Martedì 02 Novembre 2010 08:23 |
Raccolgo la giusta protesta dei lavoratori del Teatro Lirico di Cagliari, in agitazione per i guasti creati dalla malagestione di questi ultimi anni.
Massacrato dai debiti generati da Mauro Meli e dal suo complice-cliente Valentin Procinsky, agente avido e privo di scrupoli, il Teatro di Cagliari ha ereditato una marea di deficit che l'attuale sovrintendente, Maurizio Pietrantonio, non è riuscito a scalfire se non in minima parte. Dopo circa 18 anni si è dimesso un altro complice di questo disastro amministrativo, il direttore artistico Biscardi ma ciò è avvenuto, come si suol dire, quando ormai i buoi erano scappati dalla stalla.
Il risanamento di Cagliari non può che avvenire restituendo alla città un Teatro pulito, gestito con onestà e competenza ma, stante l'attuale situazione dei finanziamenti pubblici, il deficit non può essere risanato senza un preciso piano marketing e l'intervento dei privati. E' un processo lungo, c'è il rischio che -come sempre- paghino i lavoratori.
Lo scritto di un lavoratore del Teatro, e pubblicato qui di seguito, fa capire molte cose "tecniche" anche a chi è totalmente avulso da questioni amministrative.
Gentilissimo M° Stinchelli,
dopo aver letto ed apprezzato la sua ottima analisi sulla situazione dell'Opera di Roma, mi viene facile trovare molti punti in comune con la situazione del Lirico di Cagliari. A tal proposito vorrei sottoporre alla sua attenzione le mie modeste considerazioni sulle spese di Cagliari fatte dopo aver potuto prendere visione del "bilancio d'esercizio per l'anno 2009". Desidero premettere che i dati che le fornisco non sono coperti da nessun segreto in quanto i bilanci sono cosa pubblica, per chi li vuol vedere. Le mie considerazioni sono molto modeste, non è più di una semplice "lettura e commento di uno scontrino" così come farebbe un marito stufo di una moglie spendacciona (e viceversa !). Vedrà che ci sono elementi sufficienti a sostenere la nostra protesta e a dare ragione alla sua affermazione secondo la quale si possono salvare i teatri lirici italiani: basta volerlo. Prima di salutarla desidero sottolineare che le mie valutazioni prescindono da ogni pregiudizio nei confronti della fazione politica a cui appartiene il nostro sovrintendente (Meli era uno "di sinistra" e fa di peggio !) e consideri inoltre che questa mia relazione è già stata consegnata a stampa e politici. Grazie per l'attenzione
Cordiali saluti
Alcune considerazioni sul
BILANCIO DI ESERCIZIO DEL TEATRO LIRICO DI CAGLIARI – Anno 2009
Nel prendere visione del bilancio consuntivo del 2009 per quanto non sia nelle nostre possibilità poter entrare nei dettagli delle voci di spesa, è sicuramente possibile fare alcune valutazioni in merito alla necessità reale delle spese dichiarate e sulla loro consistenza. Nel contempo abbiamo voluto evidenziare le cattive capacità imprenditoriali e gestionali del gruppo dirigente del Teatro Lirico di Cagliari che, da tempo, persevera nel proporre programmi che, a fronte di costi esagerati, non riscuotono un sufficiente consenso del pubblico. Tali valutazioni sono fatte nella più assoluta buona fede sull’ammontare delle cifre riportate. Non è perciò nelle nostre intenzioni e nelle nostre facoltà dubitare, in linea generale, della veridicità di quanto riportato. Questo è, casomai, un compito che spetta alle autorità competenti il cui intervento sarebbe auspicabile. Noi non abbiamo fatto altro che porre in evidenza incongruenze e imprecisioni che meritano sicuramente un maggior approfondimento.
( N.B. In grassetto le pagine a cui si riferisce la nota e sottolineato quelle che sono precise voci di bilancio.
Le cifre sono riportate esattamente come figurano in bilancio )
L’esordio del Sovrintendente è già di per sé sorprendente. Infatti, nella relazione introduttiva, alla pag. 8, parla di un “… sostanziale mantenimento complessivo del pubblico utente…”. Due righe dopo lo “dimostra” coi numeri da cui si evince che dal 2006 al 2009 abbiamo avuto un calo di pubblico pari a 7873 spettatori. La matematica, per questo CdA, è un opinione.
A pag. 14 vediamo dalle cifre riportate nella tabella CONSISTENZA MEDIA del PERSONALE ANNO 2009 che su 354 dipendenti ce ne sono 7, assunti a contratto di collaborazione professionale autonoma, che costano 707.771 euro all’anno (mediamente 101.000 euro ciascuno) contro 347 dipendenti che costano 11.727.199 euro annui (media 33.800 euro ciascuno, che sta a significare uno stipendio medio netto di circa 1600 euro mensili per 14 mensilità. Vorrei ricordare che una certa stampa ci definì “lavoratori da 70.000 euro all’anno”).
A pag. 36 figura l’unica retribuzione isolata dalle altre del gruppo dirigente, cioè il Compenso e indennità sovrintendente, che ammonta a € 174.228. Da notare che, rispetto al 2008, lo stipendio del sovrintendente è cresciuto del 8% (€ 13.258 in più all’anno) nonostante la crisi economica e i tagli ai finanziamenti FUS. Questo dato è in contraddizione con la presunta riduzione del 20% che il sovrintendente avrebbe apportato al suo stipendio, così come dichiarato recentemente alla stampa. Se questo sia avvenuto nel 2010 non è possibile verificarlo, e comunque un aumento del 8% e una successiva riduzione del 20% significano che se una diminuzione c’è stata, è del 12%.
Nella stessa pagina abbiamo un maggior dettaglio dei costi del Personale con incarico professionale che, con i contributi, consistono in € 848.071. Fra queste figure possiamo sicuramente individuare, per quanto non risultino mai singolarmente considerati, i seguenti incarichi:
Direttore Artistico (Massimo Biscardi), Direttore di Produzione (Marco Maimeri), Maestro del Coro (Fulvio Fogliazza), Direttore Amministrativo (Vincenzo Caldo), Direttore del Personale (Vincenzo Caldo) e il signor Vargiu che sarebbe ora il responsabile di un fantomatico Ufficio Marketing dopo che è passata a Caldo la Direzione del Personale. Non ci è dato sapere quale sia la retribuzione di ognuno di loro così come non ci è dato sapere se il signor Vincenzo Caldo sia doppiamente retribuito per via dei due incarichi che ricopre. Le singole figure non compaiono mai in bilancio ma vengono considerate sempre come costo complessivo. Sappiamo comunque, dalla pag. 14, che si tratta di 7 contratti professionali. Se si sottrae, in quanto nota, la retribuzione del sovrintendente resta un costo di € 673.843 da ripartire in 6 persone, il che porta ad una retribuzione media annua per ciascuno di € 112.000 circa. Da notare che, ad esclusione del Sovrintendente, del Maestro del Coro e del Direttore Artistico, tutti gli altri incarichi potrebbero rientrare in categorie già previste dal CCNL ed essere perciò retribuiti secondo tabelle con una riduzione dei costi di oltre il 50%.
Alla pag. 37 vediamo alcuni costi nel dettaglio. Il dato più eclatante è quello delle spese sostenute per i Complessi ospiti che ammontano a € 1.316.000 (dato superiore a quello del 2008, alla faccia dei tagli). Questo, per un teatro che ha un coro e un’orchestra stabili, è il fatto più grave di tutta la gestione dissennata di questa e della precedente amministrazione. I lavoratori hanno da sempre contestato il ricorso sempre più frequente ai complessi ospiti ma tale protesta non è mai stata tenuta in considerazione. I costi di questi complessi sono addirittura superiori a quelli sostenuti per le Compagnie di canto (€ 1.285.165). Si consideri inoltre, come si vede dalla pag. 91 alla pag. 96, che l’affluenza di pubblico attirata da tali complessi è piuttosto bassa (se si escludono gli abbonati per i motivi che verranno descritti in seguito, risulta che per i complessi ospiti si è registrata una richiesta media di 78 spettatori a concerto, come si deduce rapportando i 554 spettatori paganti per 7 concerti eseguiti). Crediamo, e non a torto, che una simile gestione delle risorse (pubbliche) sia contraria a qualsiasi principio economico.
Il costo di € 1.326.000 si aggrava ulteriormente a causa delle Spese albergo e viaggio personale scritturato che ammontano a € 125.677 (€ 36.778 nel 2008). Queste spese non possono che essere causate dai complessi ospiti, perché sarebbe ancora più grave se venissero sostenute anche per le compagnie di canto o altro dal momento che, normalmente, gli artisti si accollano personalmente le spese di viaggio e alloggio.
Sempre nella pag. 37 compaiono alcune voci di spesa poco chiare o quantomeno eccessive rispetto alla loro reale necessità. E’ il caso, questo, delle Spese per organizzazione e partecipazione convegni etc. (questo “eccetera” è piuttosto vago. Sarebbe opportuno sapere quale sia il suo valore in denaro ) che con 87.602 euro risulta più che quadruplicata rispetto all’anno precedente: per essere, questo, il costo di qualche “eccetera” c’è da stare poco tranquilli. Anche i 13.716 euro spesi per Consulenze amministrative e fiscali (quasi il doppio rispetto al 2008) andrebbero analizzati e visti col conforto delle cosiddette “pezze giustificative”. Non vorremmo che con il totale delle piccole cifre (piccole rispetto ad un bilancio di oltre 30.000.000 di euro) si nascondano manovre poco trasparenti.
Poco chiara ci pare anche la spesa sostenuta per Servizi fotografici e riprese video per archivio
(pag. 38) che consiste in € 40.650. Anche questa spesa è, rispetto all’anno precedente, quasi raddoppiata e non riusciamo a trovare una spiegazione logica. A meno che il fotografo non sia stato assunto stabilmente con uno stipendio di oltre € 2000 mensili, nel qual caso andrebbe a sommarsi ai costi del personale, non sappiamo quali necessità di archivio portino ad un esborso simile. Non dubitiamo, ovviamente del fotografo, almeno fino a prova contraria, ma dubitiamo della veridicità, in questo caso, di quanto messo in bilancio. Il sospetto è sempre quello che le piccole cifre costituiscano una suddivisione atta a mascherare grosse cifre che non compaiono nella loro completezza in altre voci di bilancio. Stesso ragionamento vale per fantomatiche Spese di rappresentanza (€ 66.239, cioè più del triplo rispetto al 2008) così come compaiono sempre a pag. 38, dove troviamo un’altra spesa piuttosto particolare. Risultano infatti spesi 21.089 euro (17.686 nel 2008) per Rimborso viaggi sovrintendente. Non vogliamo pensare che il sovrintendente paghi con soldi pubblici i suoi viaggi per raggiungere il Conservatorio di Avellino (dove, come si può vedere dal sito internet del Conservatorio suddetto, risulta in organico come docente di violino) ma non riusciamo a capire quante e quali necessità lo portino a viaggiare al costo di 57 euro giornalieri. Ci piacerebbe vedere, se esiste, la documentazione attestante i dove, come, quando e perchè.
Alla pag. 39 dobbiamo registrare non tanto un’irregolarità quanto un elemento di spesa che, per come presentato, può risultare fuorviante. Vengono infatti incluse le prestazioni extracontrattuali nella voce Salari e stipendi. Le prestazioni extracontrattuali sono quelle date dagli artisti del coro o dai professori d’orchestra quando prestano la loro opera, sempre per conto del Teatro Lirico di Cagliari, come solisti al di fuori dei complessi in cui operano normalmente. Se si inserisce il costo di tali prestazioni fra il costo del personale, quest’ultimo risulta inevitabilmente “gonfiato”. Tale spesa andrebbe infatti inserita nei costi dello compagnie di canto o dei solisti dove, pur non facendo variare il totale delle spese del teatro, dimostrerebbe che ha permesso un grosso risparmio dal momento che, con la spesa media di circa € 400 a prestazione, si è potuto evitare di scritturare un cantante o uno strumentista che per la stessa prestazione non sarebbe costato meno di € 5000.
Alla pag. 43 notiamo un particolare a dir poco curioso. Nonostante il calo di spettatori, i ricavi da biglietti e abbonamenti sono cresciuti. Per la precisione si sono incassati, rispetto al 2008, € 63.258 con 1850 spettatori in meno. Il dato è piuttosto inspiegabile, a meno che 1850 spettatori non abbiano deciso di fare una donazione al teatro pagando comunque il biglietto per spettacoli che non hanno visto.
Rimane da affrontare il tema del tipo di programmazione, per quanto riguarda la lirica, che da anni caratterizza il Teatro Lirico di Cagliari. E’ ormai prassi consolidata quella di mettere in cartellone opere di compositori stranieri sconosciute, mai eseguite o abbandonate dopo le prime esecuzioni. In genere quello dell’oblio è il destino delle opere che non riscuotono il consenso del pubblico, ma la dirigenza del Teatro Lirico di Cagliari pare non curarsi di questo particolare fondamentale. Il parere del pubblico poco importa e quando i lavoratori hanno contestato certe scelte programmatiche motivando tale protesta proprio con la scarsissima attrattiva che queste hanno per il pubblico, si sono trovati di fronte ad un muro di indifferenza e sufficienza. Forse per la dirigenza è importante che tali opere siano “piazzate” dagli agenti teatrali che dalla venuta di Mauro Meli dominano il Lirico di Cagliari, a partire da un certo Valentin Proczinsky.
Analizzando, anche in maniera sommaria, le cifre riportate in bilancio si può stabilire se i lavoratori hanno ragione o meno a dichiarare che certe opere non sono gradite al pubblico.
A pag. 89 possiamo vedere i dati relativi agli spettatori presenti alle rappresentazioni dell’opera Semen Kotko di S. Prokofiev.
Gli abbonati sono, per Semen Kotko, in numero uguale a quello delle altre opere. L’abbonato acquista, per sua comodità, un “pacchetto” che gli permette di vedere tutta la programmazione del teatro ad un costo minore di quello che dovrebbe sostenere se acquistasse il biglietto per ogni singola manifestazione. In questo modo ha la certezza del posto pur essendo costretto a vedere anche ciò che non sempre gli è gradito. Ma nel 2009, proprio perché gli abbonati sono stanchi di pagare per ciò che non gradiscono, si è registrato un calo nelle vendite degli abbonamenti di € 63.372 rispetto all’anno precedente ( da € 1.292.267 si è scesi a € 1.228.895, come da tabella a pag. 43).
Il dato dimostra quindi che una larga parte del pubblico ha deciso di non rinnovare gli abbonamenti e di acquistare il biglietto solo quando va in scena ciò che gradisce. Questa ipotesi è convalidata da quanto riportato sempre a pag. 43: nel 2009 la vendita di biglietti ha dato un ricavo di € 335.223 contro i 216.969 del 2008 (incremento di € 118.254).
Perciò a fare da indicatore del reale indice di gradimento di un’opera sono quelli spettatori che nel bilancio (tabella a pag.89) vengono definiti Spettatori paganti (cioè quelli che non sono abbonati e pagano il biglietto di volta in volta, mentre gli abbonati sono alla voce Presenze abbonati ). Nel caso di Semen Kotko si vede che per 8 recite ci sono stati 480 spettatori paganti per una media di 60 spettatori a recita. Per l’opera Aida di G. Verdi (pag.90) abbiamo ovviamente lo stesso numero di abbonati ma ben 2929 paganti per una media di 366 spettatori a recita. Facendo un semplice calcolo si vede quindi che per l’Aida un numero di spettatori 6 volte superiore a quello di Semen Kotko ha deciso di pagare il biglietto per poter assistere allo spettacolo, che equivale a dire che 1,3 recite di Aida hanno fatto registrare un numero di spettatori paganti pari a 8 recite di Semen Kotko o che un’Aida da sola vale quasi otto Semen Kotko. Ognuno la legga come vuole. Dati analoghi si possono calcolare considerando L’Elisir d’Amore o Cavalleria Rusticana/Pagliacci.
E’inspiegabile, in una logica di mercato, come si cerchi di vendere un prodotto per cui la richiesta è oltremodo bassa. Questo dovrebbe portare ad un calo del prezzo o ad una diminuzione dell’offerta, vale a dire prezzi dei biglietti molto più bassi o un numero di recite di molto inferiore alle solite otto (7 + prova generale pubblica) quando si decide di allestire opere come Semen Kotko.
I lavoratori da tempo sostengono tali opere dovrebbero sparire dalla programmazione del teatro, ma qualora fosse inevitabile rappresentarle sarebbe opportuno fare un numero di recite notevolmente inferiore. Questo porterebbe ad un notevole risparmio nei costi per le compagnie di canto. Normalmente, infatti, per poter mettere in scena otto recite in tempi brevi (poco più di una settimana perchè tempi più lunghi porterebbero a costi superiori) è necessario avere due compagnie di canto che possano assicurare una recita ogni giorno. Per i cantanti che interpretano certi ruoli è praticamente impossibile andare in scena tutti i giorni senza il tempo di far riposare l’organo vocale, e per questo si ricorre a due compagnie di canto. Le due compagnie scritturate hanno di solito cachet diversi per cui il costo, pur non risultando esattamente raddoppiato, è comunque superiore a quello che si avrebbe se, riducendo il numero di recite, si potesse andare in scena a giorni alterni, assicurando così il giorno di riposo ai cantanti solisti senza dover scritturare una seconda compagnia.
Si tenga conto che fino a qui si è analizzata la programmazione del 2009, anno in cui si è messa in scena una sola opera “non tradizionale”. Negli anni precedenti la programmazione del Teatro Lirico di Cagliari è stata dominata da tali opere, cosa che ha portato, assieme al fenomeno dei complessi ospiti, al collasso economico del teatro e, cosa ancora più grave, ad una perdita di quasi 8.000 spettatori un pochi anni.
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Domenica 31 Ottobre 2010 10:59 |
H A L L O W E E N !!!
Halloween (or Hallowe'en) is an annual holiday observed on October 31,
primarily in the United States, Canada, Ireland, and the United Kingdom. It has
roots in the Celtic festival of Samhain and the Christian holiday All Saints' Day, but
is today largely a secular celebration.
Jessye Norman
Common Halloween activities include trick-or-treating, wearing costumes and
attending costume parties, carving jack-o'-lanterns, ghost tours, bonfires, apple
bobbing, visiting haunted attractions, committing pranks, telling ghost stories or
other frightening tales, and watching horror films.
Cecilia Bartoli
Halloween o Hallowe'en è il nome di una festa popolare di origine pre-cristiana, ora tipicamente statunitense e canadese, che si celebra la sera del 31 ottobre, ossia alla vigilia della festa di Ognissanti (è questo il significato della parola Halloween). Tuttavia, le sue origini antichissime affondano nel più remoto passato delle tradizioni europee: viene fatta risalire a quando le popolazioni tribali usavano dividere l'anno in due parti in base alla transumanza del bestiame. Nel periodo fra ottobre e novembre, preparandosi la terra all'inverno, era necessario ricoverare il bestiame in luogo chiuso per garantirgli la sopravvivenza alla stagione fredda: è questo il periodo di Halloween.
S i m o n R a t t l e
The festival of Samhain celebrates the end of the "lighter half" of the year and beginning of the "darker half", and is sometimes regarded as the "Celtic New Year".
The ancient Celts believed that the border between this world and the Otherworld became thin on Samhain, allowing spirits (both harmless and harmful) to pass through.
René Fleming
The family's ancestors were honoured and invited home while harmful spirits were warded off. It is believed that the need to ward off harmful spirits led to the wearing of costumesmasks. Their purpose was to disguise oneself as a harmful spirit and thus avoid harm.
In Scotland the spirits were impersonated by young men dressed in white with masked, veiled or blackened faces.
Agnes Baltsa
Samhain was also a time to take stock of food supplies and slaughter livestock for winter stores. Bonfires played a large part in the festivities. All other fires were doused and each home lit their hearth from the bonfire. The bones of slaughtered livestock were cast into its flames.
Cecilia Bartoli
Sometimes two bonfires would be built side-by-side, and people and their livestock would walk between them as a cleansing ritual.
Anita Cerquetti
Nella dimensione circolare-ciclica del tempo, caratteristica della cultura celtica, Samhain si trovava in un punto fuori dalla dimensione temporale che non apparteneva né all'anno vecchio e neppure al nuovo; in quel momento il velo che divideva dalla terra dei morti si assottigliava ed i vivi potevano accedervi.
I Celti non temevano i propri morti e lasciavano per loro del cibo sulla tavola in segno di accoglienza per quanti facessero visita ai vivi, un'usanza, peraltro, sopravvissuta anche in alcune regioni dell'Italia settentrionale.
Bryn Terfel
Oltre a non temere gli spiriti dei defunti, i Celti non credevano nei demoni quanto piuttosto nelle fate e negli elfi, entrambe creature considerate però pericolose: le prime per un supposto risentimento verso gli esseri umani; i secondi per le estreme differenze che intercorrevano appunto rispetto all'uomo.
JOAN SUTHERLAND (a destra!!!)
Secondo la leggenda, nella notte di Samhain questi esseri erano soliti fare scherzi anche pericolosi agli uomini e questo ha portato alla nascita e al perpetuarsi di molte altre storie terrificanti.
Cristina Muti Mazzavillani
The imagery of Halloween is derived from many sources, including national customs, works of Gothic and horrorFrankenstein and Dracula), and classic horror films (such as Frankenstein and The Mummy).
Piero Giuliacci
Elements of the autumn season, such as pumpkins, corn husks, and scarecrows, are also prevalent. Homes are often decorated with these types of symbols around Halloween. literature (such as the novels
Halloween imagery includes themes of death, evil, the occult, magic, or mythical monsters. Traditional characters include ghosts, witches, skeletons, vampires, werewolves, demons, bats, spiders, and black cats.
Vittorio Grigolo
Black and orange are the traditional Halloween colors and represent the darkness of night and the color of bonfires, autumn leaves, and jack-o'-lanterns.
James Levine
È usanza ad Halloween intagliare dei zucche con volti minacciosi e porvi una candela accesa all'interno. Questa usanza nasce dall'idea che i defunti vaghino per la terra con dei fuochi in mano e cerchino di portare via con sé i vivi (in realtà questi fuochi sono i fuochi fatui, causati dalla materia in decomposizione sulle sponde delle paludi); è bene quindi che i vivi si muniscano di una faccia orripilante con un lume dentro per ingannare i morti. Queste credenze sono probabilmente reminescenze dell'antico culto druidico legato al fuoco sacro.
C.Gasdìa C.Studer
J.Botha
Questa usanza fa riferimento anche alle streghe, che venivano bruciate sui roghi o impiccate; infatti, si pensava che queste vagassero nell'oscurità della notte per rivendicare la loro morte (abbigliate in maniera più o meno orrenda) ed approfittassero del maggior potere loro conferito durante la notte di Halloween.
Edita Gruberova
L'usanza è tipicamente statunitense ma probabilmente deriva da tradizioni importate da immigrati europei: l'uso di zucche o, più spesso in Europa, di fantocci rappresentanti streghe e di rape vuote illuminate, è documentato anche in alcune località del Piemonte, della Liguria, della Campania, del Friuli (dove si chiamano Crepis o Musons), dell'Emilia-Romagna, dell'alto Lazio e della Toscana, dove la zucca svuotata era nota nella cultura contadina con il nome di Zozzo.
Enzo Dara
Halloween costumes are traditionally modeled after monsters such as ghosts, skeletons, witches, and devils. Over time, the costume selection extended to include popular characters from fiction, celebrities, and generic archetypes such as ninjas and princesses.
Anna Bahr-Mildenburg
Dressing up in costumes and going "guising" was prevalent in Scotland and Ireland at Halloween by the 19th century. Costuming became popular for Halloween parties in the US in the early 20th century, as often for adults as for children.
Patrizia Ciofi
What sets Halloween costumes apart from costumes for other celebrations or days of dressing up is that they are often designed to imitate supernatural and scary beings. Costumes are traditionally those of monsters such as vampires, ghosts, skeletons, witches, and devils, or in more recent years such science fiction-inspired characters as aliens and superheroes. There are also costumes of pop culture figures like presidents, athletes, celebrities, or film, television, and cartoon characters. Another popular trend is for women (and in some cases, men) to wear sexy or revealing costumes.
Rolando Villazon
Anche in varie località della Sardegna la notte della Commemorazione dei Defunti si svolgono riti che hanno strette similitudini con la tipica festa di Halloween d'oltreoceano, in diversi paesi si preparano le Concas e su mortu (le teste dei morti), ovvero zucche intagliate a forma di teschio, illuminate da una candela, in altre località si svolge il rito de "Is Animeddas" (Le Streghe), de Su bene 'e is animas, o de su mortu mortu, dove i bambini travestiti bussano alle porte chiedendo doni . Questo rito in Molise viene chiamato "l'anim' de le murt".
Paoletta Marrocu
Vi è anche una leggenda britannica che narra di un ragazzo, "Jack", che compiva atti malvagi sulla terra e più di una volta aveva fatto gli scherzi al Diavolo, così, quando morì, diventò un fantasma che vaga con una lanterna ricavata da una zucca illuminata (Jack o'lantern, "Jack della Lanterna").
Alessandra Marc
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Venerdì 29 Ottobre 2010 07:09 |
Opera di Roma: sul filo del rasoio...
Al Teatro dell’Opera è previsto per il 2010 un deficit di 11 milioni.
Di questo debito di 11 milioni, una quota pari a 7 milioni verrebbe ripianata dal Comune, altri 3 milioni li dovrebbe reperire il Sovrintendente (come?), e uno verrebbe recuperato con un piano industriale che prevede sostanzialmente una iniziativa di riduzione del personale.
A tal riguardo si potrebbero seguire ipotesi alternative facendo riferimento a quanto è stato proposto e realizzato nella stagione artistica corrente.
L’attuale stagione artistica 2010, infatti, definita con oculata politica programmatica nel periodo del commissariamento, facendo ricorso ad allestimenti meno costosi ed a scelte artistiche più equilibrate, valorizzando gli artisti italiani (e non dando corso a quel provincialismo esterofilo che trova interesse solo nei nomi stranieri per pura incapacità nelle scelte e per cedimenti ai ricatti d'agenzia) aveva già nella previsione di spesa un costo inferiore a quella precedente di circa 1.500.000 euro.
Al contempo, tale stagione, concepita per risvegliare nel pubblico l’attenzione per il teatro d’opera, ne ha indubitabilmente incontrato il favore (stando agli incontrovertibili dati di biglietteria), con un incremento di spettatori, al 30 giugno 2010 (primo semestre), rispetto al primo semestre del 2009, di circa 20.000 unità (19.573), pari ad un +27,03%: un incremento straordinario che non si registrava da decenni!
Peraltro, già i dati relativi agli abbonamenti per la stagione 2010 avevano indicato un significativo aumento nel numero di questi, pari al 10%, che indirizzava verso un cauto ottimismo nella previsione dei dati di biglietteria (e testimoniava il netto favore del pubblico).
Naturalmente il maggior numero di spettatori ha determinato un conseguente aumento degli incassi (sempre rispetto al primo semestre dell’esercizio 2009) pari a circa € 850.000 (+32,5%).
Considerando un prevedibile analogo incremento degli incassi nel secondo semestre del 2010, pari a quello verificatosi nel primo semestre, si sarebbe potuto supporre il raggiungimento di almeno 1.500.000 € totali in più al 31 dicembre 2010.
Pertanto, sommando il risparmio totalizzato all’atto della programmazione (ca. 1.500.000€), più i maggiori incassi (1.500.000 €), si sarebbe raggiunta la cifra considerevole di 3 milioni di euro.
Ecco, quindi, che ben tre milioni sarebbero già entrati nelle casse della Fondazione con scelte artistiche opportune: non era necessario, perciò, prevedere “piani industriali” (più adatti ad aziende commerciali che a teatri d’opera) per risanare i bilanci, ma dar modo alla macchina “Teatro” di funzionare al meglio in quelle che sono le sue più peculiari prerogative, cioè la proposta artistica.
Ciò, però non si è potuto realizzare appieno in quanto l’ultimo titolo previsto nel cartellone 2010, l’Adriana Lecouvreur, è stato inopinatamente cancellato.
Tale cancellazione non trova spiegazione nelle addotte motivazioni di contenimento dei costi, in quanto l’Adriana era probabilmente una produzione a costo vicino allo zero: l’allestimento è di proprietà del teatro (con le splendide scene di Rondelli) e la compagnia di canto, direttore e regista sarebbero stati sicuramente compensati ogni sera dallo sbigliettamento.
Tenebrae...per pochi!
Perché non si è cancellata la produzione di Tenebrae, la nuova opera di Guarnieri la cui regia era affidata a Cristina Mazzavillani Muti, moglie dell’omonimo maestro, alla quale hanno assistito, in tutto, solo poche decine di persone e che aveva dei costi certamente superiori a quelli dell’Adriana?
Tornando ai dati di biglietteria, i dati sopra forniti sono stati “curiosamente” tenuti nascosti. Forse perché chi avrebbe dovuto divulgarli li ha ritenuti irrilevanti visto che rientravano nel merito di scelte artistiche piuttosto che in quello di scelte gestionali o forse perché non ne è stata valutata l’esatta portata o, ancora, più probabilmente, perché non si vuole mostrare che l’utilizzo di allestimenti con scene dipinte:
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1) è più adatto ad un teatro ottocentesco come il Costanzi, concepito per quel tipo di scene (così come lo sono la gran parte dei teatri italiani);
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2) consente un aumento significativo della produzione (le scene si montano e si smontano in un giorno e non in settimane e possono coesistere più allestimenti);
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3) permette di fare più cambi scena essendo più agili (quindi alla fine le scene risultano più sontuose);
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4) è più gradito al pubblico del teatro d’opera (che non va a vedere le scene ma va a rivivere la vicenda drammatica e a sentire i cantanti e la musica: per gli effetti speciali c’è il cinematografo o il luna park!);
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5) costa infinitamente meno (mediamente un decimo delle scene costruite);
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6) consente di non occupare troppo spazio per l’immagazzinamento;
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7) permette di riutilizzare le scene con facilità e a costo zero (perché di proprietà del teatro)
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8) è filologico, etc. etc.
Le scene dipinte non consentono, però:
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1)di lucrare sulle commesse per la costruzione ;
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2) di lucrare sul riutilizzo di materiali strutturali come avviene per le scene costruite (che spesso vengono demolite quasi subito perché ingombranti e perciò utilizzate al massimo una o due volte riutilizzando poi i materiali strutturali a prezzo pieno);
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3)di legare un titolo d’opera agli stessi nomi di regista e scenografo (alimentando una chiusura quasi totale all’ingresso di nomi nuovi in queste discipline);
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4)di diseducare il pubblico proponendogli continuamente spettacoli incomprensibili, permettendo quindi di far lavorare anche amici e “compagni di merende” (chi riconosce più la professionalità in questo marasma?);
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5) di dare ai divi della bacchetta l’inebriante sensazione di dirigere soltanto “nuove produzioni” ed, infine,
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6) di tenere il mercato (di direttori, registi, cantanti, scenografi) calmierato a poche produzioni, facendo sì che a lavorare siano solo quei pochi inseriti nel meccanismo (inserimento che, ormai è chiaro, avviene per tutt’altri meriti da quelli artistici).
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Sulla stessa linea dell’Adriana ci si era trovati ad inizio stagione con il Mefistofele. Questo era previsto nell’allestimento realizzato dallo scenografo Parravicini negli anni ’60 e pur di non utilizzarlo si è giunti a dire che non esisteva (sic! Le scene provenienti dal teatro di Palermo per il quale erano state costruite si trovano a Roma e sono di proprietà della ditta Izzo) facendo quindi in modo di inventare una struttura scenica fissa (una grande scala sulla quale stazionava il coro: quanto è costata?), una specie di torretta-ascensore ove saliva Mefistofele (quanto è costata?) e la proiezione dei bozzetti delle scene di Parravicini. In luogo del meraviglioso, storico allestimento del Parravicini ....una brutta e cosrtosissima soluzione. Bel modo di risparmiare! Ecco come si crea un deficit!
Il tutto ha determinato un aumento dei costi di allestimento di tre o quattro volte.
Per non parlare, poi, della sostituzione di interpreti che partecipavano con compensi molto più bassi di quelli corrisposti a chi li ha sostituiti.
Si consideri, infatti, che chi percepisce1 5.000 o 20.000 € a sera rispetto a chi ne percepisce 3.000, su un numero di sei o sette recite, determina un esborso ulteriore di quasi 100.000 € per il Teatro. Moltiplicando tale cifra per più artisti e sommando l’aggravio di costi determinato da allestimenti più onerosi, è facile raggiungere la cifra di diverse centinaia di migliaia di euro per ogni titolo, che moltiplicata per diverse produzioni giunge con facilità a cifre di svariati milioni di euro!
In conclusione, la vera politica da seguire dovrebbe essere quella dell’aumento della produzione, che, associata ad una oculata e sana politica programmatica e di allestimenti, recupererebbe una fascia di pubblico che è potenzialmente assai più ampia di quella che attualmente frequenta il Teatro, e consentirebbe a questo di realizzare un vero ed efficiente “servizio culturale” capace di determinare anche utili rilevanti (si consideri che le masse artistiche sono comunque pagate e se lavorassero di più non determinerebbero costi aggiuntivi).
Un progetto di recupero del rapporto con la Città, con un significativo, progressivo aumento degli spettatori e della visibilità della Fondazione, sarebbe in grado, è di tutta evidenza, di attrarre anche quei finanziamenti privati che, al momento, trovano difficoltà a dare il loro apporto.
Salvare i teatri d’opera italiani è possibile.
Basta volerlo.
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Giovedì 21 Ottobre 2010 07:57 |
Per molti il tenore è il cantante più pagato al mondo. L'irlandese John MacCormack, nominato conte nel 1924 da Papa Pio XI, arrivò a possedere dodici Rolls Royce, una scuderia di purosangue, due violini di valore inestimabile, proprietà in Irlanda, California, a Londra, New York e nella Nuova Inghilterra, e un conto in banca di molti milioni di dollari; Pavarotti, al confronto, fu S.Francesco.
Scorrendo le "buste paga" dei cantanti precedenti l'era moderna (i divi del periodo barocco), scopriamo che i tre tenori, Bocelli & C. possono sicuramente considerarsi sottopagati rispetto al castrato Farinelli, al Senesino, alla Durastanti , a Giuditta Pasta o a Giovan Battista Rubini. Certo, bisognava essere bravi; in questo, il sistema antico , ancora non regolato da sindacati di categoria e agenzie, basava tutto su una meritocrazia precisa e spietata: se canti meglio, guadagni di più. Inoltre, principi e mecenati erano soliti arrotondare i compensi con laute "mance" , spesso tabacchiere ricolme di monete d'oro, titoli nobiliari, terreni, palazzi, emolumenti vari . Nell'Ottocento i cachets diminuirono sensibilmente e si instaurò un meccanismo ancor più semplice : l'impresario divideva gli incassi della serata con i cantanti, previo accordo stipulato in precedenza. Conosciamo le cifre guadagnate da celebri ugole d'oro del tempo; il famoso Matteo de' Candia in arte Mario veniva pagato circa 13.350 franchi nella seconda metà dell'Ottocento, cioé circa 20.000Euro attuali, il cachet a recita di un Martinucci o di un Giacomini, ma anche l'ultimo cachet preso da Pavarotti in un teatro italiano prima del ritiro dalle scene .Tuttavia il calo generalizzato dei prezzi nei decenni 1870-1890 e il bassissimo livello di tassazione fecero sì che una diva di prestigio mondiale come Adelina Patti riuscisse a guadagnare cifre mai uguagliate prima o dopo: 23.000 franchi per alcuni recite negli Stati Uniti e nel Messico negli anni ottanta dell'Ottocento. E non a caso fu la Patti ad abbagliare il pubblico del Covent Garden nel 1895 comparendo in scena nel secondo atto di Traviata (la festa di Flora) con un vestito adornato di tremilasettecento brillanti di un valore complessivo (allora) di un milione di dollari.
L.Pavarotti
Rispetto agli otto o dieci mila dollari a recita guadagnati dalla Patti sembrano relativamente modeste le entrate di Enrico Caruso, che guadagnava 2500 dollari a recita al Met (quando però uno stipendio medio era di circa venti dollari dollari a settimana). E se negli anni venti i guadagni di Gigli e Schipa nelle Americhe furono favolose, il crollo di Wall Street e la successiva Depressione portò a una riduzione notevole dei cachet. In Italia il regime fascista concedeva un massimo di ventimila lire a recita per «cantanti eccezionali»: una cifra leggermente inferiore al tetto imposto dal Met nella stessa epoca: mille dollari. Una cifra che vigeva ancora quando la Callas, la Tebaldi e Mario Del Monaco cantavano a New York nella seconda metà degli anni cinquanta. Lo scandalo oggi -- rispetto a mezzo secolo fa -- non risiede tanto nei cachet ufficiali, che comunque sono aumentati, quanto nei soldi corrisposti sottobanco attraverso operazioni al nero, con società fantasma, con le residenze opportunamente trasferite presso i paradisi fiscali (Montecarlo, Lichtenstein, Andorra, isole Caiman, ec.). Questa, però, è una consuetudine degli ultimi vent'anni.
A.Kraus
Nel mirino dei discorsi sul «caro-tenore» sono passati un po' tutti, da Gigli (che suscitò scandalo quando lasciò il Met piuttosto che accettare una riduzione di cachet durante la Depressione) a Jussi Björling (che secondo Bing diceva che non poteva permettersi di cantare al Met perché guadagnava molto di più nei recital) ad Alfredo Kraus, che impose cachet elevatissimi in cambio di una continuità di rendimento inarrivabile. Il più bersagliato però è stato senz'altro Pavarotti, gratificato da una raffica di articoli all'arsenico che ben pochi artisti hanno dovuto subire nel corso della loro carriera. Uno dei più violenti fu quello apparso «The New Yorker» nel novembre del 1995 dal titolo «Snake and the Fat Man» («Il serpente e il ciccione»), riferito all'agente di Pavarotti, Herbert Breslin, e al tenore medesimo; in questo articolo si elenca una sfilza di nefandezze attribuite al super-agente, reo di aver creato una «macchina per soldi» ma anche di aver distrutto artisticamente una delle più belle voci del secolo, riducendola a star da circo Barnum. In realtà molti dei «compromessi» artistici compiuti da Pavarotti ricalcavano quelli di cantanti ormai mitizzati del primo Novecento come Lauritz Melchior (che cantò persino a Las Vegas e figurava nelle pubblicità delle sigarette Lucky Strike) e Tito Schipa (che a fine carriera ricorreva al microfono anche nei suoi recital «classici») che pur rimasero -- come lui -- artisticamente impareggiabili in quello che sapevano fare meglio.
Un altro tenore nel mirino della critica è senz'altro Andrea Bocelli, il quale costituisce un vero e proprio caso a sé.
A.Bocelli
Salito alla ribalta come cantante pop, vincitore di un discusso Festival di Sanremo, con alle spalle la potente casa discografica Sugar e un agente spregiudicato (Michele Torpedine), Bocelli riuscì a imporsi come interprete di punta del cosiddetto cross-over, cioé del mix tra il canto leggero e quello lirico, impostato: un genere che tutti reputano nuovo ma che ha illustri precedenti in Caruso , Gigli , Del Monaco, Anna Moffo e l'ultimo Pavarotti. Dopo i primi successi , Bocelli ha voluto intraprendere la più impervia strada del tenore lirico, debuttando in teatro prima nel Macbeth (Lucca), poi in Bohème (Cagliari), Amico Fritz (Verona), Werther (Dallas, Bologna), Butterfly e Tosca (Torre del Lago,Lucca), imprese salutate con simpatia ma anche con durissime critiche da parte degli oltranzisti. Si rimprovera a Bocelli la voce piccola, poco udibile senza l'ausilio del microfono, non sostenuta da una tecnica adeguata. Nel novembre del 1999 il sovrintendente dell'Opera di Nizza, Giancarlo Del Monaco, figlio del celebre tenore Mario, annullò due importanti contratti stipulati con Bocelli (Amico Fritz di Mascagni e Luisa Miller di Verdi) definendolo "inadatto" a sostenere opere di repertorio come tenore lirico. La critica americana stroncò sanguinosamente il suo Werther ma Bocelli riesce a diventare un mito mondiale, cantando per il Papa, per i presidenti Bush e Obama, per ogni tipo di convention, rete televisiva, vendendo milioni di dischi e continuando ad alternare canzoni pop a romanze, ora in coppia con Céline Dion, ora accompagnato da Zubin Mehta e Lorin Maazel, pronti a giurare sulla sua valenza straordinaria come tenore. Chi è dunque Bocelli? Vero mito o bluff? Non è certo la voce per Mario Cavaradossi, Radames, Calaf né per Manrico in teatro, ma questi ruoli in disco vengono affrontati con gusto e con lodevole impegno. Bocelli ha il merito di interessare al Melodramma una fascia di pubblico che non si porrebbe nemmeno lontamente l'idea di entrare in un Teatro e di portare in Tv, oltre che sé stesso, anche il genere che ama e che vorrebbe maggiormente diffuso. Non è poco in un periodo che vede l'Opera gravemente ghettizzata, soprattutto nel nostro paese.
Outsiders
Tenore Salvaserata o Tenore Last Minute, è quel tipo di tenore che viene chiamato d’urgenza in caso di improvvisa defezione di un più celebre collega. Non è detto, poi, che il celebre collega canti meglio di lui. Di solito vengono convocati all’ultimo secondo, spesso senza nemmeno una prova: la loro affidabilità è assoluta. Il tenore “salvaserata” è la più completa (e anche tragica) conferma all’inutilità di molti conclamati Divi e di molte, costosissime regìe. I più famosi tenori “salvaserata” furono Ottavio Garaventa, Maurizio Frusoni, Vincenzo Bello, Lando Bartolini. Fu clamoroso il caso dell'Aida scaligera (2007) in cui venne contestato Roberto Alagna , sostituito al volo dal tenore Antonello Palombi, che entrò in scena in abiti borghesi.Recentissimamente è valso l'uso di utilizzare come 'salvaserata' i tenori coreani, spesso studenti di conservatorio o freschi vincitori di concorso. Costano poco, sono sempre pronti e cantano qualsiasi cosa.
Parma,ottobre 2010
Acutista, è il tenore con gli acuti in tasca, facili e strafottenti. Si ricordano Antonio Pirino (famoso per il fa sopracuto a piena voce nei Puritani) , Mario Filippeschi, Gianni Raimondi, Franco Bonisolli, Salvatore Fisichella, Vittorio Terranova, e in tempi più recenti Aldo Bertolo, William Matteuzzi ,Giorgio Casciarri, Stefano Secco, Gregory Kunde, Celso Albelo, John Osborn, Antonino Siragusa, Lawrence Brownlee. Sono talmente sicuri nel registro acuto e sopracuto che possono essere impiegati, indifferentemente, per ruoli leggeri o drammatici (dalla Sonnambula al Guglielmo Tell) basta che sopravvivano indenni alle note sopra il rigo.
Maratoneta , è il tenore macina-recite, spesso protagonista delle cosiddette “spedizioni punitive” (spettacoli in compagnie di giro, tournées estive), in cui senza alcun risparmio canta anche 15 e più recite consecutive di Aida, Carmen, persino Trovatore, Otello . Un autentico recordman in questo senso fu Placido Domingo,ribattezzato "il tenore jet".
Il “Nome”, quando si ha bisogno di un tenore rinomato, non troppo costoso ma di chiara fama, si richiede “il Nome” ; che non sono necessariamente Domingo o Alagna (quelli, costano troppo) ma comunque un tenore che abbia una notevole carriera , una solida professionalità e non eccessive pretese di onorario: ecco quindi i vari Cecchele, Cupido, Merighi, Bartolini, Martinucci, in tempi più recenti Malagnini,Giuliacci.
Il Baritenore, è un tenore “corto” più che un baritono “lungo”.A volte è semplicemente un tenore ingolato. Il si bemolle viene quando viene, il la naturale è la sua nota ultima. Lo si impiega per opere limitate nell’estensione: Walchiria, Parsifal, Sansone.
Lo “specialista”, anche se il termine fa pensare a un killer si tratta in realtà di un tenore adatto a un repertorio ben preciso: può essere uno specialista rossiniano, verdiano, pucciniano, ma anche mozartiano, wagneriano. La sua è una vocazione che finisce per diventare un’etichetta, un marchio a volte indelebile. Tipico esempio Juan Diego Florez per Rossini,Ben Heppner per Wagner.
J.D.Florez
Espada, è il corrispondente spagnolo del tenore “acutista” .Celebri espada furono Gayarre, Fleta, Cortis, Labaro, Kraus, Sempere, Gonzalez.
Tenore crossover . Ormai è una categoria a parte. Creato da Bocelli, il tenore crossover è colui che unisce la vocalità operistica alla vocalità leggera, mescolando i generi e interpretando canzoni appositamente concepite per questo nuovo modo di cantare.La voce non è mai del tutto appoggiata, tende naturalmente al falsetto,uso e abuso dei suoni ingolati, spesso si fa androgina. E' la famosa commistione dei generi che, se è vero che avvicina mondi diametralmente opposti, è anche vero che determina pericolose confusioni: non è raro che il tenore crossover canti un Manrico "pop" e un "Volare" troppo lirico. Ne sono tipici esponenti Vittorio Grigolo, Alessandro Safina, Rolando Villazon.
R.Villazon
Tenore Jet , mentre il tenore “maratoneta” accumula recite nella serie minore, il tenore “jet” è il superDivo che viaggia con l’aereo privato e che grazie a questo costoso ma efficace mezzo, riesce a spostarsi da una città all’altra, da un fuso orario all’altro senza perdere mai un colpo. I Tre Tenori (Pavarotti,Domingo, Carreras) furono i campioni mondiali di questa categoria.
Tenore Rambo, sull’onda dei successi cinematografici di Sylvester Stallone sono apparsi di recente questi esemplari di tenori palestrati, dal pettorale imponente e dal bicipite prominente: José Cura e Dario Volonté, entrambi argentini, che nei loro primi anni di carriera hanno incarnato idealmente il prototipo dell'eroe statuario, i Russel Crove della Lirica (salvo poi subire un rapido tracollo, non appena alle ore in palestra si son sostituiti i continui viaggi e la vita pigra e indolente del cantante). Non sempre al muscolo corrisponde , poi, una voce altrettanto spettacolare, ma è un dettaglio di poco conto.
J.Cura
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