Recensioni
LO SFORZO DEL DESTINO, Firenze 24\11\2010
Martedì 23 Novembre 2010 23:23

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Si parla molto di crisi in questi giorni: la spazzatura a Napoli, il governo che vacilla, l'immagine di un paese allo sfascio. Se la si potesse rappresentare musicalmente , “La forza del destino” eseguita a Firenze stasera potrebbe essere una giusta colonna sonora per i servizi che vediamo a “Ballarò” o alla trasmissione di Saviano: tale risulta l'ascolto della diretta su Radio3 dal Teatro Comunale.

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Passi la direzione di Zubin Mehta , che è uno specialista verdiano e conosce a menadito la complessa partitura (che ha diretto con eccezionali cantanti  da almeno una quarantina d'anni), ma il cast  stavolta  lascia molto a desiderare, con pericolose cadute sia di Violeta Urmana, Leonora, sia del tenore Salvatore Licitra, come Don Alvaro, ma non immuni da critiche anche alcuni tra  gli altri protagonisti .

Duole constatare che una cantante dotata di magnifico timbro e ottima tecnica sia costretta a gridare tutti, ma proprio tutti i numerosi acuti di cui è disseminata la parte: Violeta Urmana , per me, resta un mezzosoprano ed è palese che non regga la tessitura sopranile, soprattutto nel duetto con Padre Guardiano, dove ogni si naturale aveva tutte le laceranti caratteristiche del grido disperato. Il guaio è che quando la voce soffre in alto poi ne risente tutta l'espressione, il canto non è più fluido ma teso, preoccupato e così l'ascoltatore: cosa succederà? Ce la farà? Sono domande che un grande artista non deve far porre al pubblico né deve porre a sé stesso. Un brutto giorno la Urmana decise di non accontentarsi più delle sue splendide Santuzze, Eboli, Azucene e accettò il salto. E' stato un salto nel vuoto e senza paracadute, quasi un suicidio vocale e oggi assistiamo all'immolazione di questa Artista con la A maiuscola sull'altare del melodramma.

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La voce balla sulle note di passaggio, i pianissimi o gli effetti di smorzando non esistono, tutto è cantato mezzoforte o forte: fa testo la grande aria del IV atto “Pace mio Dio”, con il famoso passaggio “invan la pace” risolto alla disperata, con un si bemolle  stretto ,  strizzato come uno straccio bagnato.

Per Salvatore Licitra vale lo stesso discorso, con l'aggravante di una tecnica mai del tutto messa a posto. Voce di strepitosa qualità e quantità , forse più lirica che drammatica, gettata in un agone troppo scarso di tenori, Licitra ha alle sue spalle degli ottimi esordi, contrassegnati da tante bellissime recite . La legge del Canto vuole che tutto funzioni finché regge la giovane fibra, poi iniziano le difficoltà se non c'è alla base una tecnica solida e di assoluta affidabilità. Oggi, dopo un lavoro incessante e nei massimi teatri del mondo, Licitra non è praticamente più in grado di modulare la voce con serenità: sopra il fa diesis il canto si fa avventuroso, alla “o la va o la spacca”. Ogni si bemolle è un urlo strozzato, i si naturali sono tutti a rischio stecca: al termine del duettone “Né gustare m'è dato” siamo addirittura all' urlo di guerra apache. L'aria “O tu che in seno agli angeli” , ricchissima di indicazioni dinamiche ed espressive che Licitra non può eseguire, si trasforma in uno sforzo disumano, in una lotta per la sopravvivenza. licitra_forza

E' un vero peccato perché prima del passaggio la voce è ancora molto bella e lascia intendere cosa sarebbe potuto essere Salvatore se solo avesse studiato per bene.

Roberto Frontali ha una sua solidità, si rifugia nel naso per gli acuti ma -come diceva Bruscantini- “meglio nel naso che nel culo”. Il fraseggio è sempre autorevole, chiara la dizione, il personaggio c'è.

               scandiuzzi

Roberto Scandiuzzi è ormai un veterano della parte e qua e là si sente: tuttavia anche lui crea un personaggio estremamente umano e nobile, risolvendo con intelligenza i passaggi più ostici, compreso il terzetto finale.

Intubata e modesta la Maximova come Preziosilla, che non è parte da comprimaria.

Roberto De Candia è un robusto Melitone e a parte un acuto aperto (“Non ispEri la terra”) nel suo grande monologo , crea comunque un personaggio per nulla machiettistico e molto cantato, il che è un bene.

Benissimo Bosi come Trabuco e Iori come Marchese di Calatrava.

Ottima la prestazione di Coro e Orchestra,guidati  da  un Mehta  molto  ispirato  e  partecipe. Pessima invece la “prestazione” del pubblico, che ha applaudito cose che non andavano applaudite. Diciamo che il buonismo ha prevalso sulla realtà dei fatti.

 
TROVATORE DEMONIACO AL MET 31\10\2010
Domenica 31 Ottobre 2010 19:53
Ricevo  dall'amico  Michele Maltese  una  gustosa  cronaca  dal  Metropolitan  di New  York e volentieri  pubblico:


Oggetto: Per la serata di Halloween al MET, un
Trovatore...mostruoso
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Caro  Enrico,

sono un attento e appassionato ascoltatore fin dal 1997 (avevo tredici anni) e nutro nei confronti della Barcaccia un profondo sentimento di riconoscenza per aver contribuito in maniera determinante alla formazione della mia cultura operistica e di quella di tanti altri italiani.

Vorrei esprimere in maniera tangibile la mia riconoscenza e il mio affetto verso la  trasmissione "La  Barcaccia"  (Rai  Radio3)  fornendovi una breve cronaca del Trovatore a cui ho assistito al MET nella serata di sabato 30 ottobre, vale a dire la notte di Halloween. Immagino che questa circostanza spieghi molte delle cose che si sono viste e ascoltate.

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                    Irene  Dalis, una  spaventosa  Azucena  al  Met  negli  anni  60

In primo luogo, l'allestimento di David McVicar era ispirato espressamente alle lugubri atmosfere delle Pinturas negras di Goya. Sul sipario vengono infatti raffigurate a grandezza elefantiaca le maschere deformate e angoscianti della Romerìa a San Isidoro e mai scelta fu stilisticamente più azzeccata per una notte di Halloween, che com'è noto, si popola di prosopopee spettrali e sataniche. Una corte infernale infatti viene messa in scena all'inzio della Parte Seconda, quando al coro degli Zingari si aggiungono quattro o cinque energumeni palestrati (dei professori di percussioni, bisogna immaginare), che, senza senza cantare, esibiscono i propri addominali scolpiti e i propri bicipiti dando grandi mazzate alle incudini al ritmo del ritornello "chi del Gitano i giorni abella?", creando così un clima decisamente infernale (ne trovate un video sul sito del Metropolitan: http://link.brightcove.com/services/player/bcpid610237632001?bctid=653255878001). 

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                                                 Dolora  Zajich, altra  mostruosa  Azucena  al  Met

                

Ma Halloween è anche la notte del Sabba delle Streghe e, almeno qui negli Stati Uniti, presenta dunque anche elementi vagamente orgiastici. Per esprimere questo concetto, il regista ha operato una curiosa rivisitazione dell'inizio della Parte Terza dell'Opera, quella in cui il coro dei soldati del Conte di Luna gioca a dadi, aspettando i rinforzi necessari per dare l'assalto finale a Castellor ("Or coi dadi, ma fra poco"). Quando i rinforzi attesi finalmente giungono, la didascalia del libretto di Cammarano spiega che "un grosso drappello di Balestrieri traversa il campo". Qui il regista, invece di fare sfilare un plotone di truppe, ha fatto entrare in scena un manipolo di prostitute (si capisce che sono tali dal loro abbigliamento discinto) che ha cominciato ad impegnare alcuni membri dell'esercito del Conte in non dissimulati esercizi sessuali, mentre il resto del coro commentava da vero intenditore, come da libretto, "Il soccorso dimandato / Han l'aspetto del valor".

                       racette Patricia  Racette



Venendo al cast, occorre segnalare che purtroppo qualche maledizione demoniaca ha colpito il Soprano Patricia Racette, che a causa di un'indisposizione ha dovuto abbandonare la rappresentazione nell'intervallo tra la Seconda e la Terza Parte dell'opera--per intenderci, prima di affrontare arie impegnative come "D'Amor sull'ali rosee", "tu vedrai che amore in terra" e i duetti con il Conte ("Mira d'acerbe lagrime" e "Vivrà! Contento il giubilo") e con Manrico ("Che? Non mi inganna quel fioco lume"). Eppure c'è chi sospetta che il demonio si fosse impossessato della Racette già durante la prima parte dello spettacolo, perchè nell'aria "Tacea la notte placida" al posto degli acuti emetteva strani belati caprini, segno sicuro di impossessamento satanico. La Racette è stata sostituita dal Soprano californiano Julianna Di Giacomo, che, come sempre accade in queste circostanze, è stata la più applaudita dal pubblico.

Durante la famosa stretta finale della Parte Terza è poi calato sul Teatro un sortilegio collettivo, tale per cui il Direttore (M° Marco Armillato), tutti i Professori d'Orchestra, il Coro e il Tenore Marcelo Alvarez hanno abbassato di un semitono "Di quella pira" (proposta del resto nella sua versione consueta e non in quella filologica), cosicchè il Do finale si è diabolicamente tramutato in un Si naturale. La spiegazione del fenomeno (che è stato osservato anche dal recensore del New York Times alla prima dello spettacolo qualche giorno fa; cfr. http://www.nytimes.com/2010/10/28/arts/music/28verdi.html?scp=1&sq=trovatore&st=cse ) non può che essere iscritta nella dimensione del paranormale, perchè pare che in un Trovatore a Parma Alvarez si fosse prodotto in un scintillante Do di petto, secondo la migliore tradizione tenoristica. Allego una registrazione del fenomeno, scusandomi per la pessima qualità del suono. Occorre avvertire che gli applausi e le urla di entusiasmo che sentirete dopo il fatidico "All'armi!" non provengono dal pubblico, ma dal coro stesso che così facendo si dà coraggio in vista dell'imminente battaglia con le truppe del Conte (la reazione del pubblico--anch'esso in trance, bisogna credere--è stata un ben più moderato applauso che potrete ascoltare alla fine della registrazione, quando il coro era ormai uscito di scena).
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Ma poichè  ad ogni Demone corrisponde un Angelo, occorre comunque segnalare l'ottima prestazione del Baritono Zeljiko Lucic nel ruolo del Conte di Luna. Anche se nel "Balen del suo sorriso" è rimasto un po' a corto di fiato, gli attacchi nei vari duetti e terzetti (in particolare in "Di geloso amore spezzato") sono stati meravigliosi, come pure le mezzevoci e, in generale, la pasta timbrica, brunita e ricca di armonici.

Insomma, una serata ricca di Perle Nere e degna della rubrica Angeli e Demoni.

Un caro, affettuoso saluto,

Michele Maltese

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ELISIR D'ONORE ALLA FENICE!
Venerdì 29 Ottobre 2010 20:24

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Esito  trionfale  per  l'"Elisir d'amore"  di  Donizetti  rappresentato a  Venezia. Mentre  scriviamo  gli applausi  festeggiano  ancora il  cast  :  Celso  Albelo-Nemorino, Desirée  Rancatore-Adina,  Bruno  De  Simone- Dulcamara, Roberto  DE  Candia-Belcore, il maestro  Beltrami, Orchestra  e  Coro  del  Teatro  La  Fenice.

Era  ora  di respirare una  buona  boccata  d'ossigeno: grazie  al  genio  di  Donizetti  e  grazie  soprattutto  agli artisti  che  hanno  saputo  rendere  il  brio, la freschezza, la  joie de  vivre  e  la  poesia  di  questo  capolavoro.

In primis  il giusto plauso  va  alla  coppia  Albelo-Rancatore: tra  loro  una complicità  e  una  gara  di  bravura  al  tempo  stesso, che  ha  trovato nel  finale  del  II  atto  il suo  acme  assoluto. "Una furtiva lagrima"   e  "Il mio  rigor  dimentica"  come  un  UNO-DUE  pugilistico, per mandare  il pubblico in visibilio  e  portare  al  bis....come  ai  vecchi  tempi.  Fine  e raffinato  fraseggiatore  lui, pirotecnica  virtuosa  lei...paiono  nati  per cantare  assieme, un affiatamento  che  è    uno  dei  risultati  più  preziosi  per  questi  due  grandissimi  artisti.

              celso_albelo Celso Albelo

Mi permetterò  di  notare, qua  e  là,  qualche  piccola  incertezza  nell'intonazione  di  Celso  Albelo, la  cui  magnifica  vocalità  (tanto  simile  a  quella  del conterraneo   Alfredo  Kraus) proprio  perché  immacolata, fa  maggiormente  notare  qualche lecita  macchiolina.  Perfetti  gli  acuti, con do  sicurissimi  infilati  nei  punti  clou, ma  splendido  anche il gioco  dei  colori, tanto importante  per  questo  ruolo  cardine   nella carriera  di  ogni  tenore.

               rancatore3 Desy Rancatore

La  Rancatore  è  un  'Adina  volitiva  e  simpatica, che  non vede  l'ora  di arrivare  alla  cabaletta  finale  per  scatenarsi  nel suo  registro  acuto e sopracuto. Soffre  un pochino  per la  tessitura  lirica  di  molti passaggi, soprattutto  nel  I  atto, ogni  tanto  è  costretta  a  schiacciare  qualche  "i"  e  qualche  "e"  , dando al  personaggio  un tono  a  volte  petulante, da  "bambina   cattiva". Ma  Adina, volendo,  può  anche  essere  una  bambina viziata, forse  anche  un pò  cinica. L'asso nella manica  della  Rancatore  sono  gli acuti, le variazioni quasi strafottenti, la  facilità  e la disinvoltura, la  musicalità  a  prova  di  bomba. La  voce  ha  acquisito  corpo  nel  registro  grave , il fraseggio  è  sempre  pertinente   al  testo  e, come accade  a ogni  fuoriclasse  che si  rispetti, la  prestazione  è  in continuo  crescendo.

Bravo ed  esperto  De Candia  come  Belcore, personaggio che credo  abbia  cantato  più  d'ogni  altro  ruolo  e  sempre   con  colleghi prestigiosissimi. Qualche suono  'aperto'  ma   si  addice a  una   tronfia  canaglia  come  il  soldataccio .

De  Simone  è  un Dulcamara  un pò  troppo chiaro  e  tenorile  per  i  miei  gusti, ma  canta  con  estrema  proprietà e  precisione, dando  sempre  senso  alla  parola  scenica, come il suo  maestro  Bruscantini.

Giannetta   un pò  troppo  isterica  e  ottima  la  concertazione  del  maestro  Beltrami: tempi  perfetti, grande  sicurezza  nel  seguire  il  canto  dei  vari  solisti, molte  sfumature  e  colori  nell'orchestra, una concertazione  che  mi  è  parsa  curata  nei minimi  dettagli. Una  bellissima  serata  alla  Fenice.

 

 
S.CECILIA FESTEGGIA IL GUGLIELMO TELL
Domenica 17 Ottobre 2010 08:51

                                       tell_william

Festeggiato da interminabili applausi, commossi e convinti, il “Guglielmo Tell” torna sotto la direzione di Antonio Pappano alla Sala S.Cecilia del Parco della Musica a Roma. Un'esecuzione che potrei definire perfetta per quanto riguarda la concertazione, tersa e lucidissima, e la conseguente prestazione di Orchestra e Coro. Dopo questa ulteriore, memorabile prova , è facile per il cronista affermare che l'orchestra e il coro dell'Accademia Nazionale di S.Cecilia sono oggi le migliori compagini italiane, al livello delle migliori orchestre del mondo.

pappano2 Pappano  e  l'Orchestra,Coro di S.Cecilia

Pappano, cm suo solito, imprime uno scatto vigoroso e una scelta di tempi serrata ma il suo Rossini resta un Rossini classico, che guarda cioé più al grande passato costituito dall'idolo Mozart che al futuro romantico, rappresentato da Verdi. Un grave errore, commesso dagli esecutori del Novecento, è stato quello di collocare l'ultima opera di Rossini, scritta nel 1829, alla stessa stregua stilistica del primo se non addirittura del tardo Verdi, con l'effetto di appesantire ed enfatizzare la raffinata orchestrazione rossiniana e costringere la scelta di voci abituate all'Aida, al Trovatore, alla Forza del destino. Il Gugliemo Tell, aggiungiamo, fu presentato ampiamente tagliato fin dalle sue prime rappresentazioni, in certi casi addirittura decurtato della metà! Oggi Pappano restituisce questo formidabile affresco sonoro in tutta la sua magnificenza, rivelato in ogni dettaglio, con un amore e una dedizione assolutamente speciali. A lui il massimo tributo e l'entusiasmo del pubblico.

           pappano1 Antonio Pappano

Veniamo al cast vocale. Luci e ombre com'è ovvio e consueto, in un periodo storico che vede abbastanza depauperato e confuso il grande bacino delle vocalità.

Partirei dall'ottimo trio dei tenori: Celso Albelo, ormai un lusso per il Pescatore che apre l'opera, ha sfoggiato la sua bella ed estesa voce di tenore lirico leggero, dal canto suo Carlo Bosi, nella parte di Rodolfo il capo degli arcieri di Gesler, ha fatto udire in sala la voce tenorile più sonora e penetrante, nonostante la parte da comprimario. John Osborn, last but not least, ha affrontato ancora una volta la tremenda parte di Arnoldo, stavolta con un eccesso di prudenza, per giungere fresco e temprato allo scoglio terribile della scena del IV atto. Nonostante la fantastica sicurezza del registro acuto e sopracuto, la duttilità e l'aplomb stilistico, Osborn ha peccato a mio parere di qualche falsetto di troppo , soprattutto nel grande duetto con Matilde, tanto da risultare più un Conte d'Almaviva che l'eroico antesignano di Manrico. Gli sono mancate cioé le folgori che pur necessitano in una partitura dall'orchestrazione densa e a tratti travolgente. Tuttavia, Osborn ha superato con abilità tutte le difficoltà e ha trionfato in aria e cabaletta del IV atto, ottenendo un successo personale.

Il protagonista era il baritono canadese Gerald Finley, nobile e misurato nell'emissione, chiarissimo nella parola, il quale però è stato poco incisivo nei passi più gloriosi della sua parte, soprattutto nel giuramento finale del II atto. E' la classica voce da perfetto liederista, si avverte dall'attacco alto dei suoni e leggermente fisso sugli acuti, un canto leggermente “manierato” che se avvantaggia l'emissione in certi passi più lirici la penalizza in quelli più veementi, nel duetto con Arnoldo per esempio. Michele Pertusi mi era piaciuto di più e lo stesso Bruson, in una bellissima edizione al Filarmonico di Verona.

            bystroem M.Bystroem

Matilde era la bellissima Malin Bystroem, una svedesona alta e bionda, fisico da top model, adusa al repertorio mozartiano . Sinceramente una  prova  che mi ha  deluso: per il  timbro, che è abbastanza anonimo, per l'assenza  di  vigore poiché la voce risuona chiara e poco proiettata, per la tecnica, tutta da perfezionare. Ne è risultata una esecuzione non ancora matura, piuttosto incerta seppur musicalmente a posto, con acuti lanciati alla “garibaldina” e agilità sofferte. Tra l'altro (questo è un consiglio per chi vuole stare in scena con eleganza) la bellezza conta fino a un certo punto, conta piuttosto la POSTURA. Proprio perché preoccupata dall'asperità della sua parte e forse dalla vocalità non adatta, la splendida “Barbie” ha cantato con le braccia perennemente mulinanti, tipo direttore d'orchestra, e piegata su un fianco. Non era un bel vedere, tant'è che man mano che l'opera andava avanti ha preso il sopravvento la piccola ma aguzza Elena Xanthoudakis, che cantava Jemmy. Una Dessay in sedicesima, somigliantissima, vincente nei concertati e nel meraviglioso finale, in cui ha umiliato la collega con un formidabile do acuto.

Molto bravo il basso Frédéric Caton come Melchtal, meno bene Carlo Cigni come Gesler, a causa di un registro acuto piuttosto ingolato.Belle le voci di David Kimberg come Leutoldo e Matthew Rose come Gualtiero.Buona Edwige e cioé il mezzosoprano Marie-Nicole Lemieux.

La serata e le prossime due recite verranno registrate e poi proposte in cd dalla Emi.

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