in questi giorni: la spazzatura a Napoli, il governo che vacilla, l'immagine di un paese allo sfascio. Se la si potesse rappresentare musicalmente , “La forza del destino” eseguita a Firenze stasera potrebbe essere una giusta colonna sonora per i servizi che vediamo a “Ballarò” o alla trasmissione di Saviano: tale risulta l'ascolto della diretta su Radio3 dal Teatro Comunale.
Passi la direzione di Zubin Mehta , che è uno specialista verdiano e conosce a menadito la complessa partitura (che ha diretto con eccezionali cantanti da almeno una quarantina d'anni), ma il cast stavolta lascia molto a desiderare, con pericolose cadute sia di Violeta Urmana, Leonora, sia del tenore Salvatore Licitra, come Don Alvaro, ma non immuni da critiche anche alcuni tra gli altri protagonisti .
Duole constatare che una cantante dotata di magnifico timbro e ottima tecnica sia costretta a gridare tutti, ma proprio tutti i numerosi acuti di cui è disseminata la parte: Violeta Urmana , per me, resta un mezzosoprano ed è palese che non regga la tessitura sopranile, soprattutto nel duetto con Padre Guardiano, dove ogni si naturale aveva tutte le laceranti caratteristiche del grido disperato. Il guaio è che quando la voce soffre in alto poi ne risente tutta l'espressione, il canto non è più fluido ma teso, preoccupato e così l'ascoltatore: cosa succederà? Ce la farà? Sono domande che un grande artista non deve far porre al pubblico né deve porre a sé stesso. Un brutto giorno la Urmana decise di non accontentarsi più delle sue splendide Santuzze, Eboli, Azucene e accettò il salto. E' stato un salto nel vuoto e senza paracadute, quasi un suicidio vocale e oggi assistiamo all'immolazione di questa Artista con la A maiuscola sull'altare del melodramma.
La voce balla sulle note di passaggio, i pianissimi o gli effetti di smorzando non esistono, tutto è cantato mezzoforte o forte: fa testo la grande aria del IV atto “Pace mio Dio”, con il famoso passaggio “invan la pace” risolto alla disperata, con un si bemolle stretto , strizzato come uno straccio bagnato.
Per Salvatore Licitra vale lo stesso discorso, con l'aggravante di una tecnica mai del tutto messa a posto. Voce di strepitosa qualità e quantità , forse più lirica che drammatica, gettata in un agone troppo scarso di tenori, Licitra ha alle sue spalle degli ottimi esordi, contrassegnati da tante bellissime recite . La legge del Canto vuole che tutto funzioni finché regge la giovane fibra, poi iniziano le difficoltà se non c'è alla base una tecnica solida e di assoluta affidabilità. Oggi, dopo un lavoro incessante e nei massimi teatri del mondo, Licitra non è praticamente più in grado di modulare la voce con serenità: sopra il fa diesis il canto si fa avventuroso, alla “o la va o la spacca”. Ogni si bemolle è un urlo strozzato, i si naturali sono tutti a rischio stecca: al termine del duettone “Né gustare m'è dato” siamo addirittura all' urlo di guerra apache. L'aria “O tu che in seno agli angeli” , ricchissima di indicazioni dinamiche ed espressive che Licitra non può eseguire, si trasforma in uno sforzo disumano, in una lotta per la sopravvivenza.
E' un vero peccato perché prima del passaggio la voce è ancora molto bella e lascia intendere cosa sarebbe potuto essere Salvatore se solo avesse studiato per bene.
Roberto Frontali ha una sua solidità, si rifugia nel naso per gli acuti ma -come diceva Bruscantini- “meglio nel naso che nel culo”. Il fraseggio è sempre autorevole, chiara la dizione, il personaggio c'è.
Roberto Scandiuzzi è ormai un veterano della parte e qua e là si sente: tuttavia anche lui crea un personaggio estremamente umano e nobile, risolvendo con intelligenza i passaggi più ostici, compreso il terzetto finale.
Intubata e modesta la Maximova come Preziosilla, che non è parte da comprimaria.
Roberto De Candia è un robusto Melitone e a parte un acuto aperto (“Non ispEri la terra”) nel suo grande monologo , crea comunque un personaggio per nulla machiettistico e molto cantato, il che è un bene.
Benissimo Bosi come Trabuco e Iori come Marchese di Calatrava.
Ottima la prestazione di Coro e Orchestra,guidati da un Mehta molto ispirato e partecipe. Pessima invece la “prestazione” del pubblico, che ha applaudito cose che non andavano applaudite. Diciamo che il buonismo ha prevalso sulla realtà dei fatti. |
Domenica 31 Ottobre 2010 19:53 |
Ricevo dall'amico Michele Maltese una gustosa cronaca dal Metropolitan di New York e volentieri pubblico:
Oggetto: Per la serata di Halloween al MET, un
Trovatore...mostruoso
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Caro Enrico,
sono un attento e appassionato ascoltatore fin dal 1997 (avevo tredici anni) e nutro nei confronti della Barcaccia un profondo sentimento di riconoscenza per aver contribuito in maniera determinante alla formazione della mia cultura operistica e di quella di tanti altri italiani.
Vorrei esprimere in maniera tangibile la mia riconoscenza e il mio affetto verso la trasmissione "La Barcaccia" (Rai Radio3) fornendovi una breve cronaca del Trovatore a cui ho assistito al MET nella serata di sabato 30 ottobre, vale a dire la notte di Halloween. Immagino che questa circostanza spieghi molte delle cose che si sono viste e ascoltate.
Irene Dalis, una spaventosa Azucena al Met negli anni 60
In primo luogo, l'allestimento di David McVicar era ispirato espressamente alle lugubri atmosfere delle Pinturas negras di Goya. Sul sipario vengono infatti raffigurate a grandezza elefantiaca le maschere deformate e angoscianti della Romerìa a San Isidoro e mai scelta fu stilisticamente più azzeccata per una notte di Halloween, che com'è noto, si popola di prosopopee spettrali e sataniche. Una corte infernale infatti viene messa in scena all'inzio della Parte Seconda, quando al coro degli Zingari si aggiungono quattro o cinque energumeni palestrati (dei professori di percussioni, bisogna immaginare), che, senza senza cantare, esibiscono i propri addominali scolpiti e i propri bicipiti dando grandi mazzate alle incudini al ritmo del ritornello "chi del Gitano i giorni abella?", creando così un clima decisamente infernale (ne trovate un video sul sito del Metropolitan: http://link.brightcove.com/services/player/bcpid610237632001?bctid=653255878001).
Dolora Zajich, altra mostruosa Azucena al Met
Ma Halloween è anche la notte del Sabba delle Streghe e, almeno qui negli Stati Uniti, presenta dunque anche elementi vagamente orgiastici. Per esprimere questo concetto, il regista ha operato una curiosa rivisitazione dell'inizio della Parte Terza dell'Opera, quella in cui il coro dei soldati del Conte di Luna gioca a dadi, aspettando i rinforzi necessari per dare l'assalto finale a Castellor ("Or coi dadi, ma fra poco"). Quando i rinforzi attesi finalmente giungono, la didascalia del libretto di Cammarano spiega che "un grosso drappello di Balestrieri traversa il campo". Qui il regista, invece di fare sfilare un plotone di truppe, ha fatto entrare in scena un manipolo di prostitute (si capisce che sono tali dal loro abbigliamento discinto) che ha cominciato ad impegnare alcuni membri dell'esercito del Conte in non dissimulati esercizi sessuali, mentre il resto del coro commentava da vero intenditore, come da libretto, "Il soccorso dimandato / Han l'aspetto del valor".
Patricia Racette
Venendo al cast, occorre segnalare che purtroppo qualche maledizione demoniaca ha colpito il Soprano Patricia Racette, che a causa di un'indisposizione ha dovuto abbandonare la rappresentazione nell'intervallo tra la Seconda e la Terza Parte dell'opera--per intenderci, prima di affrontare arie impegnative come "D'Amor sull'ali rosee", "tu vedrai che amore in terra" e i duetti con il Conte ("Mira d'acerbe lagrime" e "Vivrà! Contento il giubilo") e con Manrico ("Che? Non mi inganna quel fioco lume"). Eppure c'è chi sospetta che il demonio si fosse impossessato della Racette già durante la prima parte dello spettacolo, perchè nell'aria "Tacea la notte placida" al posto degli acuti emetteva strani belati caprini, segno sicuro di impossessamento satanico. La Racette è stata sostituita dal Soprano californiano Julianna Di Giacomo, che, come sempre accade in queste circostanze, è stata la più applaudita dal pubblico.
Durante la famosa stretta finale della Parte Terza è poi calato sul Teatro un sortilegio collettivo, tale per cui il Direttore (M° Marco Armillato), tutti i Professori d'Orchestra, il Coro e il Tenore Marcelo Alvarez hanno abbassato di un semitono "Di quella pira" (proposta del resto nella sua versione consueta e non in quella filologica), cosicchè il Do finale si è diabolicamente tramutato in un Si naturale. La spiegazione del fenomeno (che è stato osservato anche dal recensore del New York Times alla prima dello spettacolo qualche giorno fa; cfr. http://www.nytimes.com/2010/10/28/arts/music/28verdi.html?scp=1&sq=trovatore&st=cse ) non può che essere iscritta nella dimensione del paranormale, perchè pare che in un Trovatore a Parma Alvarez si fosse prodotto in un scintillante Do di petto, secondo la migliore tradizione tenoristica. Allego una registrazione del fenomeno, scusandomi per la pessima qualità del suono. Occorre avvertire che gli applausi e le urla di entusiasmo che sentirete dopo il fatidico "All'armi!" non provengono dal pubblico, ma dal coro stesso che così facendo si dà coraggio in vista dell'imminente battaglia con le truppe del Conte (la reazione del pubblico--anch'esso in trance, bisogna credere--è stata un ben più moderato applauso che potrete ascoltare alla fine della registrazione, quando il coro era ormai uscito di scena).
Ma poichè ad ogni Demone corrisponde un Angelo, occorre comunque segnalare l'ottima prestazione del Baritono Zeljiko Lucic nel ruolo del Conte di Luna. Anche se nel "Balen del suo sorriso" è rimasto un po' a corto di fiato, gli attacchi nei vari duetti e terzetti (in particolare in "Di geloso amore spezzato") sono stati meravigliosi, come pure le mezzevoci e, in generale, la pasta timbrica, brunita e ricca di armonici.
Insomma, una serata ricca di Perle Nere e degna della rubrica Angeli e Demoni.
Un caro, affettuoso saluto,
Michele Maltese
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Venerdì 29 Ottobre 2010 20:24 |
Esito trionfale per l'"Elisir d'amore" di Donizetti rappresentato a Venezia. Mentre scriviamo gli applausi festeggiano ancora il cast : Celso Albelo-Nemorino, Desirée Rancatore-Adina, Bruno De Simone- Dulcamara, Roberto DE Candia-Belcore, il maestro Beltrami, Orchestra e Coro del Teatro La Fenice.
Era ora di respirare una buona boccata d'ossigeno: grazie al genio di Donizetti e grazie soprattutto agli artisti che hanno saputo rendere il brio, la freschezza, la joie de vivre e la poesia di questo capolavoro.
In primis il giusto plauso va alla coppia Albelo-Rancatore: tra loro una complicità e una gara di bravura al tempo stesso, che ha trovato nel finale del II atto il suo acme assoluto. "Una furtiva lagrima" e "Il mio rigor dimentica" come un UNO-DUE pugilistico, per mandare il pubblico in visibilio e portare al bis....come ai vecchi tempi. Fine e raffinato fraseggiatore lui, pirotecnica virtuosa lei...paiono nati per cantare assieme, un affiatamento che è uno dei risultati più preziosi per questi due grandissimi artisti.
Celso Albelo
Mi permetterò di notare, qua e là, qualche piccola incertezza nell'intonazione di Celso Albelo, la cui magnifica vocalità (tanto simile a quella del conterraneo Alfredo Kraus) proprio perché immacolata, fa maggiormente notare qualche lecita macchiolina. Perfetti gli acuti, con do sicurissimi infilati nei punti clou, ma splendido anche il gioco dei colori, tanto importante per questo ruolo cardine nella carriera di ogni tenore.
Desy Rancatore
La Rancatore è un 'Adina volitiva e simpatica, che non vede l'ora di arrivare alla cabaletta finale per scatenarsi nel suo registro acuto e sopracuto. Soffre un pochino per la tessitura lirica di molti passaggi, soprattutto nel I atto, ogni tanto è costretta a schiacciare qualche "i" e qualche "e" , dando al personaggio un tono a volte petulante, da "bambina cattiva". Ma Adina, volendo, può anche essere una bambina viziata, forse anche un pò cinica. L'asso nella manica della Rancatore sono gli acuti, le variazioni quasi strafottenti, la facilità e la disinvoltura, la musicalità a prova di bomba. La voce ha acquisito corpo nel registro grave , il fraseggio è sempre pertinente al testo e, come accade a ogni fuoriclasse che si rispetti, la prestazione è in continuo crescendo.
Bravo ed esperto De Candia come Belcore, personaggio che credo abbia cantato più d'ogni altro ruolo e sempre con colleghi prestigiosissimi. Qualche suono 'aperto' ma si addice a una tronfia canaglia come il soldataccio .
De Simone è un Dulcamara un pò troppo chiaro e tenorile per i miei gusti, ma canta con estrema proprietà e precisione, dando sempre senso alla parola scenica, come il suo maestro Bruscantini.
Giannetta un pò troppo isterica e ottima la concertazione del maestro Beltrami: tempi perfetti, grande sicurezza nel seguire il canto dei vari solisti, molte sfumature e colori nell'orchestra, una concertazione che mi è parsa curata nei minimi dettagli. Una bellissima serata alla Fenice.
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Domenica 17 Ottobre 2010 08:51 |
Festeggiato da interminabili applausi, commossi e convinti, il “Guglielmo Tell” torna sotto la direzione di Antonio Pappano alla Sala S.Cecilia del Parco della Musica a Roma. Un'esecuzione che potrei definire perfetta per quanto riguarda la concertazione, tersa e lucidissima, e la conseguente prestazione di Orchestra e Coro. Dopo questa ulteriore, memorabile prova , è facile per il cronista affermare che l'orchestra e il coro dell'Accademia Nazionale di S.Cecilia sono oggi le migliori compagini italiane, al livello delle migliori orchestre del mondo.
Pappano e l'Orchestra,Coro di S.Cecilia
Pappano, cm suo solito, imprime uno scatto vigoroso e una scelta di tempi serrata ma il suo Rossini resta un Rossini classico, che guarda cioé più al grande passato costituito dall'idolo Mozart che al futuro romantico, rappresentato da Verdi. Un grave errore, commesso dagli esecutori del Novecento, è stato quello di collocare l'ultima opera di Rossini, scritta nel 1829, alla stessa stregua stilistica del primo se non addirittura del tardo Verdi, con l'effetto di appesantire ed enfatizzare la raffinata orchestrazione rossiniana e costringere la scelta di voci abituate all'Aida, al Trovatore, alla Forza del destino. Il Gugliemo Tell, aggiungiamo, fu presentato ampiamente tagliato fin dalle sue prime rappresentazioni, in certi casi addirittura decurtato della metà! Oggi Pappano restituisce questo formidabile affresco sonoro in tutta la sua magnificenza, rivelato in ogni dettaglio, con un amore e una dedizione assolutamente speciali. A lui il massimo tributo e l'entusiasmo del pubblico.
Antonio Pappano
Veniamo al cast vocale. Luci e ombre com'è ovvio e consueto, in un periodo storico che vede abbastanza depauperato e confuso il grande bacino delle vocalità.
Partirei dall'ottimo trio dei tenori: Celso Albelo, ormai un lusso per il Pescatore che apre l'opera, ha sfoggiato la sua bella ed estesa voce di tenore lirico leggero, dal canto suo Carlo Bosi, nella parte di Rodolfo il capo degli arcieri di Gesler, ha fatto udire in sala la voce tenorile più sonora e penetrante, nonostante la parte da comprimario. John Osborn, last but not least, ha affrontato ancora una volta la tremenda parte di Arnoldo, stavolta con un eccesso di prudenza, per giungere fresco e temprato allo scoglio terribile della scena del IV atto. Nonostante la fantastica sicurezza del registro acuto e sopracuto, la duttilità e l'aplomb stilistico, Osborn ha peccato a mio parere di qualche falsetto di troppo , soprattutto nel grande duetto con Matilde, tanto da risultare più un Conte d'Almaviva che l'eroico antesignano di Manrico. Gli sono mancate cioé le folgori che pur necessitano in una partitura dall'orchestrazione densa e a tratti travolgente. Tuttavia, Osborn ha superato con abilità tutte le difficoltà e ha trionfato in aria e cabaletta del IV atto, ottenendo un successo personale.
Il protagonista era il baritono canadese Gerald Finley, nobile e misurato nell'emissione, chiarissimo nella parola, il quale però è stato poco incisivo nei passi più gloriosi della sua parte, soprattutto nel giuramento finale del II atto. E' la classica voce da perfetto liederista, si avverte dall'attacco alto dei suoni e leggermente fisso sugli acuti, un canto leggermente “manierato” che se avvantaggia l'emissione in certi passi più lirici la penalizza in quelli più veementi, nel duetto con Arnoldo per esempio. Michele Pertusi mi era piaciuto di più e lo stesso Bruson, in una bellissima edizione al Filarmonico di Verona.
M.Bystroem
Matilde era la bellissima Malin Bystroem, una svedesona alta e bionda, fisico da top model, adusa al repertorio mozartiano . Sinceramente una prova che mi ha deluso: per il timbro, che è abbastanza anonimo, per l'assenza di vigore poiché la voce risuona chiara e poco proiettata, per la tecnica, tutta da perfezionare. Ne è risultata una esecuzione non ancora matura, piuttosto incerta seppur musicalmente a posto, con acuti lanciati alla “garibaldina” e agilità sofferte. Tra l'altro (questo è un consiglio per chi vuole stare in scena con eleganza) la bellezza conta fino a un certo punto, conta piuttosto la POSTURA. Proprio perché preoccupata dall'asperità della sua parte e forse dalla vocalità non adatta, la splendida “Barbie” ha cantato con le braccia perennemente mulinanti, tipo direttore d'orchestra, e piegata su un fianco. Non era un bel vedere, tant'è che man mano che l'opera andava avanti ha preso il sopravvento la piccola ma aguzza Elena Xanthoudakis, che cantava Jemmy. Una Dessay in sedicesima, somigliantissima, vincente nei concertati e nel meraviglioso finale, in cui ha umiliato la collega con un formidabile do acuto.
Molto bravo il basso Frédéric Caton come Melchtal, meno bene Carlo Cigni come Gesler, a causa di un registro acuto piuttosto ingolato.Belle le voci di David Kimberg come Leutoldo e Matthew Rose come Gualtiero.Buona Edwige e cioé il mezzosoprano Marie-Nicole Lemieux.
La serata e le prossime due recite verranno registrate e poi proposte in cd dalla Emi.
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